Il mare del tenente Dumont, in un libro di Marino Magliani

Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma) di Marino Magliani, scrittore italiano che vive nei Paesi Bassi, è entrato di recente nella dozzina dei finalisti del premio Strega 2022. Questo bel romanzo che recensisce qui per Altritaliani lo scrittore Giuseppe Raudino, anche lui olandese d’adozione, racconta di tre reduci dalla spedizione in Egitto di Napoleone che, dopo la battaglia di Marengo, disertano. E inseguono tra mille pericoli della Liguria il miraggio del mare e di una nuova vita. Qualcuno pero’ li osserva, perché in Egitto hanno scoperto una sostanza che annebbia le menti dei soldati, l’hascisc, e la loro esperienza potrebbe essere molto utile alla medicina del tempo… Nel romanzo è molto presente il paesaggio natìo di Magliani, la Liguria, che può esser considerato il quarto protagonista della storia.

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Marino Magliani è tra i dodici finalisti del Premio Strega 2022 con un romanzo sulla libertà, sui sogni e sul mare. Le tre cose sono generalmente legate nell’immaginario comune, specialmente con la vastità del mare a racchiudere ogni vagheggiamento di libertà, solo che il paesaggio marino di Magliani (mi si perdoni il gioco di parole) si limita giusto a qualche scena nel suo libro. Mi riferisco al romanzo Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma), nel quale il mare è sognato, immaginato, desiderato, indovinato, percepito, intravisto, ipotizzato e agognato quasi alla stregua di una meta che si sa irraggiungibile ma che si persegue con ostinazione. «Un mare […] non si vive mica, neanche attraversandolo» dice Lemoine, uno dei protagonisti. «Un mare [lo] si guarda dal basso o dall’alto».

Il mare di Marino Magliani

Mi sono chiesto cosa volesse dire una simile espressione, cioè che un mare può essere osservato o da una postazione sopraelevata o dabbasso. Ho trovato la chiave di questa opposizione in certe tracce biografiche dello scrittore, ligure di nascita e olandese d’adozione. La Liguria (che tra l’altro fa da sfondo a quasi tutto il romanzo) ha un territorio prettamente montuoso e collinare, mentre l’Olanda, pianeggiante e depressa, non a caso è conosciuta come Paesi Bassi perché arriva a stendersi anche al di sotto del livello del mare. Insomma, la Ligura ha una vivacità orografica impareggiabile e l’Olanda non ha che un orizzonte piatto in qualsiasi direzione. Entrambe le terre si affacciano sul mare, certo, ma la Liguria il mare te lo lascia ammirare dalle vette dei promontori, mentre l’Olanda te lo presenta alla vista dalle sue spiagge piatte, da qualche trincea scavata al di qua delle proverbiali dighe o al massimo da qualche piccola duna di poco conto.
Dicevo che il mare è desiderato e agognato nel romanzo di Magliani. Questo senso di trasporto è certamente accresciuto dalla sua descrizione in absentia: il lettore ne apprende la prossimità attraverso continue inferenze, come il profumo di salsedine che si trascina nell’aria e si posa sulle foglie e sugli alberi, oppure tramite la presenza di palmizi che ne rivelano un’incombenza quasi metafisica.

L’hascisc e disertori

Il mare è il filo conduttore di questa storia, che è principalmente la storia di una diserzione. Si parte dall’Egitto sul finire del XVII secolo, quando i prodromi del fallimento della campagna napoleonica sono ormai evidenti. Sulla nave salpata da un punto non troppo lontano dalle foci del Nilo ci sono anche due ufficiali (Lemoine e Dumont) e un soldato basco (Urruti), i quali portano con sé verso l’Europa un discreto quantitativo di hascisc, sostanza allora sconosciuta nel Vecchio Continente e fonte di preoccupazione per gli alti ranghi dell’esercito napoleonico in quanto sospettata di essere la causa del crescente numero di defezioni. I tre sodali hanno ben in mente un piano: abbandonare l’esercito, disertare, riabbracciare la libertà. Pare però che il loro piano sia stato intuito da chi sta in alto e allora viene sguinzagliata alle loro calcagna una rete di informatori e spie che devono riferire al medico colonnello Johan Cornelius Zomer, studioso olandese incaricato di produrre delle prove scientifiche a supporto della relazione tra consumo di sostanze cannabinoidi e diserzione. Ma come spesso avviene tra scienziato e oggetto della propria ricerca, può capitare che si instauri un coinvolgimento emotivo promiscuo che vada al di là di ogni freddezza asettica e oggettiva consentita ai ricercatori. Dopotutto il dottor Zomer è anche lui un sognatore che indulge ai ricordi dell’infanzia, quando trascorreva del tempo a far volare gli aquiloni nelle sterminate e ventose spiagge olandesi. Solo che bisogna stare attenti coi ricordi troppo dolci, perché «la memoria è un laccio, […] appena l’allenti risenti le cose nella liberazione, allora fai per dare lo strattone, e riecco il laccio… Per ultimo, un nodo strangola e le cose devono apparire da lontano».

