Il nostro giornale coglie l’occasione della pubblicazione di questa recensione per commemorare, insieme al Centro Studi Piero Gobetti di Torino, al suo direttore Pietro Polito, all’équipe di giovani ricercatori, fra i quali spicca la dott.ssa Marta Vicari, che vi lavorano conservando scritti, documenti primari, libri, pubblicazioni in serie d’epoca e contemporanei, il 120° anniversario della nascita del grande filosofo della politica – liberalismo sociale italiano – Piero Gobetti, torinese e morto a soli 25 anni per mano dei fascisti. Questo, dopo aver lasciato ampie testimonianze del suo genio politico con scritti e azioni di grande valore; così come Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli etc. Tutti eliminati selvaggiamente dai fascisti di Mussolini che non sopportava le eccellenze di pensiero e di azione italiane che considerava “ombre” sulla sua scarsa fortuna intellettuale e politica, a questa preferendo la violenza e l’ignoranza.
Recensione del libro «La cultura dell’iniziativa» di Pietro Polito
Siamo su una faglia fra il passato e un futuro infigurabile ; per “tenere” solo il pensiero di resistenza. Hannah Arendt individuava nella cultura questa forza resistente che molto bene Piero Gobetti evocava in «La rivoluzione liberale»: «Non c’è cultura fuori dell’iniziativa, della conquista, dell’esercizio diretto». L’iniziativa gobettiana è una categoria che ci «emoziona, inquieta, ci richiama alle nostre responsabilità» scrive Pietro Polito, direttore del Centro studi Gobetti di Torino nel suo libro «La cultura dell’iniziativa» (Aras edizioni, Fano 2O20), scritto nei cento giorni del primo confinamento da pandemia (21 febbraio – 2 giugno 2020), quando la cultura si è fermata o si è trasferita tutta o in larga parte sul digitale. Un lavoro di ricerca, quasi una professione di fede, concepito in un periodo strano: una sorta di sospensione del tempo nell’accelerazione di un altro tempo agente in sincronia, che voleva conservare la sua forza malgrado il silenzio e l’isolamento dei paesaggi, usando, per questo, le tecnologie della comunicazione in attivo nel contesto pandemico. Smarrimento e timore, riflessione e scrittura.
Una scrittura militante questa di Polito, che usando il cenacolo gobettiano del Circolo, inserisce nove «lettere» sul tema della cultura frutto di scambi e di un dialogo con altri membri del suo entourage. Un libro “strano” quindi, secondo la definizione dell’autore, perché strano è stato il tempo della narrazione e strana la sua identità; quasi un passo indietro dalla faglia della Arendt verso gli insegnamenti dei maestri del pensiero liberale che hanno guidato la sua ricerca di vita : Gobetti, Bobbio, Bianciardi, Capitini e tutti gli spunti che arrivano a questo ricercatore insaziabile, dal mondo, seguendo le orme di Carla Gobetti, maestra di “danze” intellettuali di alto valore estetico, morale, politico. Afferma Pietro Polito che la tesi di fondo che viene argomentata e sostenuta è che si confrontano, dal punto di vista di una critica liberale della cultura aggiornata ai nostri giorni, e si scontrano tra loro due culture: la cultura della genialità e la cultura dell’iniziativa. In questo Gobetti e Polito riprendono la tesi di Diderot e di Rousseau.
Diderot, attraverso il suo personaggio Rameau, sembra quasi condannare l’uomo di genio; è vero che chi possiede quella dote emergerà e probabilmente porterà contributi alla società, ma nel futuro l’avere genio è dannoso per l’uomo. Questa dote allontana l’essere umano dai suoi simili, lo rende disinteressato a tutto, tranne che a se stesso, per questo, seguendo Rameau nipote, molto meglio essere mediocri, piuttosto che spiccare tramite il genio.
Prendendo ad esempio la figura del Rameau zio, infatti, vengono portate alla luce tutte le caratteristiche estremamente negative dell’essere genio: disinteressato a far del bene. Questa posizione critica nei confronti degli uomini che possiedono genio, viene delineata anche negli scritti di Rousseau riguardanti la sua posizione verso l’arte, il quale però, per salvare forse la sua stessa reputazione di scrittore, trova una soluzione adeguata per poter risultare uomo di genio, e possedere anche un profondo altruismo; in lui compare l’idea che per essere un vero genio, questa sua condizione, che lo eleva dai suoi simili, deve legarsi in modo inscindibile alla virtù.
La “virtù” gobettiana è una virtù machiavelliana, eminentemente politica e Pietro Polito insiste su questo aspetto di una cultura che ci fa forse solo fruitori oggi e non costruttori di valori solidali, dialettici, anche conflittuali ma profondamente in sintonia col mondo e con i nostri simili. Siamo, rispetto alle proposte culturali, in un tempo di continua attesa, che nasconde un’aspettativa di meraviglioso, di spettacolare, di eccezionale, di “nuovo” o innovante, ma che non si adatta alla peculiarità di ciascuno, al suo progredire verso la coscienza di sé lungo il percorso di formazione.
