“Leonardo Sciascia 30 anni dopo” prosegue su Altritaliani con un’intervista a Francesco Izzo, tra i fondatori dell’Associazione “Amici di Leonardo Sciascia”, nata nel 1993. Izzo, che ha anche fondato la rivista internazionale di studi sciasciani «Todomodo» (rivista che attualmente dirige con Ricciarda Ricorda) è dal marzo 2018 Presidente pro tempore dell’Associazione. La storia del suo rapporto con Sciascia, la lunga attività dell’Associazione, i progetti futuri del sodalizio e il prossimo “Novembre sciasciano” per celebrare il trentennale della morte di Sciascia (Palermo, 20 novembre 1989) sono al centro del colloquio che vi propongono i curatori del Dossier, Gloria Calzoni e Giovanni Capecchi dell’Università per Stranieri di Perugia.
- Lei è uno dei venticinque soci fondatori degli Amici di Leonardo Sciascia; come e quando è nata l’idea dell’associazione?
L’esperienza con la Société des Amis de Montaigne – autore al quale mi ero accostato alla fine degli anni Ottanta grazie a Leonardo Sciascia – e di analoghe iniziative di volontariato culturale, non lucrative, in ambito francofono e anglofono, animate da lettori “particolarmente fedeli intorno al nome di un autore” mi era sembrata il modo più autentico per contribuire a tenere in vita la memoria di un’opera e di chi l’aveva concepita. Andava infatti al cuore di tutto, al ‘corpo a corpo’ con il testo, tenendosi lontana dai fronzoli della burocrazia e del ‘bene culturale’. A questo genere di sodalizi, scoprii più tardi, Sciascia guardava con simpatia, giungendo a tesserne le lodi. Invitato il 3 novembre 1983 a Palazzo Marino (Milano) per la rievocazione dell’ ‘adorabile’ Stendhal, nel duecentesimo anniversario della nascita, egli usò parole che sarebbero diventate dieci anni più tardi la ragion d’essere dell’ Associazione degli Amici di Sciascia: «Si sa che in Francia è frequente l’aggregazione di lettori particolarmente fedeli intorno al nome di certi scrittori: associazioni che si dicono di amici: Amici di France, Amici di Giraudoux, Amici di Buzzati (e credo Buzzati sia uno dei pochi scrittori stranieri a godere in Francia di una cerchia di amici); associazioni che, con quelle degli Amici del Libro, cui si debbono felicissimi incontri tra opere letterarie e artisti che le illustrano, sono segni di una civiltà intellettuale a noi quasi ignota». Dal 1990 al 1993 ebbi modo di confrontarmi sull’idea con tanti interlocutori in Italia e in Francia, raccogliendo solidarietà, consenso, ma anche perplessità, timori, gelosie persino. Cosa c’entrava mai con Sciascia uno che non era siciliano, né letterato, e con l’aggravante di essere fuori dalla ‘compagnia di giro’? Gratta gratta, c’era sicuramente qualche secondo fine. Uno degli amici più stretti di Sciascia provò a dissuadermi da ogni proposito paventando che il mio vero intento fosse mercificare Sciascia, portando a Racalmuto torpedoni con turisti al seguito! C’era poi chi, come Vincenzo Consolo, era più favorevole all’idea di un sodalizio esclusivo, di élite si direbbe oggi, nel timore che potessero aderire le persone più lontane dal pensiero di Sciascia, e magari solo per opportunismo, convenienza d’immagine. Ripensando a quegli anni, sono tre le persone alle quali devo essere grato per il sostegno al progetto: Elvira Sellerio che mi spinse ad assumere in prima persona il rischio dell’impresa, Fabrizio Clerici che lo sostenne con entusiasmo (serbo a me carissimo un volume con dedica che recita “con la speranza di poter realizzare il progetto che «ricordi» il nostro Leonardo Sciascia”) e l’ahimè dimenticato Gian Franco Grechi, conservatore del Fondo Stendhaliano Bucci, che fu alleato e amico prezioso e leale per concretizzare il 26 giugno 1993 la costituzione del sodalizio degli Amici nelle stanze di Palazzo Sormani a Milano, con, tra gli altri, Penny Brucculeri, Edo Janich, Salvatore Silvano Nigro. Un’associazione nata dunque sotto tre segni intimamente legati, quelli di Sciascia, Montaigne, Stendhal, e da un’idea e una pratica dell’amicizia intese ‘à la Voltaire’: mariage de l’âme, sujet au divorce.
