Conversazione su Tiresia, scritto e interpretato da Andrea Camilleri, è andato in scena per la prima volta al Teatro Greco di Siracusa nel giugno 2018 nell’ambito del 54° Festival del Teatro Greco. Lo spettacolo filmato dal regista Roberto Andò è stato riproposto da La Rai il 17 luglio 2019. Sarà possibile rivederlo a Parigi alla Maison de la Poésie il 11 ottobre 2020 alle 14.30 nell’ambito del Festival Italissimo.
Andrea Camilleri ha scritto questo monologo, partendo dal mito e dalla storia del mago di Tebe Tiresia, mitico indovino greco la cui figura è presente in tutta la storia della letteratura. Il personaggio di Tiresia ha sempre affascinato Camilleri, tanto da spingerlo a inscenare una conversazione tra lui e i massimi romanzieri, poeti, filosofi di ogni tempo: nel testo Tiresia si confronta con tutti, da Omero a Wood Allen, passando per Dante, Eliot, Pound, e Pasolini.
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Uno scritto e studio di Andrea Carnevali che ben volentieri pubblichiamo:
“La voce di Camilleri è immensa, cavernosa. Risuona dalle profondità di mondi sepolti. E ha i timbri forti della recitazione antica dei cantastorie. Il modo che Camilleri ha di raccontare è caustico. Rimbalza da una malizia ironica a una sapida arguzia: dentro una trama compatta ed efficacemente analitica”. La voce di cui parla Salvatore S. Nigro, riusciamo a sentirla anche noi quando leggiamo il testo, concentrandoci sulla storia del veggente Tiresia, scritta da Camilleri. Ma ci si accorge subito che Conversazioni su Tiresia non è un testo unitario: l’opera ha una doppia anima, quella propensa a privilegiare lo spaccato ideologico e l’attrito storico-sociale presenti in diverse epoche; e quella di novità teatrale specificatamente per la sua struttura, tra storia e mito e perché no di romanzo.
Nel monologo troviamo indicazioni per la messa in scena: proiezione di sequenze di film, ascolto di brani o strumenti musicali. Il racconto si sviluppa in un arco di tempo ampio, pertanto il tempo del racconto non coincide con la figura letteraria di Tiresia. In più, il testo è costruito attraverso una successione molto fitta di vicende che interrompono il ritmo della scrittura, ma se Camilleri avesse utilizzato un sistema narrativo unico, come nella novella, la fabula avrebbe rallentato il tempo, “…affievolendo l’interesse” del lettore, come per altro sosteneva Cesare Segre (2012, 135).
Nella prima parte del testo non ci sono sorprese, ossia Tiresia è un personaggio mitologico, il figlio di una ninfa di nome Cariclo e di uno dei fondatori della città d’origine, nato a Tebe, sul Monte Citerone. Da adolescente gli piaceva fare lunghe passeggiate solitarie sul monte e un giorno, mentre stava seduto su una pietra, vide venire verso di lui due grandi serpi avviticchiate nell’atto della riproduzione. “Ero sovrappensiero, per questo reagii come mai avrei dovuto. Perché coi serpenti, sul Citerone bisognava andarci cauti” (Camilleri 2019, 13). Nel bosco si potevano nascondere delle insidie: gli dèi appunto si trasformavano, a volte, in animali per nascondere le loro vere intenzioni. Così, senza pensarci due volte, Tiresia prese un ramo e tentò di uccidere le due serpi: armato di coraggio sferrò un colpo così forte che uccise una delle due: all’improvviso, la serpe, che fino a quel momento aveva un aspetto mostruoso, si trasformò in una donna.
Tiresia vive totalmente e perfettamente sia il lato femminile, sia il lato maschile senza avere conflitti esistenziali. Egli, tuttavia, non si sente vicino al modo di ragionare delle donne. Perciò, “…non potendone più, disperato, decise di andare a consultare la Pizia, ormai troppo avanti negli anni” (15). Sarebbe dovuto andare di nuovo sul Monte Citerone e sedersi sulla stessa pietra in cui si era seduto sette anni prima e uccidere un altro serpente maschio. Insomma, tutto dipendeva da Zeus che non si doveva mettere questa volta di traverso. Ucciso l’animale, Tiresia ritornò immediatamente maschio. Nella nuova condizione ebbe modo di sposarsi e di avere due figli: “uno maschio e una femmina. La femmina si chiamava Manto e veniva su una bambina piuttosto strana” (16) della qual cosa scoprii il perché.