L’estate

Zomer e Dumont sono le due facce della stessa medaglia con cui lo scrittore contempla la propria idea di mare divisa tra le spiagge nordeuropee e le coste liguri. Sì, perché dopo l’Egitto, il tenente Dumont e i due compagni vengono spediti a Marengo, dove, approfittando dell’ebbrezza di una vittoria decisiva per il proprio esercito e della confusione generale nel campo di battaglia, si defilano puntando a Sud-Ovest. Sono ancora in territorio piemontese, dove l’odio per i francesi è fortissimo, e giungono in Liguria arrangiandosi per tutta l’estate del 1800, bivaccando qua e là, rubando frutta e verdure, facendo del loro meglio per tenersi lontano da bande armate di soldati e briganti. Sarà un’estate indimenticabile, fitta di sensazioni. Sarà forse un caso che “Zomer”, che li osserva paternalisticamente e scrupolosamente lungo tutto il viaggio estivo di disertori, in olandese significhi proprio “estate”?

Il cannocchiale come motif

Il cannocchiale è il motif, l’oggetto che nella costruzione narrativa ricorre continuamente e lega molte scene e situazioni tra loro. Serve a esplorare l’ambiente, a tenere sottocchio gli strani figuri che orbitano intorno ai tre disertori, ma si rivela anche strumento di proiezione del proprio desiderio di libertà, un invito costante a osservare lontano, ad ogni passo del viaggio, l’apparire della meta. In questo caso la meta è Porto Maurizio, parte dell’odierna città di Imperia, e trampolino di lancio verso terre esotiche dove spendere il resto dei propri giorni da felici disertori. Ma per arrivare a Porto Maurizio bisogna zigzagare tra valli e costoni della campagna ligure, la stessa campagna in cui è nato Magliani e nella quale ha trascorso l’infanzia. Dal suo paese natale, Dolcedo, il mare dista appena cinque o sei chilometri in linea d’aria, ma la sua presenza è assai lontana, non si nota, è nascosta da monti e vegetazione. Sono gli stessi personaggi a far notare questa peculiarità: «Lo vedi il mare, quando esci di qui? Non credo, dal paese non si vede, chissà dove bisogna salire…»

Il cannocchiale come sguardo verso il sogno di libertà

E allora il cannocchiale diventa un gesto, un esercizio, un tic nervoso, una protesi magnificante che asseconda l’incessante bisogno di scrutare l’orizzonte in cerca del luccichio delle onde, della salvezza. Lo si allunga grazie al sistema telescopico, si sente un clic e ci si getta dentro un occhio. Ma se l’oggetto del desiderio non è in vista, non è il caso di demoralizzarsi, come ricordava il capitano Lemoine: «Se il mare non appare, in Liguria c’è lo stesso, dappertutto, è incollato alle foglie delle palme, alle pietre». Persino nel cielo si può ritrovare il mare, basta contemplarlo come un àugure che trae auspici dal volo degli uccelli: «Le rondini. Così in alto è raro vederne. Il mare non c’è e allora uno lo inventa».

Questa scena con le rondini in Liguria rima con un’altra scena descritta nelle primissime pagine del libro e ambientata in Egitto, nei pressi di un lago salmastro noto ai Greci come Mareotis: «Il cielo si stringe nel ritaglio delle tettoie e dei muri, i voli delle rondini sfiorano le palme.»
Questo accostamento sta quasi a significare una continuità spazio-temporale tra la libertà ricercata dai disertori e quella naturale degli uccelli, tra la condizione presente in Liguria e i lidi esotici con cui colorare le speranze per il futuro.