- Gli Amici di Leonardo Sciascia hanno da poco compiuto ventisei anni, durante questo tempo, quali sono stati i momenti salienti nella vita dell’Associazione? E come è andata sviluppandosi nel corso degli anni?
Concepito su una lastra di rame incisa all’acquaforte da Agostino Arrivabene, artista di talento, incisore e pittore, il logo degli Amici di Sciascia racchiude quella che oggi si definirebbe la ‘missione’ dell’Associazione. Punta in tre direzioni: la valorizzazione e approfondimento dell’opera, dell’ ‘impegno’, inteso come «buona azione», e della inesausta passione per le arti figurative e l’incisione in special modo. Ciò che abbiamo fatto nel quarto di secolo appena trascorso consegue a questa visione di Sciascia come ‘uomo intero’. Una decisione non scontata, questa. Sulla percezione dello scrittore – riprova ne sia lo ‘sdoganamento’ dell’estate scorsa, quando il suo nome ha fatto breccia tra le tracce dell’esame di maturità – grava ancora il cliché dell’esperto di mafia, che mette in ombra il resto. A noi ha sempre interessato ciò che Sciascia ha effettivamente scritto e detto, non il fatidico “cosa direbbe”. Ci interessa conoscere e far apprezzare Sciascia facendo ‘cantare’ le sue carte: la libertà di pensiero, l’ampiezza di orizzonti, la dimensione europea, il guardare fuori di Racalmuto e della Sicilia per tornare a riflettere sulle radici. Questa è la nostra cifra, aliena da tentazioni agiografiche e di monumentalizzazione. Malgrado gli anni, restiamo un manipolo di persone (‘a tiratura limitata’, come mi capita di dire, poco superiore a 150 soci all’anno) che sostengono con la propria quota di adesione e il proprio volontariato operoso un ’patto’ di amicizia, che si rinnova ogni gennaio, traducendosi in iniziative e pubblicazioni. In comune, tra tutti, c’è il diletto di fare, la passione per lo scrittore e i suoi libri, nonostante spesso diverse siano le motivazioni, la visione, il retroterra ideologico. A ciascuno il suo Sciascia, insomma, senza preoccuparsi o sorprendersi di pensarla diversamente.
C’è poi, inizialmente contrastata e sempre faticosa, una scelta di campo rivelatasi lungimirante: reperire ogni anno le risorse per le nostre attività attraverso l’auto-finanziamento (100 o 300 €, essenzialmente), la buona amministrazione di chi sa distinguere il senso di un investimento dal contrarre debiti, e l’abitudine al partenariato con chi (come le imprese private con le quali abbiamo stabilito un rapporto di convenzione) condivide i nostri obiettivi di volontariato, senza dipendere dal denaro pubblico che pur non disdegniamo… se e quando si materializza. Non è facile guidare un’Associazione così, non lo è mai stato, ma offre in cambio una grandissima libertà: quella di essere autonomi e poter affrontare temi spinosi, penso a quello sulla giustizia. Ogni Presidente (dodici quelli avvicendatisi dal 1993 a oggi) ha caratterizzato il proprio mandato con una sua enfasi. Per fare qualche esempio, mi torna in mente la proficua collaborazione con Gerardo Mastrullo (all’epoca direttore della Libreria Garzanti che era a Milano in galleria, e creatore di quella piccola gemma editoriale intitolata La Vita Felice) propiziata da Gian Franco Grechi e avviatasi agli albori – sotto la presidenza Vigorelli – e che ha portato in tredici anni a due collane («Porte aperte» e «Quaderni Leonardo Sciascia») per complessivi 25 volumi. Penso ancora alla grafica d’arte che dalla passione della combattiva presidente Luisa Adorno ha tratto impulso, con l’affermarsi della collana «Omaggio a Sciascia» (25 cartelle uscite ad oggi, con artisti e autori d’eccezione: da Guccione a Caruso, da Bufalino a Roversi, da Janich a Isgrò) e il Premio biennale «Leonardo Sciascia amateur d’estampes» (nove edizioni per 257 incisioni di artisti provenienti da 42 paesi). Alla presidenza di Renato Albiero si deve invece il lancio e l’affermazione dei nostri appuntamenti itineranti, i Leonardo Sciascia Colloquia, che dal novembre 2010, nella ricorrenza annuale della morte di Sciascia, diventano occasione per una conversazione