La relazione tra Zeus ed Era andò avanti per molto tempo, fino a quando i due non si misero a discutere sul sesso, il che provocò un diverbio molto forte. “Uno scambio di vedute piuttosto acceso direi, perché dovete considerare che Era e Zeus non erano solo marito e moglie ma anche, e soprattutto, sorella e fratello. Si amavano e si detestavano appassionatamente. Pensate solo che la prima volta che si unirono carnalmente, il loro amplesso durò trecento anni” (17).
Le due divinità litigavano per stabilire chi provasse più piacere nell’atto sessuale tra l’uomo e la donna. Zeus volle interpellare Tiresia, dato che era stato sia uomo, sia donna. Prima di dare una risposta, Tiresia rifletté su ciò che avrebbe dovuto dire, cercando di evitare la collera degli dèi. Pensò di favorire Era per non fare scatenare la sua rabbia poiché temeva che le sue parole avessero delle conseguenze letali. Così Tiresia disse che su dieci gradi, la donna ne godeva nove e l’uomo solo uno. E la dea si infuriò! Era accecò Tiresia perché non era d’accordo: ella pensava che l’uomo era colui che godesse di più. Tiresia chiese a Zeus di riavere la vista, ma il dio rispose che non poteva cambiare ciò che aveva fatto un altro dio. Zeus, però, volle concedere a Tiresia il dono della preveggenza, ossia della vista eterna. E fin qui il tono di Camilleri è abbastanza pacato e lo stile sobrio!
Nella seconda situazione scenica, la scrittura è molto rapida e calcolata perché Camilleri intende illustrare e altresì commentare le grandi controversie letterarie che sono sintetizzate dallo scrittore.
Nel poema omerico, l’indovino entra in gioco quando Odisseo cerca di tornare a casa; la maga Circe aveva consigliato di “consultare l’anima del Tebano Tiresia” (Omero 1993, 141). Nonostante sia nell’Ade, il veggente conserva il suo aspetto e la sua identità; e grazie a Persefone ha mantenuto, anche, le facoltà della preveggenza che saranno interrogate da Odisseo per conoscere le insidie da affrontare per ritornare a Itaca. La previsione del futuro è per l’eroe greco motivo di speranza perché non sa più nulla di sua famiglia e della patria. Qui Camilleri si sofferma sul comportamento e sull’indole di Odisseo: “…vagabondo per i mari per un altro decennio almeno…quindi non mi pare che avesse tutta ‘sta gran voglia di tornare a casa!” (Camilleri 2019, 26). Come si può notare da questa citazione, lo scrittore commenta in gergo le intenzioni dell’eroe greco che viene considerato un astuto avventuriero, in parziale contrasto con le posizioni di Tiresia.
Non va certo meglio con Dante Alighieri perché la tradizione filosofica e teologica limitò e spesso condannò il mito di Tiresia. Perciò Camilleri si discosta dalle osservazioni di Dante sull’indovino, che conosciamo nel canto XX dell’Inferno: “… Tiresia, che mutò sembiante/ quando di maschio femmina divenne, cangiandosi le membra tutte quante; / e prima, poi, ribatter li convenne / li duo serpenti avvolti, con la verga/ […]” (Dante 1321[1992], 299). Si riesce, tuttavia, a capire che la preoccupazione di Dante per il dilagare della superbia dell’uomo, disubbidendo alla parola di Dio per conoscere il suo futuro, è dovuta alla brama di potere dei piccoli comuni. Dante è convinto che la pena inflitta a Tiresia sia giusta per due ragioni: la prima perché ha ingannato la gente con false profezie, la seconda perché ha stravolto le leggi divine mutandosi in donna, e anche questa volta Camilleri è in disaccordo perché “Dante sa benissimo che la metamorfosi non è accaduta per mia volontà, anzi è capitato tutto contro la mia volontà, ma egli ha il massimo interesse a una sorta di damnatio dei profeti pagani a favore di quelli che predisse l’avvento del suo Dio” (Camilleri 2019, 32). Molti intellettuali accettarono il giudizio espresso da Dante sul veggente, senza cercare di superare l’imparzialità con cui era stato giudicato il mago di Tebe. Ma in realtà, nel discorso dantesco manca una parte essenziale del racconto, ossia la discussione tra Giove e Giunone attraverso cui scopriamo il destino tragico del personaggio costretto a vivere in un corpo che imprigionava i suoi desideri. Camilleri non chiarisce, tuttavia, nella descrizione un dato essenziale della figura di Tiresia che a Dante interessava invece fare emergere, ossia gli intrighi da lui tessuti e le manipolazioni che lo avevano tenuto sull’onda della notorietà (Bosco, Reggio 1992, 293).
