Torniamo a parlare nella rubrica Missione Poesia di Domenico Cipriano, attraverso l’auto-antologia La grazia dei frammenti dove, per ricongiungere le tre età dell’uomo, passato, presente e futuro, l’autore scandaglia la propria interiorità attraverso lo sguardo attento e amorevole sui territori delle sue origini, restituendoceli intatti nel loro valore di verità, fonte necessaria per una poesia degna di tale nome.
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Domenico Cipriano è nato nel 1970 a Guardia Lombardi (AV), vive in Irpinia. Vincitore del premio Lerici-Pea 1999 per l’inedito, ha pubblicato: Il continente perso (Fermenti, 2000, premio Camaiore opera prima), Novembre (Transeuropa, 2010, rosa finalista premio Viareggio), Il centro del mondo (Transeuropa, 2014, premio Pisano), November (edizione bilingue a cura di Barbara Carle, Gradiva Publications, New York, 2015) e L’Origine (L’arcolaio, 2017). Nel gennaio 2020 è stata pubblicata l’antologia La grazia dei frammenti (poesie scelte 2000-2020) (Giuliano Ladolfi editore, 2020). Ha collaborato con vari artisti, attori, pittori, fotografi, musicisti, per la realizzazione di progetti di contaminazione della poesia con altre forme artistiche. Ha realizzato il cd di jazz e poesia “Cipriano, Marangelo, Orefice – Jpband”: Le note richiamano versi (Abeatrecords, 2004) e guida la formazione di musica e poesia “E.VERSI” jazz-poetry-band (con Carmine Cataldo e Fabio Lauria). Nei giorni di quarantena è nato lo spazio YouTube “Parole Necessarie” dalla collaborazione con il chitarrista Alessandro Cataldo. Presente in riviste e antologie, è redattore della rivista “Sinestesie”.
Per altre info sull’autore vedere al link: https://altritaliani.net/domenico-cipriano-e-il-centro-del-mondo-una-poetica-uno-stile/
La grazia dei frammenti
Non mi stancherò mai di dire che quando, raramente, capita di sentirsi in sintonia con la poetica di un autore, tanto da farti sembrare che ciò che scrive ti riguarda come cosa tua, ovvero quando si instaura tra lo scrittore e il lettore, una relazione narrante, quando si crea quella magia che ti fa pensare “ecco, questo mi riguarda, è ciò che sento anch’io…” vuol dire che ci troviamo di fronte a qualcosa di speciale, a qualcuno che è riuscito a comunicare il suo pensiero penetrando anche nel vissuto degli altri. Ebbene, ascoltando e leggendo i testi di Domenico Cipriano, questa relazione narrante, si verifica sempre. Mi accorgo adesso che, ovviamente, uno dei primi poeti di cui ho cominciato a scrivere, per la rubrica Missione Poesia, è stato proprio lui, ed era il 2014… sembra passato un secolo, eppure ciò che pensavo allora posso tranquillamente riconfermarlo oggi, a distanza di anni, alla lettura di questa breve antologia che ripercorre le tappe salienti della sua poetica.
La grazia dei frammenti, edito da Giuliano Ladolfi Editore nel 2020, si suddivide in quattro sezioni principali: Il continente perso, Novembre, Il centro del mondo, L’origine, e si chiude con una breve sezione di inediti dal titolo Nel bicchiere da consumare (sei poesie dedicate al vino). L’opera ci consegna, quindi, una selezione dei più significativi testi delle raccolte precedenti, indicandoci il cammino di un autore che, sempre presente a sé stesso, non ha mai mancato di tenere ben teso quel filo principale del suo discorso affidato alla poesia. Per questo motivo, probabilmente, pescando proprio tra quei Frammenti, Cipriano ha ben pensato di aprire il libro con una delle poesie che, a suo dire, testimoniano semplicemente quello che era il suo sentire agli esordi, circa vent’anni fa – e che non viene rinnegato -, laddove sono proposti e riassunti i bisogni di una generazione di giovani di provincia, ovvero quell’esigenza di provare ad andare oltre la realtà del quotidiano per coltivare sogni, seppure attraverso le difficoltà che la vita pone loro davanti, e che spesso non consentono il cambiamento, difficoltà che risultano superabili, per l’autore, solo attraverso la frequentazione dell’arte in tutte le sue forme, e la determinazione a continuare, a insistere, a perseverare al di là di tutto. E Cipriano questa determinazione l’ha avuta e mantenuta, tanto da diventare un autore di significativo riferimento per la poesia italiana: Sulle mie montagne/c’è il mare./Lo guardo appoggiando/l’ombra a un palo./Sempre tempestoso/riflette gli animi/di questa gente./Chi vive lì sotto/vede fosche giornate/ripersi, inutili,/senza sogni, né/speranza di cambiare.//Siamo pochi/rimasti a guardare/questo mare./Scompare/a Mezzogiorno,/quando la bassa marea/assorbe le sue nuvole.