pubblica su tematiche molteplici, come la religiosità, le inquietudini sulla fisica e la biologia innescate dalla Scomparsa di Majorana, la diffusione delle sue opere nel mondo arabo, e molto altro ancora. L’ultima presidenza in ordine di tempo, quella militante e generosissima di Luigi Carassai, ha avuto tra gli altri due ulteriori meriti: introdurre il crowdfunding nella ricerca di risorse per progetti di ricerca e il consolidamento di una partnership strategica per un salto di qualità dell’Associazione, quella con la casa editrice fiorentina Leo S. Olschki, per i gloriosi tipi della quale oggi siamo in grado di pubblicare la prima rivista internazionale di studi sciasciani, «Todomodo» (nove volumi usciti dal 2011), e ben due collane di saggistica «Sciascia Scrittore Europeo» (che illumina i rapporti dello scrittore con altre culture, dalla Svizzera alla Jugoslavia ai paesi di lingua tedesca) e «Smara» (dedicata all’esplorazione dei carteggi e dell’amicizia del Nostro con interlocutori dei più diversi ambiti). Trasversale a tutte le presidenze, anche se mai sufficiente in relazione alle necessità, è stato lo sforzo sul fronte della sensibilizzazione pubblica, nel mondo della scuola e nell’uso dei nuovi linguaggi di comunicazione. Grazie all’impegno fattivo di alcuni docenti, come Roberta De Luca, attuale Segretario dell’Associazione e responsabile della nostra pagina Facebook, gli Amici di Sciascia sono sempre più presenti in rete, là dove arrivano i nuovi potenziali lettori ed estimatori di Sciascia. Per essere un sodalizio di marca letteraria, continuiamo ad avere un buon rapporto con la tecnologia e possiamo dire con orgoglio di avere precorso i tempi se pensiamo che il go live! del Leonardo Sciascia Web (www.amicisciascia.it) con un primo embrione di “servizio bibliografico on line” data 1996, solo tre anni dopo la creazione degli Amici di Sciascia, quando – fuori dal contesto accademico – erano poche le associazioni letterarie a fare uso di questi strumenti. Se mi volgo indietro e guardo quanto è stato fatto in ventisei anni, la maggiore soddisfazione però non è quella dei libri o dei convegni realizzati, ma di essere riusciti – per gli happy few che siamo – a fare accostare all’opera e al pensiero di Leonardo Sciascia nuovi lettori, amici della sua pagina e per questo anche nostri amici, oltre a scoprire ad ogni rilettura di un test di Sciascia che è un «classico in fermento», per usare la felice espressione di Carlo Fiaschi.
- Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della morte dell’autore siciliano, avvenuta il 20 novembre 1989. Come si è preparata l’Associazione a questo evento e in quali iniziative è stata coinvolta?
Dal 1993, l’impegno degli Amici di Sciascia si dispiega ogni anno, tutti gli anni, secondo una programmazione che mette al centro la qualità delle scelte. Il Consiglio Direttivo ha adottato un criterio rigoroso di selezione delle priorità che va di pari passo con le risorse disponibili nel bilancio di esercizio. Celebrare una ricorrenza è levare un tributo alla memoria. I trent’anni dalla morte dello scrittore assumono per noi l’unico significato di un’occasione in più per far conoscere la sua opera e favorire la riflessione. Sciascia – che mal sopportava la retorica e la grancassa mediatica – è da tempo ‘tirato per la giacca’, citato a sproposito, contraffatto, sottoposto persino al logorio di uno «stress laudativo», per usare un’efficace espressione di Agostino Spataro che di recente ha idealmente augurato al Nostro di «prendersi una “vacanza”, magari a Parigi, città da lui amata e da lei riamato». Per una singolare coincidenza, il ciclo di manifestazioni che abbiamo ideato un anno e mezzo fa per il trentennale, intitolandolo “Il novembre sciasciano”, ha il suo fuoco proprio a Parigi, dove ci ritroveremo il 21 e 22 novembre prossimi all’Istituto Italiano di Cultura (50 rue de Varenne) per il nostro decimo Colloquium; il giorno dopo, sabato 23, si svolgerà un ulteriore incontro al prestigioso Amphi Guizot della Sorbona (17 rue de la Sorbonne).
