I ricordi d’André François-Poncet come Ambasciatore di Francia a Roma dal novembre 1938 al giugno 1940 (“Au palais Farnèse, souvenirs d’une Ambassade à Rome”) sono stati ripubblicati, con la prefazione di Maurizio Serra, quest’anno nella collana “Tempus” delle edizioni “Perrin”, quasi contemporaneamente alla crisi diplomatica di pochi mesi fa con il breve richiamo dell’Ambasciatore Masset.
Questi ricordi appaiono come un monito per tutte quelle situazioni estreme ed infuocate che fanno perdere il controllo dello stato delle cose a chi le ha ma anche a coloro che hanno cercato di evitarle. Già con il precedente “Souvenirs d’une Ambassade à Berlin, 1931-1938” (ripubblicati da “Perrin” nel 2018) François-Poncet (1887-1978), già insegnante di tedesco, da ambasciatore, aveva descritto i vani tentativi di dialogo con i suoi interlocutori, al fine di contenere le mire espansive di Hitler e per evitare quell’escalation che porto’ in breve tempo alla tragedia del secondo conflitto mondiale.
La fede di François-Poncet, nel suo lavoro, era rimasta tale anche dopo che la Germania s’era annessa l’Austria e il territorio ceco dei Sudeti, cosi che nel 1938 aveva deciso di continuare ad esercitarla a Roma, contro l’evoluzione in corso degli eventi (di quei mesi è la visita di Hitler in Italia) fino all’asse verso il “patto d’acciaio” con la Germania, contro gli scetticismi di Parigi verso l’Italia che – come Maurizio Serra ha ricordato nella prefazione di questa riedizione, presentata il 9 ottobre all' »Association France-Italie »- risalivano a prima della guerra d’Etiopia e a prima, degli accordi Mussolini-Laval (non ratificati poi dall’Italia) e della conferenza di Stresa del 1935, che segnarono il fallimento dei tentativi di Mussolini, Laval e Mac Donald di progettare un fronte comune italo-franco-inglese contro l’egemonia espansionistica tedesca.
La precisione di Serra è documentata da quanto scrissero i diplomatici di allora: Léon Noël e Paul Morand sugli atteggiamenti dei Segretari Generali del Quai d’Orsay Philippe Berthelot e Alexis Léger, succedutisi nel 1933, e dalle critiche d’assenza d’una giusta distanza con il regime, fatte ai predecessori di François-Poncet a Palazzo Farnese, fino a Jules Blondel che fu l’Incaricato d’Affari di una Francia che non riconosceva Vittorio Emanuele III come Imperatore d’Etiopia. Viceversa, l’Italia, dopo il pensionamento di Vittorio Cerruti, nel 1938 aveva inviato come Ambasciatore a Parigi Raffaele Guariglia, il quale, all’ordine di Ciano « di non fare un granché o di non fare nulla« , aveva risposto: “E’ difficile, ma farò del mio meglio” (dai “Ricordi 1922-1946” citati da Serra).
François-Poncet era dunque giunto a Roma in un’atmosfera che non gli era favorevole (anche la guerra civile in Spagna e il fronte popolare in Francia avevano intanto alimentato le divisioni). Mussolini che egli aveva ammirato alla Conferenza di Monaco per aver tenuto testa ad Hitler con la soluzione pacifica (seppure per poco) sulla questione dei Sudeti gli sembrava avesse perso di ascendente (come evidenzio’ Chaplin ne “Il grande dittatore”) su Hitler, che non fosse più al suo livello di carisma, e che fosse perciò ancora trainabile verso la neutralità, se non addirittura verso un’alleanza con Francia ed Inghilterra. Le quali avevano continuato a non concertare le loro politiche estere né dopo la conferenza di Stresa, con l’accordo navale dell’Inghilterra con la Germania che nel 1935 aveva, di fatto riconosciuto il riarmo di questa, né nel 1938 quando l’Inghilterra con gli accordi “di Pasqua” aveva di fatto riconosciuto la sovranità italiana in Etiopia in cambio dello “status quo” nel Mediterraneo. Proprio perciò François-Poncet aveva chiesto, durante la prima visita a Ciano, se si potessero riaprire le trattative degli accordi Mussolini-Laval, ma le sue intenzioni realistiche erano state vanificate tanto dalla mancanza d’una risposta quanto (sempre secondo la minuziosa ricostruzione di Serra) dall’atteggiamento costantemente negativo di Quai d’Orsay, giustificato del resto, dalle propagande sulla superiorità romana, sul declino della terza Repubblica a Parigi, dall’asse” con la Germania conseguente all’assenza in Francia di sentimenti a favore dell’Italia e dalle mire verso la Tunisia, la Corsica, Nizza, la Savoia ecc. ecc., insomma di tutto ciò che Mussolini s’era trattenuto dal manifestare a Palazzo Venezia a François-Poncet durante la sua prima visita, concessagli tre settimane dopo la richiesta. Su questo Ciano era rimasto, secondo l’etichetta fascista, sempre in piedi di fronte al Duce, il quale s’era limitato a definire “una vescica” i socialisti e i comunisti che con uno sciopero minacciavano di far cadere il governo di Daladier, lamentandosi d’essere stato criticato per l’intenzione di volere un “club di macellai” tra le potenze occidentali, e aveva definito la Russia un Paese “asiatico”!
