Capire prima di discutere, discutere prima di condannare (Norberto Bobbio).
Tra le origini del totalitarismo, forse, anche questa idea che « l’altro » esista e sia degno di esistere solo se aderisce alla « giusta causa » – che assume ogni volta sembianze diverse. Per qualcuno sarà la patria, la nazione, la bandiera, la tradizione – se non il «padroni a casa nostra» o in casi più estremi, l’appartenenza etnica, la
«razza». Per altri sarà invece la classe, il « paradiso in terra » da raggiungere con ogni mezzo, l’utopia del mondo perfetto, l’egualitarismo forzato che annulla ogni differenza anche dove differenza c’è. E si accompagnerà all’atto di marciare tutti assieme gridando all’unisono. E tracciando una linea : quella che separa i buoni dai cattivi, i giusti dagli ingiusti.
Talvolta, la giusta causa sarà moralista e puritana, del tipo « chi non ha niente da nascondere non teme le intercettazioni » (e orribile appare la vita di chi davvero non ha mai « niente da nascondere », di chi vorrebbe esporre tutto di sé e degli altri al mondo, come se non esistessero zone d’ombra da celare o proteggere, cose ingiustificabili se esposte alla luce, e che eppure non per questo vanno proibite o maledette).
Più recentemente, sarà invece il benessere di animali e ambiente : ragione senz’altro sensata e rispettabile in sé, ma che facilmente diventa fanatismo oltranzista, motivo di odio e furibondo livore verso chi non la condivide o non la condivide abbastanza; e, ancora una volta, linea di demarcazione tra giusti e ingiusti.
Altrove, in modi e gradi certamente diversi (ma figli, temo, dello stesso tic totalitario) la «giusta causa» diventerà la « costituzione che non si tocca ». Con accuse di
«golpismo», o di squallidi, illeciti, inconfessabili interessi, a chi osa dire che, al di fuori dei diritti fondamentali degli esseri umani, tutto deve potersi toccare e tutto deve potersi discutere. Soprattutto una costituzione che non è il libro sacro di una religione rivelata (come certi sembrano pensare), ma un testo laico. E che proprio per questo già accoglie in sé il principio della propria revisione e ne precisa i meccanismi.
Ogni volta queste cause «giuste» diventano, nella bocca dei loro sacerdoti, necessariamente indiscutibili, fondanti, di per sé evidenti : e non condividerle significa essere farabutti, responsabili, mostri, emissari del male. Ne è esempio il tic di certi utenti delle reti sociali che con fare spazientito, qualche settimana fa, « ringraziavano » chi non aveva votato al referendum italiano detto « anti-trivelle » (o aveva votato in senso contrario ai loro auspici), mostrando fotografie di uccelli con le piume ricoperte di petrolio e riferimenti a un incidente avvenuto, negli stessi giorni, a Genova. Ovvio che non ci fosse alcun legame diretto tra i due avvenimenti; ovvio che le ragioni del voto o del « non voto » fossero assai più sfumate (non si trattava di decidere, per legge, se gli uccelli devono avere o no le ali imbrattate…); inutile spiegarlo.
Così come sarà inutile spiegare che la riforma del mercato del lavoro proposta dal governo francese (detta El Kohmri, dal nome della donna ministro del lavoro) non coincide necessariamente (cito) con una «destruction méthodique des acquis sociaux», con la «destruction du code du travail», con «le retour de l’esclavage» (boum !), o addirittura «la destruction de tout ce qui reste encore humain dans notre société» (sic – believe it or not, è apparso sul sito Mediapart).
No : mi dispiace, amici, compagni, ma non coincide con queste cose. Può e deve essere discussa, criticata, anche rifiutata da chi non la condivide. Ma non merita quella specie di maledizioni bibliche. Non è l’incarnazione del male. È, più modestamente, un tentativo di riforma del mercato di lavoro, di orientamento più liberale che socialista (certo, questo è vero). Una riforma che prende atto di una situazione della società francese, in cui, da tempo, le aziende, piuttosto che assumere con contratti stabili, fanno ricorso a forme di lavoro precarie (prestazioni temporanee, contratti a durata determinata, e così via) per il timore di ritrovarsi con costi fissi insostenibili in caso di calo di ordini. Una riforma del mercato del lavoro che tuttavia non tocca le 35 ore settimanali, né la grande quantità di ferie e giorni festivi di cui si gode in Francia (per la fortuna di coloro che un lavoro stabile lo hanno) ; né i livelli salariali ; né lo status intoccabile, quasi sacro, dei funzionari pubblici. Inutile spiegare che questa riforma, più che il «ritorno allo schiavismo», è piuttosto il tentativo di facilitare l’ingresso nel lavoro a chi ne è escluso (più del 10% in Francia); e di facilitarlo senza eccessi di «dérégulations», senza toccare le protezioni sociali per chi perde il lavoro (il sostegno al reddito, per fortuna, in Francia è abbastanza forte) ; e senza fare ricorso alla vecchia scappatoia delle assunzioni pubbliche a pioggia, che ha prodotto certo consenso elettorale ma anche un settore pubblico di dimensioni colossali, che obbliga a esercitare su cittadini e imprese una fortissima pressione fiscale.