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Il novembre sciasciano-Mois de novembre pour Sciascia
Il tema individuato per il Colloquium («Esercizi di ammirazione: Leonardo Sciascia e gli “irregolari” del ventesimo secolo») è incentrato su quella costellazione di pensatori europei inclassificabili che Filippo La Porta (direttore dei lavori, al quale siamo debitori per l’ispirazione e la progettazione del programma) ha definito come maestri involontari del Novecento, aggiornando la nota formulazione su Sciascia come ‘intellettuale disorganico’. Umanisti, anti-totalitari, asistematici, praticanti di un’amicizia tra persone sensibili e virtuose, eccentrici rispetto al canone, parresiasti, e molto altro ancora: sono alcuni tratti di questi autori sui quali ci confronteremo a Parigi: da Camus a Herling, da Orwell a Chiaromonte, passando per Brancati e Pasolini, per fare qualche nome. L’incontro alla Sorbona del 23 novembre («Sciascia et la culture française: regards croisés») avrà un carattere diverso: guardare ai contributi significativi dei due più illustri esegeti francesi dell’opera di Sciascia, Claude Ambroise e Mario Fusco e dell’avanzamento degli studi e ricerche in quella che resta senza ombra di dubbio, con Italia e Spagna, una delle aree culturali predilette da Sciascia. Prima di arrivare a Parigi, faremo una sosta di due giorni (8 e 9 novembre) nella città natale di Pasolini dove è in programma la manifestazione inaugurale del “novembre sciasciano” a Casarsa della Delizia (Palazzo Burovich de Zmajevich e Centro Studi Pasolini): sulle affinità e le differenze dei due ‘ultimi eretici’ Sciascia e Pasolini. Tutti e tre gli appuntamenti del ciclo porranno l’accento sull’impegno politico-civile di Sciascia, ma – e qui lascio la parola a Filippo La Porta – soprattutto «sui modi non convenzionali in cui questo impegno viene declinato dallo scrittore, inserendolo in una più ampia galleria di autori eretici del secolo scorso – alcuni dei quali amici e maestri – e concentrandosi sulla sua inesausta riflessione intorno alla storia e al potere, sulla sua straordinaria capacità di lettura della società italiana, e della modernità stessa, in un momento complicato di trasformazione. Con assoluto disincanto, ma anche con il sogno neoilluminista di una democrazia finalmente liberata dal conformismo e dalla menzogna». Il “novembre sciasciano” sarà una formidabile opportunità di guardare allo scrittore allargando gli orizzonti, preparando idealmente il terreno per un appuntamento ancor più importante: il Centenario della nascita di Sciascia (8 gennaio 2021).
- Nel 2011 ha fondato «Todomodo», la rivista annuale di studi letterari promossa dall’Associazione; potrebbe parlarci in maniera più approfondita della sua storia e organizzazione?
