Diario delle seconde opportunità o i giorni del Covid-19, di Alessandra Ghiani (Sud Sardegna).
Tempo sospeso: in questi giorni di sosta forzata si legge spesso questa espressione. I fili della nostra esistenza sono bloccati, in attesa di tempi migliori. Quei fili, normalmente tesi, ora sono laschi, diluiti in uno spazio che non è più completamente nostro. La sicurezza collettiva impone grandi rinunce a cui non eravamo preparati e che probabilmente ognuno di noi era abituato a incasellare in tempi e situazioni distanti: le dittature (in Italia ed Europa) del passato e (in altre parti del mondo) del presente, ad esempio. Vicende relativamente lontane dalla nostra percezione, che ci sfioravano appena. Oggi dobbiamo confrontarci, invece, con una realtà nuova in cui uscire a fare la spesa o portare fuori la spazzatura sono diventati momenti di agognata libertà. Attorno a noi solo lunghi silenzi, strade poco o nulla trafficate, vita (domestica) lenta, interazioni sociali ridotte ai minimi termini.
Proprio quest’ultimo aspetto sta rivelando una dimensione nuova. Fino a poco più di una settimana fa, i social network erano percepiti da più parti come un nemico delle relazioni “vere”, quelle fatte di incontri, abbracci, contatti in cui mente, cuore e corpo sono coprotagonisti (tralascio volutamente tutte le considerazioni sul ruolo che questi strumenti hanno nel mondo del lavoro e dell’informazione).
I social network sono luoghi la cui immediatezza spinge a procrastinare il resto: possiamo parlare, chattare, discutere, litigare, perfino amare a distanza, e questo ci permette di differire nel tempo sensazioni ed emozioni che appartengono ai contatti reali. A un certo punto, però, è comparso un limite invalicabile: l’unico spazio deputato alle interazioni ora è quello virtuale. Niente baci, abbracci, strette di mano; solo chat, videochiamate, dirette su questo o quell’altro social.
Quel che prima sembrava poco importante perché scontato – il poter uscire, l’incontrare persone, il visitare luoghi, eccetera – oggi assume i contorni di un sogno sfuggente. Attendiamo trepidanti il risveglio, pronti a sfruttare la seconda opportunità che la vita vorrà riservarci.
Nel frattempo, cerchiamo rifugi in cui confinare la malinconia: riscopriamo i momenti in famiglia, i giochi da tavolo, la buona cucina. Affidiamo alla creatività le energie, fino a poco tempo fa destinate quasi esclusivamente alla frenesia della quotidianità. Ci (ri)scopriamo altruisti, pronti a condividere le nostre competenze prima ancora delle frustrazioni – che peraltro ci sono, eccome –. E qui entrano nuovamente in gioco i social: non li ho mai visti così ricchi di tutorial, corsi, musica, racconti e tanto altro, il tutto offerto gratuitamente per alleviare la pesantezza del tempo sospeso.
La primavera mancata fiorisce dunque nello spazio virtuale. Mi sono chiesta come ci saremmo comportati se non avessimo avuto smartphone, internet, social network. Come avremmo sopportato lo stare rinchiusi in casa senza comunicare, senza poter condividere il nostro sentire. Forse avremmo utilizzato i mezzi di un tempo, come la carta da lettere. Io da ragazzina ho avuto diversi amici di penna, italiani e stranieri: tra questi ultimi ricordo in particolare una ragazza di origini cinesi, ma residente a San Francisco, e un ragazzo greco. Una corrispondenza in inglese, che univa il piacere del confronto con culture altre a un sano esercizio linguistico. Ricordo bene il sentimento di attesa: i tempi erano lunghi, soprattutto per le missive che giungevano dagli Stati Uniti. Aspettavo il postino come se mi avesse dovuto consegnare un tesoro. E per certi versi lo era.
In qualche modo, queste giornate segnate dai ritmi del Covid-19 mi ricordano i tempi dilatati di allora. Le piccole cose – come lo era per me una lettera – appaiono in tutta la loro bellezza; stiamo riscoprendo l’essenza di ciò che ci circonda e di noi stessi. E abbiamo una gran voglia di trasmettere tutto questo agli altri.
Non dobbiamo sprecare questo insegnamento, perché ci sta offrendo un’opportunità diversa, nuova: quella di conoscerci davvero e di migliorarci. Se siamo capaci di sentirci uniti nelle difficoltà, dovremo esserlo anche quando l’emergenza sarà rientrata. Tutto ciò che la vita ci sta togliendo ora, cerchiamo di ricostruirlo, e meglio.
Questa esperienza ci cambierà, la racconteranno i libri di storia, forse ci farà piangere altre lacrime per le conseguenze che il Covid-19 avrà sulle vite di tutti noi – oltre a quelle, gravissime, di cui siamo già testimoni –. E sarà difficile trovare soluzioni valide a numerosi problemi. Proprio per questo dobbiamo prepararci fin da ora a cogliere occasioni che al momento ci sfuggono, a dare la giusta dimensione alle persone e alle cose. Perché le seconde opportunità non sono infinite. E chi di noi uscirà indenne da tutto questo dovrà ricordarselo. Per coloro che non ci saranno più, per quelli che vedranno affossate le proprie risorse, per curare la propria anima. E per essere pronti ad affrontare nuove tempeste.
Quella mano che tendiamo oggi, non tiriamola indietro domani, quando avremo l’illusione di essere forti anche da soli. Perché in mezzo al dolore, in queste giornate dense, spuntano germogli di bellezza. Se li sapremo coltivare, saranno questi a salvarci quando dovremo raccogliere le macerie.
Alessandra Ghiani
(da Sanluri – Sud Sardegna)