Nel Medioevo, del resto, il mito e tutte le stranezze, che amplificano il destino degli uomini, non erano ammesse. Guido da Pisa riteneva che il mago di Tebe fosse stato un lussurioso e un sodomita. Della stessa idea era, altresì, un altro scrittore da Livorno che pensava al veggente come un perverso. La ragione di tali distorsioni sono da ricercarsi nella tradizione cristiana, come avvenne per L’Ovide moralisé, che ha interpretato il mutamento di Tiresia come una sorta di “allegoria della vita di san Paolo” (Camilleri 2019, 36): il che costituisce un esempio di come si giungesse, talvolta, a forzare il testo nel tentativo di riportare ogni azione o fatto alle Sacre Scritture (Ghidoli 1991, 395-399). Perciò, ancora una volta, Camilleri non può fare altro che prendere le difese di Tiresia, evidenziando le storture configuratesi intorno a lui.
Nella terza parte del testo si avverte un cambiamento di rotta, Camilleri riflette sulle paure e sulle incertezze per quello che potrebbe accadere in futuro, attraverso la figura di Tiresia che viene attualizzata.
La scrittura ha l’andamento naturale di un dialogo discontinuo interrotto da interferenze e dai pensieri. E le considerazioni dell’autore si ricollegano alla seconda ipotesi del mito di Tiresia (accennata brevemente all’inizio della Conversazione) come viene raccontato da Callimaco nel V Inno: qui il poeta spiega le ragioni della veggenza del mago di Tebe e la sua fuga nel bosco, lontano da tutti perché impaurito dalle visioni che incontrava. I suoi poteri di preveggenza, donatogli da Atena, erano ricordati dagli scrittori del Novecento quando si interrogavano sui grandi mutamenti sociali e sul futuro. Perciò Camilleri ricorda importanti nomi della modernità del calibro di Apollinaire, Pavese, Eliot, Pasolini che furono affascinati dal mito del veggente greco.
Il Novecento è stato, invero, il secolo del riscatto per Tiresia, e tra l’altro gli venne dedicata una commedia scritta da Guillaume Apollinaire dal titolo Le mammelle di Tiresia (1917) con il sottotitolo Dramma Surrealista. Lo scrittore francese aveva trovato – attraverso Tiresia – una nuova possibilità di dialogare non più solo con se stesso, ma con un idea che accomunava “tutti gli uomini” (Annovi 2014, 854). Camilleri cita il surrealismo perché l’immaginazione e la fantasia concorrono al recupero di questa dimensione surreale così come era avvenuto per Baudelaire, Lautréamont, Rimbaud o, molto prima in pittura per Hieronymus Boch che aveva analizzato la follia e l’allucinazione nei suoi quadri.
Quanto a Cesare Pavese la figura di Tiresia è nell’incontro con la scrittura nei Dialoghi di Leucò il che ha permesso allo scrittore piemontese di “riconoscere il suo destino, come, appunto, Edipo che si trova davanti a Tiresia” (Bárberi Squarotti 2011, 39).
E ancora, i versi della The Waste Land di T.S. Eliot, scelti da Camilleri, descrivono la situazione di uno sviluppo tecnologico inarrestabile, perciò all’uomo non rimane che adeguarsi alle invenzioni da lui stesso create. Eliot vuole mostrare le rovine su cui si sta erigendo la nuova società, al contempo fa intravvedere – proprio attraverso Tiresia – un nuovo ordine che è nascosto dietro alle “macerie” tale da portare alla rinascita (Bazzocchi 2014, 1310).