Conclusasi nel 2007 l’esperienza dei «Quaderni Leonardo Sciascia» (11 volumi a carattere essenzialmente monografico che raccoglievano gli Atti di convegni organizzati dagli Amici di Sciascia) sentivamo l’esigenza di uno strumento diverso, che mettesse a disposizione degli studiosi di tutto il mondo un luogo autorevole e dedicato, dove pubblicare le proprie ricerche sull’opera di Sciascia confrontandosi con altri. Naturalmente sono molte e qualificate le riviste, in genere di italianistica, nelle quali escono studi sullo scrittore ma noi pensavamo a qualcosa di diverso che – pur adottando le migliori pratiche di una pubblicazione internazionale, a partire dalla revisione indipendente in doppio cieco degli articoli – rendesse conto della pluralità di interessi coltivati dallo scrittore al di là degli Atti di questo o quel convegno e al di là dell’esclusivo campo letterario. Il ‘dilettante’ Sciascia ha praticato con vigore il proprio eclettismo e curiosità: dal diritto alla filosofia, dalla politica alla scienza, dal teatro alle arti visive e molto altro ancora. A otto anni di distanza – e quando sta andando in stampa il nono volume di «Todomodo» – continuo a pensare che la scelta di aver creato un annuario specializzato nell’ospitare nel medesimo luogo contributi su Leonardo Sciascia nelle maggiori lingue europee e in ambiti disciplinari differenti sia stata appropriata. Eccezion fatta per l’editore, Daniele Olschki, che sin dagli esordi è stato un convinto sostenitore della bontà dell’iniziativa di una rivista siffatta, le perplessità in fase di progettazione non furono poche. Ci fu persino chi aveva rivestito il ruolo di Presidente degli Amici di Sciascia che avanzò riserve sulla sostenibilità di una rivista dedicata interamente a Sciascia, suggerendo (per darle un futuro) di ampliarla ad altri scrittori siciliani, temendo che altrimenti non ci sarebbe stato materiale sufficiente per traguardare due numeri! E pensare che da quando «Todomodo» è venuta alla luce non abbiamo mai sofferto, malgrado il referaggio che seleziona l’accesso dei contributi, alcun problema di penuria di contributi di qualità. Abbiamo semmai la preoccupazione opposta: ciascun volume patisce, come dire, l’obesità: 400 pagine di media. Con Ricciarda Ricorda, che apporta dal 2018 nella condirezione della rivista la sua esperienza di lungo corso su Sciascia, vorremmo dimagrire la rivista, in maggiore sintonia con l’aurea brevitas dello scrittore alla quale essa cerca di rendere omaggio. La nostra ambizione è che «Todomodo», si affermi come un forum aperto per gli studi sciasciani, nel quale ogni anno si faccia il punto su quanto si muove di originale, di nuovo, su Sciascia e la sua opera, quello che in ambito scientifico si usa definire ‘lo stato dell’arte’ su un determinato argomento. Non certo una rivista di short communications. Presentando nel 2013 a Milano il terzo volume della rivista, uno dei componenti del comitato scientifico, Bruno Pischedda, si soffermava sul solido contributo di «Todomodo» alla conoscenza di Leonardo Sciascia «un intellettuale situato al crocevia tra Aisthesis e Civitas, uomo di lettere e insieme polemista acuminato, poligrafo dalle molte risorse e insieme dilettante d’arte. Ma proprio perciò bisognoso di un luogo in cui queste tante cose possano convivere e intrecciarsi: in cui competenze disciplinari (o multidisciplinari) e dedizione amatoriale giungano a un punto di sintesi (una funzione topica, o logistica, a cui la lodevolissima serie di “Opere” curate editorialmente in questi anni riesce ad assolvere soltanto in parte)»; e concludeva: «Consentitemi un’etichetta: rigore professionistico e diletto senza improvvisazioni: qui sta il carattere dell’annuario “Todomodo”, entro cui si riflette, d’altronde, la specificità dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia che lo sostiene. Le funzioni a cui intende assolvere il nostro annuario sono almeno tre: la più immediata e visibile: raccogliere quanto d’interessante si scrive su Sciascia (non quanto di più accademico e impeccabile, ma di più interessante); la più necessaria: tramandare ai posteri, e soprattutto all’estero, un esemplare d’italiano che può farci onore; la funzione più ambiziosa: indirizzare le ricerche future (senza nascondere la quota di azzardo generoso che tale intento comporta)».