Ecco, se la riforma El Kohmri è tutto questo, può darsi che tutto questo sia giusto o che sia sbagliato. Ma non è l’incarnazione del male, non è l’orrore, non è il manifestarsi di un demone mostruoso. Non è il ritorno allo schiavismo né «la destruction de tout ce qui reste encore humain dans notre société». Ma (temo), inutile spiegarlo.
Ci sarà sempre quella «maledizione di una cultura violenta, antilaica, clericale, classista, terroristica e barbara per cui l’avversario deve essere ucciso o esorcizzato come il demonio, come incarnazione del male» – scriveva il caro, nostro Marco Pannella nel 1973. Ci sarà sempre da qualche parte un Noam Chomsky, una Sabina Guzzanti, un prete o un apostolo del martirio (degli altri) a gridare più forte e a indicarci con il dito come mostri da abbattere in nome della bontà e della giustizia. E a farci pensare al personaggio di Pastorale americana di Philip Roth : Merry. La sua bontà è tale che indossa una mascherina, per non rendersi corresponsabile dello sterminio dei moscerini che, ogni giorno, noi tutti perpetriamo respirando; e fa esplodere una bomba all’ufficio postale.
Maurizio Puppo
Il tic religioso e totalitario dei sacerdoti della “giusta causa”
Egregio Signor Puppo,
mi è stato segnalato il suo articolo al quale rispondo:
Signor Puppo, mi infastidiscono un po’ i campioni della democrazia e del bon ton, nascosti dietro ai manganelli della polizia (devono essere indolori, in Francia) e ai colpi di fiducia dei governi (quelli sono pacati e rispettabili), mentre i lavoratori per farsi sentire devono sporcarsi le mani e usare frasi non politically correct.
Che zoticoni e che manichei che sono questi lavoratori! Parlano ancora di sfruttamento e di classe: il vecchio arsenale del comunismo, pattume della storia. Difendono le rendite di posizione dei veri nuovi privilegiati: operai, ferrovieri e impiegati pubblici: sono loro il cancro della società. Non accettano che le ricchezze siano giustamente concentrate nelle mani dei pochi che meritano di possederle e che sanno parlare pacatamente, spiegare con calma le loro ragioni e fare passare le leggi che ne perpetuano il potere a colpi di fiducia.
Osano dire, quei selvaggi dell’intelletto (e non solo, basta vedere come non rispettano le leggi e l’armonia della convivenza civile), che la diseguaglianza ha raggiunto livelli mai visti prima nella storia e che non si possono barattare posti di lavoro per la cancellazione dei diritti dei lavoratori. Non sanno che il lavoro (salariato sì, ma sempre meno retribuito, in fondo) rende liberi. Che se introdurremo sistemi asiatici di governo del lavoro, allora l’occupazione potrà tornare anche da noi e saremo tutti felici: l’importante è avere un lavoro, no? Del resto, quel ciarpame sa solo gridare slogan, cos’altro potrebbero dire? Ma i veri progressisti tireranno diritto. Come fa Renzi. Come fa chi sa decidere senza farsi condizionare dalle corporazioni, cioè dai sindacati. Soprattutto da quelli più pericolosi perché legati a un passato che non tornerà e che non deve tornare.
Ci aspetta un futuro radioso. Di contratti di lavoro personalizzati, di flessibilità assoluta, di élites costrette a farsi carico della faticosa gestione di conti correnti a Panama, di lavoratori privi di fastidiosi diritti e magari anche del peso della gestione dei conti correnti, pensionati forse a 75 anni, ma con pensioni da fame (fortunati: le diete prive di grassi sono le più sane).
Signor Puppo, ci indichi la strada, lei che sicuramente vive di un contratto precario ed è felice per questo. Alcuni di noi sono proprio miopi e non sanno vedere al di là del proprio naso.
Il tic religioso e totalitario dei sacerdoti della “giusta causa”
Cortese Luca, grazie per il suo messaggio, che mi fa pensare a una definizione che fu data di un lungo discorso di Aldo Moro : « brevi cenni sull’universo ». Credo anche che lei sopravvaluti un po’ la riforma del lavoro El Kohmri; tra l’apocalisse che lei descrive (e non so bene perché, ma capisco che lei me ne ritiene personalmente responsabile; guardi che io non merito tanto!)e gli effetti di questa riforma, se mai sarà applicata, c’è un po’ di differenza, mi creda. Capire prima di discutere, si diceva, e discutere prima di condannare: mi pare che lei abbia seguito l’approccio opposto, cioè condannare (addebitando a me e alla povera riforma tutti i mali del mondo, tanto per non rischiare di sbagliarsi), poi più che discutere, declamare (il suo messaggio). Manca ancora un punto, non inessenziale dal mio punto di vista: capire. Capire l’argomento di cui si sta parlando. Sbraitare e sentirsi giusti in un mondo di bastardi è bello e costa poco sforzo; informarsi e provare a capire è più faticoso, ma dà grandi soddisfazioni. Mi dia retta: ci provi anche lei. Grazie, un saluto, Maurizio P.