Mussolini, sollecitato da François-Poncet, aveva risposto che nessuno aveva più pazienza di lui, senza fare alcun cenno di riconoscimento alla Francia che aver voluto ristabilire le relazioni diplomatiche normali con l’Italia dopo la conquista dell’Etiopia. L’indomani al discorso di Ciano sulla politica estera alla Camera dei Fasci, ove François-Poncet era presente, Mussolini aveva comunque dato una prova della sua pazienza agitando solo gli occhi mentre era seduto al banco del Governo di fronte alle urla revanscistiche!
A François-Poncet non rimaneva allora che lavorare con Ciano, che al confronto di Ribbentrop con cui aveva avuto a che fare a Berlino, appariva più moderato: nonostante la lealtà al suocero, nonostante la sua intelligenza fosse pari alla sua vanità (aveva meno medaglie sul petto di Ribbentrop ma non aveva rinunciato a indossare l’uniforme di Comandante dell’Aviazione per consegnare a François-Poncet la dichiarazione di guerra); e nonostante le trame nascostegli con la Francia: compresi i tentativi, riportati nel suo “Diario”, falliti dopo che erano stati rivelati da “L’Humanité”, di riavvicinamento tra i due Paesi affidati ai colloqui tra l’industriale Fagioli e il banchiere Baudouin (poi Ministro degli Esteri di Pétain per un breve periodo, prima di Laval allo stesso tempo Vice Presidente del Consiglio).
La “fede” di François-Poncet nella sua “missione”, nonostante (dopo Berlino) non si facesse illusioni, lo aveva anche portato a instaurare tra l’Italia e la Francia delle consultazioni sul Mediterraneo dopo la guerra d’Albania, condotte dal Senatore Amedeo Giannini e dal futuro Ambasciatore a Washington e Segretario Generale del Quai d‘Orsay Hervé Alphand dal cui “Diario”, come da altri documenti diplomatici, emergono poi sia il cinismo a Roma che, ancora una volta, lo scetticismo al Quai d’Orsay a danno dell’ottenimento di qualche risultato.
Scetticismo trasformatosi poi nel rifiuto d’una nuova conferenza a 4, proposta da Mussolini, al momento dell’invasione tedesca della Polonia, che faceva seguito a quello dell’Inghilterra e che riduceva infine il Duce ad essere definitivamente un fantoccio nelle mani di Hitler, nonostante la “non belligeranza” dell’Italia al fianco di questi, in attesa del completamento (originariamente previsto più lungo, fino a dopo l’esposizione universale all’Eur, di quanto lo è insufficientemente stato) dei suoi aiuti militari.
Il Capo di Stato Maggiore della Difesa Gamelin aveva comunque predisposto la mobilitazione sul fronte delle Alpi e navale nel Tirreno, finché (all’inizio delle offensive tedesche a ovest) l’ultimo tentativo della Francia di trattare con l’Italia era stato quello del Presidente del Consiglio Reynaud, conscio però del rifiuto di Mussolini ad ulteriore conferma del suo atteggiamento. Né fu utile un piano del Ministro deli Esteri Daladier teso ad offrire promesse sproporzionate all’Italia in Africa, se fosse passata alla neutralità, era stato considerato irrealistico ed era stato perciò rifiutato da Churchill.
La rapidità dell’offensiva tedesca in Francia porto’ quindi Mussolini a credere che, alleato con questa, si sarebbe presto seduto come covincitore al tavolo della pace. L’armistizio con la Francia dopo i conflitti nelle Alpi marittime e in Liguria, a Villa Incisa a Roma nel giugno del 40, ebbe un’atmosfera, tra Badoglio e Huntzinger, ben più cortese e rispettosa, ben diversa dunque dall’umiliazione subita dal Generale francese firmando la resa ai tedeschi nel vagone di Compiègne.
L’isolamento di François-Poncet, a Palazzo Farnese, prima di ricevere la dichiarazione di guerra, di fronte anche alle manifestazioni ostili organizzate da Starace, aveva offerto almeno il vantaggio di dare, in quell’atmosfera, la migliore formazione ai suoi collaboratori, che diverranno poi ambasciatori di Francia noti quanto lui: Hubert Guérin, Armand Bérard e Christian de Margerie. Di conforto a François-Poncet fu a Roma anche il suo collega presso la Santa Sede François Charles-Roux, nonostante ambedue condividessero l’inefficacia degli appelli di Pio XII al governo italiano. I suoi “Huit ans au Vatican, 1932-1940” (prima dei suoi “Cinq mois tragiques aux Affaires étrangères: 21 mai-1er novembre 1940” come Segretario Generale), oltre ad avergli ispirato i libri che ha scritto su Bonaparte (dal nome della villa sede dell’Ambasciata francese presso il Vaticano) sono stati comunque sufficienti perché dei tre figli: uno, Jean-Charles, divenisse rosminiano; una, Cyprienne, sposasse il Principe del Drago; e l’altra, Edmonde, vincesse con il suo romanzo “Oublier Palerme” il “Prix Goncourt” nel 1966 (poi la sua notorietà è divenuta tale per cui, dopo essere rimasta vedova di Gaston Defferre, ha tra l’altro presieduto l’”Académie Goncourt” fino al 2014).
Amaramente Poncet nei suoi ultimi drammatici anni da ambasciatore in Italia dovette assistere alle “farse”, dalla guerra in Albania voluta dal duce per sorprendere Hitler a ricambio delle “farse” del Führer sull’Austria e la Cecoslovacchia, a quella di protesta a Salisburgo con Hitler e Ribbentrop per l’imminente guerra alla Polonia, ricambiata a sua volta con la “farsa” del patto Molotov-Ribbentrop, “farse” che si sono tradotte e moltiplicate in tragedie quando neanche coloro che le avevano create e coloro che da vicini le hanno subite potevano più controllarle.
Lodovico Luciolli