Nel rileggere sei anni dopo queste osservazioni, vi ritrovo intatto e veritiero il senso della nostra idea originaria, con una postilla: volume dopo volume, la rivista ha guadagnato credibilità e consensi tali da conferire di fatto a «Todomodo» un ruolo propulsivo negli studi sciasciani, un catalizzatore nell’orientare le ricerche sul pensiero dello scrittore in molteplici direzioni. Penso agli interventi nella rubrica “Traduzioni”, che gettano luce sulla ricezione critica e le traduzioni dell’opera dello scrittore in paesi come Australia, Giappone, Polonia, Cina; o ancora alla proficua collaborazione con la Fondazione Sciascia (e la valente responsabile della biblioteca, Salvatrice Graci) che dal 2015 ci permette di pubblicare aggiornamenti del repertorio di lettere dei corrispondenti di Sciascia conservate a Racalmuto, grazie al quale è stato possibile stimolare ricerche, ricostituendo e analizzando carteggi inediti (con Liliana Scalero, Nicola Chiaromonte, Tommaso Fiore, Valerio Volpini, Luigi Bartolini, Étiemble, e altri). Come ha osservato il 15 settembre scorso, sulle pagine del supplemento domenicale del «Sole 24 Ore», Salvatore Silvano Nigro: «Ogni numero di «Todomodo» è un seminario aperto sulle carte inedite di Sciascia e sugli studi critici più aggiornati dedicati allo scrittore nei vari continenti. Tutti i singoli e ponderosi fascicoli della rivista, pubblicati da Olschki, non si esauriscono nella materia trattata, ma suggeriscono approfondimenti, e producono libri monografici pubblicati, sempre da Olschki, in collane di fiancheggiamento. […]. «Todomodo» allarga l’orizzonte». Per l’avvenire, serbiamo l’utile ammonimento del critico statunitense Edmund Wilson che in un saggio degli anni Quaranta (la cui scoperta devo a Goffredo Fofi) scriveva: «gli anni buoni di una rivista sono più o meno 5, poi essa comincia a invecchiare…[…]…, le riviste traggono la loro ragion d’essere dal rapporto che si stabilisce tra il modo di pensare di chi le dirige e il modo di pensare di chi le legge e, una volta stabilito il rapporto, non può evidentemente essere mutato, e sia al direttore che al lettore la rivista può venire a noia, ma… a questo punto sarà impossibile rinnovarla da zero». Concludeva Wilson: « Il massimo che si possa sperare è che una rivista trascorra la sua vecchiaia in confortevole tranquillità senza scadere dal suo livello originario: troppo spesso invece deve trascinarsi in una condizione di rimbambimento o decadenza che disgusta gli antichi lettori». L’anno venturo, incrociando le dita, «Todomodo» dovrebbe giungere al decimo volume. Cura dimagrante permettendo, saremo a poco meno di 3900 pagine pubblicate. Confrontando la previsione di Wilson con i nostri auspici, le nostre speranze, la nostra tenacia, vorremmo prefigurare per «Todomodo» uno scenario diverso, più vicino alle sorti di una rivista longeva come fu «Belfagor». E, nel solco di quanto Sciascia scriveva il 14 Luglio 1979 sulla sua visione della letteratura, guardiamo ad un altro caveat, donatoci dall’amico Claude Ambroise nel 2012 al Gabinetto Vieusseux di Firenze: «Spero che Todomodo non diventi mai un repertorio di beghe e inezie o una raccolta di pagine scelte di tesi di laurea». Né come Associazione né come rivista perseguiamo la ricerca del comfort o della produzione di sedicesimi politicamente corretti e accomodanti. Per Sciascia, come per noi suoi lettori ed estimatori, resta la preferenza di «tenersi all’addiaccio» invece di «mettere su casa».
- È stato recentemente pubblicato il volume da Lei curato E Sciascia che ne dice?, dedicato allo scambio epistolare fra il pittore Mino Maccari e Leonardo Sciascia. Può dirci qualcosa di più?
