Il senso del presepe. Da Trieste, une riflessione di Diego Maraini.

Si può dire che noi italiani il presepe ce l’abbiamo nel paesaggio. Non tanto e non solo nelle nostre case ma anche negli innumerevoli quadri dei nostri musei che a loro volta lo raffigurano in ambienti a noi noti, nelle città dove erano attivi gli artisti che lo hanno dipinto. Il presepe è anche nelle bancarelle degli ambulanti, nei laboratori degli artigiani che ne scolpiscono le figure o le plasmano con diversi materiali.

Piazza Unità Trieste, Natale 2024 – photo Sandro Bordone

Nel tempo si sono sviluppate in Italia e altrove delle vere e proprie tradizioni scultoree delle figure del presepe, come quella napoletana e quella provenzale, che hanno ambientato la nascita di Gesù nell’epoca contemporanea, come i Santons francesi fra cui c’è addirittura la figurina del prete e della suora. Il presepe è una favola che si narra e si rappresenta, racconta di un mondo antico, carico di storia e simboli, è anche un gioco che si fa con i bambini.

Ricordo il gigantesco presepe di mio nonno, con tanto di ruscello di acqua corrente e mulino dove io e mio cugino cercavamo di infilare le nostre goffe statuette fatte con la plastilina. Al nonno non piaceva tanto che il suo presepe venisse deturpato dalle nostre scomposte creazioni ma alla fine ci concedeva un angolo dove potevamo mettere in scena la nostra corte dei miracoli.

Foto del presepe di Piazza Unità a Trieste – Foto Milica Mila Jerkovic

Il presepe, se anche resta comunque un simbolo religioso esprime un messaggio universale. Celebra la nascita e la famiglia che sono valori condivisi da tutte le religioni. Anche per i non credenti il presepe ha un valore, se non altro culturale e artistico. Contiene anche simboli e figure del mondo pre-cristiano e orientale, come i Re Magi e nelle sue varie ambientazioni racconta le tante epoche diverse in cui lo si è rappresentato. È quindi assolutamente ragionevole e legittimo valorizzare e coltivare la tradizione del presepe.

L’universalità del presepe però funziona solo quando non viene usato come simbolo divisivo, in opposizione e in contrasto con chi non appartiene alla nostra cultura e alla religione cristiana. Piazzarlo in giro come se si volesse segnare il territorio è controproducente. Il presepe è vivo solo quando è sentito.

Ma c’è anche un’altra qualità che il presepe deve avere per toccare i cuori e suscitare la meraviglia propria di ogni favola: deve essere bello, fatto con gusto, con cura, insomma con arte, perché questa è la nostra tradizione.

Ecco, e qui arrivo al punto: il presepe di Piazza Unità a Trieste è brutto, quasi squallido, cupo, ispira tristezza. Non c’è sacro né favola nella sua composizione. La plastica del prato finto, dei rametti d’edera e dei fiori da cimitero, le scaglie di corteccia che si usano per impedire la crescita delle erbacce nei giardini, le poche e olografiche figure, il braciere che sembra una pizza, gli smisurati pali del doppio recinto che lo fanno sembrare una barricata, tutto richiama il brutto. Ma soprattutto, quel che rende ostile e minaccioso il presepe di Piazza Unità è il cartello di avvertimento della video-sorveglianza. Se un simbolo di pace e di festa ha bisogno della video-sorveglianza per essere rappresentato, vuol dire che non siamo né pace né in festa, vuol dire che senza video-sorveglianza verrebbe deturpato e vandalizzato, vuol dire insomma che non è sentito da tutti allo stesso modo.

Ma noi non vogliamo rinunciare al presepe, è una cosa nostra, è una cara tradizione. E allora qual è la soluzione? Innanzitutto magari, la bellezza. La bellezza suscita ammirazione, stupore ma anche riconoscenza e rispetto. Si fa più fatica a vandalizzare qualcosa di bello. A uno squallido catafalco invece si dà volentieri una pedata. Ma in ogni caso presidiare un presepe è sempre sbagliato. Ed è stato proprio Cristo ad insegnarcelo quando si è esposto al male del mondo per portarci il suo messaggio. Per questo noi dobbiamo allestire i nostri presepi accettando il rischio che vengano deturpati e vandalizzati. Anzi abbiamo bisogno di questo perché il nostro attaccamento al presepe abbia un senso e non sia solo una vuota pantomima. Sul Calvario non c’era videosorveglianza.

Diego Maraini
Scrittore e ex direttore dell’Istituto italiano di Cultura di Parigi
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