Camilleri non dimentica neanche il suo incontro con Ezra Pound nella sede romana della Rai, in via Teulada, ma il fatto è che tralascia la vera ragione per cui cita lo scrittore statunitense in Conversazione su Tiresia, ossia il viaggio di Odisseo raccontato nei Cantos. Da lettore mi sono sentito smarrito davanti all’esiguo racconto su Pound perché Camilleri fa riferimento a un incontro estemporaneo, senza descrivere né opinioni né idee sul veggente di Tebe.
Il monologo di Camilleri si chiude con l’elencazione di effetti mediatici che sottintendono un nuovo rapporto tra scrittura e linguaggi video o audio. Tanto che egli accenna nelle didascalie suggerite da lui per la scenotecnica. Per la brevità con cui sono state formulate le indicazioni di regia, farebbero pensare a quelle di Plauto, ma per le innovazioni di luci e colori a Luigi Pirandello (p. es. alla scenotecnica dei “Sei personaggi”, regia di Luca De Fusco, portati in scena dal 2017 al 2019).
Oggi tuttavia, l’eroe epico non è più l’Ulisse di Omero, ma un uomo comune, come il Libertino Faussone, protagonista del romanzo La chiave a stella che interpreta il personaggio moderno pronto ad affrontare le insidie del lavoro, mettendo così a repentaglio la sua vita. La città è qui il simbolo del progresso tecnico e culturale, perciò Camilleri immagina di fare incontrare nel 1966 Primo Levi con Tiresia per trascorrere “… una giornata indimenticabile a Torino” (2019, 53). Levi dedica al mago di Tebe un capitolo dove si colgono le ansie per il domani: “[…] un po’ Tiresia mi sentivo, e non solo per la duplice esperienza: in tempi lontani anch’io mi ero imbattuto negli dèi in lite tra loro; anch’io avevo incontrato i serpenti sulla mia strada, e quell’incontro mi aveva fatto mutare condizione donandomi uno strano potere di parola: ma da allora, essendo un chimico per l’occhio del mondo, e sentendomi invece sangue di scrittore nelle vene, mi pareva di avere in corpo due anime, che sono troppe” (Levi 1979 [2012], 51). In coda al monologo, Camilleri ha tirato fuori dal cilindro magico qualcosa che richiama la rappresentazione del francese M. Pasquiner in cui il personaggio di Tiresia assume una forma molto moderna. Si può commentare il suo mutamento, nel testo di Camilleri, con le parole di Barthes: “[…] un Tiresia fragile, emaciato ma giovanile, tutto spiritualizzato e forbito; un corifeo con la testa alta da nobile vegliardo anglosassone, abbronzato e incanutito come un quacchero del New England” (2002, 138).
E a questo punto entra in campo Pasolini. Camilleri si lascia andare, confidando al lettore di aver avuto qualche divergenza di idee con lui. A questo punto, il testo non sembra più ben organizzato nel senso che si crea una sorta di sovrapposizione tra l’autore del libro e il personaggio di Tiresia. Si avverte – come hanno voluto mettere in evidenza alcuni recensori dello spettacolo – una nuova definizione della figura del protagonista del monologo che diventa Camilleri-Tiresia (si veda questo link). Comunque, ritornando a Pasolini, l’interesse di Camilleri va al film Edipo Re (1967) dove è presente un riflesso autobiografico di Pasolini stesso che mitizza la sua infanzia. La pellicola è introdotta nella didascalia del testo: “sullo schermo un breve spezzone del film di Pier Paolo Pasolini” (Camilleri 2019, 53). Nonostante esso sia considerato un capolavoro cinematografico, mi sembra che Camilleri abbia voluto tirare in ballo Pasolini nel monologo su Tiresia perché evoca qualche storia metropolitana che gravita, ancora, intorno al poeta. Comunque, nel film “la mia parte [Tiresia] era interpretata dal grande attore Julian Beck, il mitico fondatore del Living Theatre” (53). Pasolini aveva scelto il grande attore americano per interpretare una storia tutta occidentale. Infatti, per Pasolini la figura “[…] di Tiresia, ha le caratteristiche di un indovino ma anche di un poeta, con il quale Edipo si misura costantemente” (Bazzocchi 2014, 32). E Camilleri, seguendo l’esempio del poeta e romanziere italiano, si è voluto confrontare con un’opera in parte dedicata al veggente greco.