Il cannocchiale è l’oggetto con cui simbolicamente ci si aggrappa al futuro. Porta con sé alcune incertezze. Un giorno subisce un danno urtando qualcosa, e comincia a non funzionare bene. Oppure l’occhio che vi si accosta è stanco. La messa a fuoco è sempre più difficile, forse anche a causa dell’obnubilamento dovuto all’hascisc o a qualche immancabile malattia che coglie i disertori lungo il farraginoso cammino fatto di precarie condizioni igieniche. Il sogno sfuma, perde intensità nei contorni, ma resta sempre il punto dell’orizzonte a cui tendere senza mai giungervi, forse perché «disertare è qualcosa che non finisce, diventa una missione, una carriera. Un grado. […] Il disertore, senza saperlo, lavora fino alla fine a qualcosa di impossibile, non c’è in effetti un sogno, niente potrebbe avverarsi, se non che si sta già facendo il possibile per allungare il tempo […]. Il sogno è non saperlo, la negazione di un destino segnato, e quello di chi vive e muore in queste vallate non dev’essere poi così diverso».

Una lingua preziosa

Marino Magliani – Foto di Yuma Martellanz

Concludo con qualche considerazione sullo stile. La storia si dipana lentamente, senza molti colpi di scena, anche se il finale alquanto imprevedibile merita tutto il paziente percorso al fianco di Dumont nell’arco di un’estate. È un procedere lento, riflessivo, pacato. Ogni piccolo avvenimento, incontro, sensazione vengono passati al vaglio del narratore, che dilata il tempo e scandisce la pacatezza del ritmo. È il respiro coscienzioso di questo romanzo, nel quale certe azioni si avviluppano in un circolo, tornano sui propri passi, ripercorrono i medesimi luoghi o sentieri assai simili a quelli per i quali si è già passati. Può piacere o no, ma è questa la dimensione di cui il romanzo vuol farci fare esperienza. In compenso la lentezza ci regala una prosa ricercata, precisa, colta, insieme ai numerosi momenti di poesia, come certe immagini che si nutrono di lirismo descrivendo la «calma incandescente che al tramonto rotola sulla spiaggia e soffia la polvere nei quartieri orientali». Ma forse, tra le tante citazioni poetiche presenti in questo libro di Magliani, le righe più belle sono ancora quelle dedicate al mare: «Un vapore annunciava qualcosa, e dietro il buio li aspettava l’aurora degli ulivi. Sono di un muschio azzurro e coprono le fasce fin sui costoni di fronte. Il mare non c’è nemmeno oggi, e in qualche modo le onde degli alberi sostituiscono il contraltare liquido. Risaltano striature di diamanti, sentieri, crepe, da cui emergono gruppi di tetti di ardesia. Al mare di ulivi manca solo il mare, ed è davvero come se fosse nell’aria, nei colori».

Giuseppe Raudino

IL LIBRO:
Il cannocchiale del tenente Dumont
di Marino Magliani
L’Orma editore
maggio 2021
296 pagine – € 20,00
Scheda del libro con riassunto della trama e link per acquistarlo

L’AUTORE:
Marino Magliani è nato in una valle ligure e ha trascorso gran parte della vita fuori dall’Italia. Oggi vive tra la sua Liguria e la costa olandese, dove scrive e traduce. È autore di numerosi libri tra cui ricordiamo: Quella notte a Dolcedo (Longanesi 2008), L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exòrma 2017) e Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere 2018). Al romanzo Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma, 2021) ha lavorato per vent’anni.  Il libro è stato  proposto da Giuseppe Conte per la LXXVI edizione del Premio Strega 2022.

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Giuseppe Raudino
Giuseppe Raudino nasce a Catania nel 1977 ma vive a Siracusa fino agli anni del liceo. Si appassiona presto al giornalismo, attività che porta avanti insieme agli studi in Scienze della Comunicazione presso l’università di Siena, dove si laurea con una tesi in Semiotica su Umberto Eco nella quale ne analizza gli scritti teorici sul comico e i giochi linguistici. Nella metà degli anni 2000 si trasferisce definitivamente in Olanda per insegnare materie inerenti a giornalismo, teoria dei media, antropologia e metodologia della ricerca presso l’Università di Scienze Applicate di Groningen. Accanto all’attività accademica, Giuseppe Raudino si dedica anche alla narrativa. Tra le sue pubblicazioni più recenti ci sono due romanzi, entrambi usciti nel 2019: 'Mistero nel Mediterraneo' (Genesis Publishing) e 'Stelle di un cielo diviso' (Alessandro Polidoro Editore) e nel 2022 "Quintetto d'estate" (Ianieri Ed.)

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