Dopo “Sciascia Scrittore Europeo”, abbiamo inaugurato con Daniele Olschki una seconda collana curata dalla nostra Associazione. L’abbiamo chiamata “Smara”, una parola sanscrita -di cui impareggiabilmente scrive Giorgio Agamben nel suo «Autoritratto nello studio» – che esprime due concetti chiave (memoria e amore) nell’universo di Leonardo Sciascia e di noi Amici, che cerchiamo di tenere vivo il suo pensiero. La plaquette inaugurale è incentrata sull’amicizia spumeggiante, briosa, tra due personalità diversissime e di fine ironia: Mino Maccari, senese, e Leonardo Sciascia, racalmutese, scomparsi entrambi nello stesso anno (1989) a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Dietro la dimensione del libriccino (meno di cento pagine, più un ricco apparato di immagini largamente inedite) si cela un’indagine lunga e non priva di colpi di scena. Si comincia nel 2003 al Cinquale, a due passi da Forte dei Marmi, dov’è ancora la casa dell’artista, con il recupero di lettere di Sciascia e i fogli inediti di diario di Maccari, costellati da appunti e epigrammi dell’artista sull’amico siciliano, e si continua alla Fondazione Sciascia di Racalmuto dove spuntano le gustose lettere del senese. In entrambi i casi gli Eredi hanno non soltanto facilitato le ricerche ma arricchito generosamente il carniere con aneddoti, disegni, ricordi. Nel 2018, poi, salta fuori per caso dall’Archivio Sciardelli di Milano una scatola di cui si ignorava l’esistenza e al suo interno si trovano disegni, buste, e altri documenti attinenti al rapporto tra i due amici. Sul materiale epistolare, una ventina di lettere in un arco temporale di una decina d’anni (aprile 1969-settembre 1978) e sulla documentazione raccolta viene imbastito un lavoro collettivo che ha potuto contare sulla passione e la competenza di studiosi quali Luigi Cavallo, Marco Vallora e Giovanna Mori. Ci siamo tutti divertiti (e d’altronde, come potrebbe non essere così occupandosi di Maccari e Sciascia?). Quanto alla mia curatela, l’ho vissuta col doppio cappello, dell’archeologo che guida una campagna di scavo, non scevra da momenti di tensione per i tempi e la direzione delle ricerche, e del sarto che deve poi mettere insieme il più armoniosamente possibile i vari pezzi di stoffa. Mi ha ricordato Sciascia: «Un’incisione che amo raffigura Bernard Shaw che arriva al banco dei pegni per consegnare dei vestiti. Il commesso che lo riceve osserva che i pantaloni sono di Ibsen, la giacca di Nietzsche e il gilet di Schopenhauer. E Shaw per tutta risposta lo invita a guardare soprattutto a come è stato fatto il rammendo. È quello che oggi accade alla letteratura: prendiamo le brache di uno, la giacca di un altro, il gilet di un altro ancora e procediamo a cucirli insieme». La scommessa è che il rammendo sia riuscito bene e che il risultato non sia noioso. Il giudizio spetta ai lettori, naturalmente.
- Oltre ad aver seguito la nascita della rivista «Todomodo» ed altri progetti editoriali dedicati all’autore, lo scorso marzo, durante la riunione annuale dei soci, è stato eletto presidente dell’associazione. Come e quando è nato il suo interesse e la sua ammirazione nei confronti di Leonardo Sciascia?
Ho scoperto Sciascia tra la fine del liceo e l’università, divorando i suoi libri e apprezzandone soprattutto lo scarto zero tra pagina e azione. Gli avevo scritto a metà degli anni Ottanta per poi conoscerlo il 7 maggio 1988 all’Hotel Manzoni, a Milano, dove allora vivevo. Un incontro per me decisivo sul piano etico, della crescita personale. Negli anni seguiti alla morte dello scrittore, avvertii come l’esigenza di saldare il debito contratto con lui, come nei confronti di un mentore, un maestro. Per uno come me, cresciuto negli studi di biologia molecolare sulle vertiginose riflessioni di Jacques Monod e del suo Il caso e la necessità, l’incontro con Sciascia e la sua pagina si inscrive in quelle imperscrutabili ‘incidenze e coincidenze’ che ci riserva la nostra vita, assumendo il carattere del dono. Il caso, già. Come quello di scoprire – incastonato in un saggio di Massimo Piattelli Palmarini che di Monod fu allievo all’Institut Pasteur – questo passo “ … Negli ultimi mesi che hanno preceduto la sua morte, Monod aveva scoperto Leonardo Sciascia. Me ne parlava con trasporto e ammirazione. Amava la Sicilia e amava quel pizzico, o più di un pizzico, di cinismo che riconosceva in Sciascia e negli italiani in genere[…]. Nell’ultima estate della sua vita, nel 1975, era ritornato ancora in Sicilia. Il suo amore estivo per le coste del sud d’Italia e quello di sempre per la giustizia e l’onestà lo rendevano particolarmente ricettivo al messaggio di un Danilo Dolci e di uno Sciascia.” Senza Sciascia, mi sarei probabilmente precluso l’accesso alle tante vite che la letteratura ci permette di vivere.
© Francesco Izzo
Firenze, il 15 ottobre 2019
Link ai diversi altri contributi del Dossier tematico «Leonardo Sciascia 30 anni dopo»