Polito esprime invece una posizione generosa e sensibile e lo fa molto bene, aiutandoci, nelle sue «lettere» – scritture primarie dirette, concepite con autoironia e rispetto di sé, scritte per tutti, mai autoreferenziali, quindi, di lettura scorrevole e quasi gioiosa, a diventare attenti ai dettagli, ai frammenti, agli incisi. Quasi in un percorso di critica estetica e di filosofia analitica dettata dalla Storia, secondo le tesi di Bobbio. Una narrazione forse a volte troppo densa di riferimenti bibliografici, note, paratesti educativi di ricerca, di approfondimento. Generosi richiami, concepiti in un’azione di condivisione verso una crescita culturale comune, quasi un appello al lettore, alla sua responsabilità e sentendosi lui responsabile della sua formazione di essere pensante, critico, al cuore della società. Le fonti ideali, dice Polito «affondano nell’opera del liberale rivoluzionario Piero Gobetti, del comunista critico Antonio Gramsci, del nonviolento Aldo Capitini, del socialista liberale Norberto Bobbio. Da loro derivo gli occhiali per un percorso sulla cultura corale, aperto, ma direi anche sperimentale ed esperienziale».
Polito ci libera dal tempo nella sua riflessione, lo dilata: «La cultura è una forza mite che goccia a goccia scava la pietra» (p. 23), scrive Polito, facendo della mitezza evangelica e della gentilezza le forze che si oppongono alla volgarità e alla paura. Ricostruisce la tela con un disegno valoriale potente. Comincia dai valori che sono alla radice di ogni azione culturale, entra nelle problematiche che agitano gli spiriti anche durante il confinamento e oggi che con la vaccinazione di massa si tenta di sconfiggere il virus. «Niente sarà come prima» non illudiamoci, questo virus è stato un evidenziatore di ogni faglia del nostro sistema. Polito esplicita la consapevolezza delle difficoltà insite a un progetto politico come il suo: nella frenetica società della competizione e dell’individualità, organizzare la cultura parrebbe richiedere tempo e uno spirito comunitario diffuso e consapevole. Eppure, è proprio l’enorme spazio decisionale dischiuso dall’emergenza sanitaria a offrire la possibilità di riprogettare lo stato secondo un’idea di Paese che trae origine dalla Costituzione stessa: organizzare gobettianamente la cultura equivarrebbe a «realizzare la Costituzione» (p. 37) e con essa l’eredità spirituale dei valori della Resistenza.
Il libro seguita con un’interrogazione cruciale : «Dove andrà la cultura ?» qui siamo noi a dare una risposta interrogando le nostre coscienze e i nostri limiti. Gobetti non voleva lettori ma collaboratori e in questo piccolo libro-diario culturale-riflessione, l’autore ci chiama a questa azione che ci solleva dalla pigrizia negativa facendoci protagonisti attivi del nostro futuro. Il libro contrappone al mercante la figura dell’umanista consapevole, dell’uomo dell’iniziativa gobettiana e di Bobbio. Belli i riferimenti alla filosofia di Capitini e a Bianciardi col suo libro sul « lavoro culturale » da rileggere e anche alla dichiarazione che la cultura sia una forza autonoma « non per il profitto, né con lo Stato né con il potere ». Un libro da assimilare, da consigliare e da discutere anche nel resto dell’Europa, chè questi problemi soprattutto politici : diseguaglianze lavoro precario, razzismi, intolleranze, fragilità delle politiche di sinistra, corruzione, politiche elettorali e rigurgiti fascisti come la manifestazione prossima di Todi organizzata da CasaPaound e dalla loro casa editrice, mettono ovunque in pericolo i principi della nostra Costituzione e quindi del destino della cultura e della democrazia. Quest’ultima con tutti i suoi mancamenti ma noi restando fedeli alla sua capacità di rinnovamento, al movimento delle idee che ne caratterizzano, e questo il libro di Polito lo mette bene in evidenza, l’essenza.
Il libro termina con una bibliografia cronologica dal 2000 al 2020 sulle problematiche culturali e con una bibliografia degli articoli e delle opere durante la quarantena, molto utile per cogliere le sfumature dell’opinione pubblica « Signora del mondo » come diceva Pietro Verri, condotta da Pietro Polito a da Mariachiara Borsa. In conclusione, ma questo libro è una sorgente di spunti quasi un’opera illuminista secondo la tradizione tutta italiana di un secolo dei Lumi agitatore di spiriti e di coscienze sempre riformatore, un’attenzione particolare alla frase bellissima di Capitini sul rispetto, altra categoria in via di disparizione : « E non coglierai i fiori. Solo il fiore che lasci sulla pianta è tuo… »
Maria G. Vitali Volant
SCHEDA DEL LIBRO E PRESENTAZIONE DELL’EDITORE