Detto questo, è ormai assodato che egli può essere inserito in quella schiera di poeti che hanno a cuore i propri luoghi, e gli affetti ad essi collegati; che attribuiscono un grande valore alle radici, quale parte integrante della realtà di cui ci parlano; che non possono fare a meno di sentirsi impregnati di sentimenti e emozioni vivissime, confrontandosi con quegli stessi luoghi originari e con le esperienze ad essi collegate. È in questa maniera, lo abbiamo già detto in passato, che i luoghi evocati e cantati diventano i luoghi universali della poesia, i luoghi con cui confrontarsi, stare bene, trovare sé stessi e il contatto con gli altri.
Così è per le poesie contenute nelle prime due sezioni, tratte quindi dai primi due libri citati, che hanno a che fare proprio con la terra, la sua terra, quell’Irpinia tanto tormentata dalle vicende telluriche, in particolare quelle riferite al terremoto del 1980: nella prima sezione (Il continente perso) sono i sentimenti forti e contraddittori, forgiati dall’accettazione e dal desiderio di ribellione, che si riflettono sulle luci e sulle ombre, sui pochi abitanti, sulla monotonia dei giorni, sull’osservare il mare da lontano e i treni e i viadotti, nel valore assoluto consegnato all’amore; nella seconda sezione (Novembre) ecco che si ci appella ai sopravvissuti, a ciò che resta e va conservato, nel resoconto umanizzato dalla voce di un autore che rivive quell’esperienza con gli occhi dell’infanzia (all’epoca Cipriano aveva dieci anni), e ne trasmette gli spunti più salienti, edificati in una via ormai smarrita, sotterrata dalle macerie come le vite di chi là sotto è rimasto.
Ciò che colpisce di questi testi, forse tra i più veri scritti dall’autore, è l’atmosfera in cui tutto sembra essere avvolto, come impregnato da un immobile senso di impotenza, che non sa affrontare l’avidità e la perfidia di chi dovrebbe pensare alla ricostruzione, mentre quella frantumazione del senso stesso della vita, è comunicata attraverso lo sconcerto di chi si è visto svanire in pochi attimi tutto ciò che, fino a quel momento, aveva contato: la famiglia, i ricordi, la casa, l’intero passato… tutto cancellato in una voragine che resterà per sempre aperta dentro ognuno, e dentro quel bambino che si farà poeta, che ne farà poesia impiantandovi le basi della sua storia personale, oltre a quella dei suoi luoghi e della sua poetica futura.
Dalle ceneri ancora fumanti di Novembre nascerà infatti la nuova raccolta, Il centro del mondo: qui troveremo, su uno sfondo che ancora e comunque si concentra sulla sua terra d’origine, l’analisi e la comparazione con il resto dell’universo. All’uomo tecnologico, frettoloso, viaggiatore, oberato e scevro dai legami familiari e sentimentali Cipriano oppone l’uomo semplice, feriale o festivo che sia, quello che lavora ogni giorno nel suo luogo, al quale non interessa il percorso di globalizzazione, quello che osserva ciò che muta ma che spera che non scompaia ciò che è stato, quello che crede nella continuità di una geografia dell’anima, delle sue tradizioni, dei suoi miti, dei suoi archetipi e che si fa aedo per cantarli e preservarli dall’oblio, quello che riconosce ancora nei volti degli amici e dei propri cari l’affetto da cui trarre forza per costruire e mantenere il proprio centro del mondo.