Il tic religioso e totalitario dei sacerdoti della “giusta causa”
scusi tanto, ma anche se le trivelle e gli uccelli non sono collegati, lo sa credo, vero, che non passando il referendum, adesso tutte quelle trivelle che abbiamo e che non servono piu’, che le societa’ fanno finta che servano, cosi non devono sopportare i costi dello smantellamento, ebbene grazie a quel referendum non passato, adesso i costi chi se li incolla come si dice a roma,chi, lei?
per quanto riguarda la legge francese sul job act, beh basta vedere cosa e’successo in Italia, le assicuro che ci sono meno garanzie di prima, che le societa’, l’unico problema che hanno, e’ di voler continuare a guadagnare sempre piu’ e non vogliono pagare in modo adeguato i loro dipendenti, soprattutto in un mercato globale che permette di schiavizzare sempre piu’, senza freni, ma lei come fa? cita anche Bobbio, complimenti. Vuole solo essere forse una voce dissenziente, ma lo sia in modo ragionato almeno. Ho amici che negano che le centrali nucleari rendano i luoghi vicini radioattivi e che pensano come lei che ci sara’ piu lavoro per tutti con l’eliminazione o quasi dei CDI e di alcuni diritti dei lavoratori duramente conquistati. Un italiano, forse amico suo, un giorno mi ha riso in faccia perche’ ho detto che non potevo vivere in modo autonomo con lo stipendio da insegnante, 1300 euro (lui riccone di roma), secondo lui ero una nullita’ per il mestiere che facevo, mi chiedo, se gli insegnanti fossero pagati in modo adeguato, diciamo 5000 euro al mese, che permettono una vita non ricca ma decorosa… e invece no, i soldi diamoli a chi licenzia o ai lupi di wall street o agli incompetenti di renzi e famiglia. evviva.
Il tic religioso e totalitario dei sacerdoti della “giusta causa”
Cortese Katiuscia, grazie per il suo messaggio. Lei si sbaglia di grosso, perché mi addebita opinioni che io non ho (e che peraltro reputo sbagliate); è un vecchio trucco retorico, che lei (lo intuisco dal suo tono concitato) probabilmente adotta in perfetta buona fede. Non ho mai sostenuto e non penso che i contratti a durata determinata siano la soluzione ai problemi del lavoro. Penso proprio l’opposto, e cioè che sia bene « spingere » il mercato del lavoro verso contratti a durata INdeterminata (INdeterminata, chiaro?).
Tra l’altro, se lei cortesemente volesse informarsi, vedrà che la riforma di cui si parla (El Kohmri), almeno sulla carta, punta proprio a facilitare l’adozione di forme di contratto stabili, oggi penalizzate dal ricorso troppo frequente a forme di precariato. Lei ha ogni diritto di essere contro questa riforma (e di ragioni razionali ce ne sarebbero molte, quindi nessun bisogno di inventare cose a casaccio!): ma almeno cerchi di esserlo per le cose che la riforma dice, e non per le cose che la riforma non dice.
_Quanto alle trivelle, io parlavo d’altro, parlavo di intolleranza e incapacità a discutere. Ma se lei ci tiene a trattare il punto specifico che ha citato, le devo dire che il referendum non ha modificato nulla sull’onere dei costi per lo smantellamento, che resta sempre a carico delle società; l’unica differenza è che, nel caso di vittoria del fronte referendario, il problema dello smantellamento si sarebbe posto alla fine della concessione e non alla fine delle attività di estrazione. Quindi semmai il problema che resta è che una società possa rallentare ad arte l’estrazione per ritardare il più possibile lo smantellamento e i costi relativi. Il che è un punto che forse sarebbe bene risolvere con un obbligo di attività minima estrattiva. Come vede, si tratta di un punto di politica industriale, e non di una guerra santa tra amici del mare e della natura (lei tra questi) e luridi bastardi (io)che vogliono vedere morire tutti gli uccellini.
Gli ultimi punti del suo messaggio, quelli delle centrali nucleari e dello stipendio degli insegnanti, immagino siano frutto di un errore, di un copia e incolla, probabilmente lei si riferiva a un’altra discussione. Faccia più attenzione! Sa, è come in cucina: non basta mescolare tutti gli ingredienti a caso per avere un buon risultato. Un saluto, Maurizio