Nelle didascalie, che accompagnano le ultime battute di Conversazioni su Tiresia, sono fornite, altresì, informazioni sulla scenografia: la proiezione di un video sul palco che crea un’atmosfera surreale dove fare dialogare il più vicino a noi Woody Allen con Tiresia. Il parallelo tra i due grandi personaggi, che chiude la storia narrata, può essere spiegato con le osservazioni di Gracia Terol Plà che intravvede in combinazione il mito di Edipo e la produzione di Wooden Allen (per es. nel film del 1997 La dea dell’amore, scritto e diretto dallo stesso Allen). Ciò in ragione della specificità degli aneddoti descritti e per la natura diretta dei riferimenti (l’aspetto di Edipo e quello di Camilleri-Tiresia) che fanno pensare ai contenuti mitici come proposte culturali concrete (2017, 203). Camilleri ha voluto evidenziare che Allen conoscesse bene il mito di Tiresia, al punto di dare alla storia un nuovo significato (Ibid.). L’artista e scrittore americano ha fatto del veggente di Tebe un “mendicante cieco, che ha il privilegio della veggenza. L’ha portato per le strade dell’Upper East Side di Manhattan. Camilleri-Tiresia si è trasferito a Brooklyn” (Costantini 2018).
di Andrea Carnevali
Bibliografia
Annovi, Gian Maria. 2014. “Avanguardia/Avanguardie” in Il Novecento – letteratura, (a cura di) Umberto Eco, Milano: EncycloMedia. Kindle.
Bárberi Squarotti, Giorgio. 2011. “L’eroe della tragedia. Pavese e il Diario” in Cuadernos de Filología Italiana edizioni speciale, volume straordinario n. 33-48, Madrid: Universidad Complutense (https://revistas.ucm.es/index.php/CFIT/article/download/37498/36294)
Bathes, Roland. 2002. Sul teatro. Roma: Meltemi.
Bazzocchi, Marco Maria. 2014. “Leggere il moderno attraverso i simboli: Eliot e Pound” in Il Novecento – letteratura (a cura di) Umberto Eco, Milano: EncycloMedia. Kindle.
Bazzocchi, Marco Maria, 2014. “Edipo, Ninetto e Davide” in Cuadernos de Filología Italiana edizioni speciale, Vol. 21, Madrid: Universidad Complutense.
Camilleri, Andrea, 2019. Conversazione su Tiresia. Palermo: Sellerio.
Camilleri Fans Club. Conversazione su Tiresia. (http://www.vigata.org/teatro/convtiresia.shtml)
Costantini, Emilia, 2018. “Intervista ad Andrea Camilleri” in Corriere della Sera del 21 aprile. (http://www.vigata.org/teatro/convtiresia.shtml).
Dante, Alighieri. 1321 (1992). Divina Commedia – Inferno (a cura di) Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Firenze: Le Monnier.
Ghioldi, Alessandra, 1991. “Allegoria” in Enciclopedia dell’Arte Medievale, (a cura di) Angiola Maria Romanini, vol. I, Roma: Istituto della Enciclopedia italiana.
Levi, Primo. 1979 [2012]. La chiave a stella. Torino: Einaudi.
Omero.1993. Odissea. Traduzione di Giuseppe Tonna, Milano: Garzanti.
Nigro, Salvatore Silvano. 2019. “Andrea Camilleri, mitico indovino Tiresia sono…” in Il sole 24 ore, del 1 giugno. (https://www.ilsole24ore.com/art/-andrea-camilleri–mitico-indovino-tiresia-sono-AEabitrE?refresh_ce=1).
Segre, Cesare. 2012. Critica e critici. Torino: Einaudi.
Terol Plá, Gracia. 2017. “Wooden Allen ante el mito de Edipo” in Myrtia. Revista de Filología Clásica, n. 32, Universidad de Almería (https://revistas.um.es/myrtia/article/view/320781/224841).