Da questa dimensione si è a un passo da L’origine, ovvero dai testi scelti dalla quarta raccolta di Cipriano, nei quali si ravvisa una notevole crescita sia stilistica che contenutistica. Si potrebbe parlare di consistenza filosofica, che nasce dalla ricerca e si completa nell’esperienza, e che si rapporta con le nostre origini, dunque con chi era qui prima di noi, e ai quali si diventa grati di esserci stati per averci resi ciò che siamo. In questo senso si fortifica quale fondamento di incontro di civiltà, e continuazione di cammino, il sentimento riservato, nell’omonimo testo, all’amico Salvatore che ha trovato i segni del Paleolitico in Irpinia e dal quale nasce spontanea la domanda: Avremo la stessa cura (credendo illusi a un futuro eterno)/di tramandare un legame duraturo/con quanti attraverseranno questo spazio/e l’aria respirata da chi l’ha vissuto,/ora che lo sguardo ci rivela chiari/i segni illuminanti del paesaggio?
Per concludere possiamo essere certi che questi Frammenti trovano la loro Grazia in una congiunzione ottimale, per i tre tempi fondamentali che scandiscono la vita dell’uomo: passato, presente, futuro e che per esprimerli al meglio Cipriano scandaglia i luoghi della propria interiorità, disinfetta le ferite, cura gli affetti e, soprattutto, esplora con l’occhio attento di un innamorato quei territori della sua nascita, delle sue origini, del suo abitare, per restituirceli intatti e non disgiunti da quella felicità che nasce da un coscienza, capace di rimarcare il valore della verità in una poesia che, per esser tale, deve solo ricercarla e professarla.
Alcuni testi da: La grazia dei frammenti
da: Novembre
la vita tra le intercapedini dei muri diventa
meno artificiale. bastano parole poche e gesti
per riempire le giornate. le notizie tra le attese
alimentano la parte inafferrabile di ogni labile
esistenza. poi tutto si ricompone stringendosi
ai residui della vita: il confine è già segnato
e nulla ti riporta indietro.
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da: Il centro del mondo
[…]
Se ti affacci al bordo di una rupe riconosci la vertigine
ma il tempo muta il suono che urla nel ventre
a cui non torni. Sarai altro e da questo non hai scampo
(affliggono i ricordi) conservando silenzioso
la passione di vivere ogni istante nella solitudine
assurda del paese.
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Da: L’origine
Soffro la distanza dalla scrittura
l’indecifrabile cantabilità immaginata di un paese
le tue labbra friabili e distese
la logica imperfetta che ci unisce
e lenta svilisce, riappacifica ogni sogno. […]
[…]
È un tratto semantico
che dice il paese e ti riposi
passando lo sguardo dalla sedia
alle persone
alla loro processione
di ritorno
frammentata e fedele, invogliata dal senso del dovere. […]
Dei paesi vivete
il silenzio, il respiro
affannoso d’inverno,
la nebbia che sfoca
i contorni, le ore
fredde d’assenza,
la notte muta
dei cani, le case
stese al sole, i vicoli
adombrati, le panchine
vuote, le pietre erose,
le stelle cadenti
in estate. […]
***
da: Nel bicchiere da consumare
Questa sera vengo a cercarti
nel sapore di un vino corposo
che nasconde le tue carni rosse
dal vezzo cerimonioso, è un aglianico
delle colline irpine dove sorge
la poesia nella frescura del mattino […]
Bologna, giugno 2022
Cinzia Demi
Altri contributi di « MISSIONE POESIA », rubrica Altritaliani di poesia italiana contemporanea curata da Cinzia Demi: biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. Contatto: cinziademi@gmail.com