Joe Barbieri è un cantautore di grande impatto, dalla gran classe, legato al Jazz ma che ha saputo sapientemente unire ad esso anche la musica italiana e non solo… Sarà in concerto a Parigi il 15 Gennaio al Sunside per presentare il suo nuovo album « Respiro » (Chant Du Monde/Harmonia Mundi), un caleidoscopio elegante e raffinato di diversi ambienti musicali.
Pietro Bizzini: Iniziamo dal midollo della tua musica: il Jazz e la canzone italiana. Puoi riassumere una storia di lunga amicizia fra i due stili e cosa sono per te.
Joe Barbieri: In realtà, per quanto mi riguarda, la relazione tra jazz e canzone italiana è un intreccio che ho scoperto pienamente in “tarda età”, intorno ai trent’anni. Fin da ragazzino in casa giravano dischi di Bruno Martino, di Don Marino Barreto jr., di certe canzoni di Mina o di Tenco… tutte cose che si sono prese in silenzio spazio importante del mio immaginario, senza che me ne accorgessi, fino ad arrivare ad essere dominanti, a traboccare nelle canzoni che io stesso ho iniziato a scrivere. Poi – al jazz e alla canzone italiana – si è anche aggiunto un terzo elemento a completare la mia formazione: la musica brasiliana. Anche questa storicamente imparentata con la nostra canzone d’autore e il jazz.
P.B.: Ventimila copie vendute con l’album “Maison Maravilha”, il tuo trampolino di lancio che ti ha fatto conoscere alla World Music internazionale e grandi apprezzamenti dalle riviste specializzate internazionali (Critical Jazz/ USA, Jazzthetik/ Germania, Mondomix/ Francia, Le Devoir/ Canada), quanto conta per te? Ti appaga o ti stimola ad andare oltre?
J.B.: Io mi sento profondamente cittadino del mondo. Lo sguardo sociologico e musicale che tento di avere verso le cose è sempre uno sguardo globale. Un coro al quale però desidero contribuire con quello che sono: un italiano; con la propria cultura, il proprio linguaggio, la propria storia, le proprie peculiarità. E non smetto di testimoniare quanto questo stile sia ancora e sempre profondamente amato nel mondo. Per quanto mi concerne, è probabilmente questo suono “glocal” – che ha un piede cioè nel mio paese ed uno sempre pronto al viaggio – ad incuriosire e ad attrarre. Non posso dimenticare il pubblico giapponese, per esempio, che ai miei concerti a Tokyo ascoltava le mie canzoni con gli occhi chiusi ed un trasporto incredibile, pur non comprendendo una sola parola di quel che dicevo.
P.B.: Il tuo nuovo disco “Respiro” ha una grande parte orchestrale, è stato difficile armonizzare la base Jazz, la poetica del testo con gli archi? E’ stata la prima volta per te?
J.B.: No, non è stato affatto difficile. Riprendendo il discorso fatto all’inizio di questa chiacchierata, la parentela tra musica sinfonica (e penso anche ad alcuni nostri autori come Donizetti o Verdi) e il jazz è veramente molto stretta. E gli esempi che mostrano la commistione tra questi due generi nel corso dei decenni sono stati molteplici: da quelli che sono finiti per essere i riferimenti mondiali (mi riferisco a Klaus Ogherman per Frank Sinatra ad esempio) fino alle orchestrazioni del nostro Gianni Ferrio per Mina. Senza contare il grande cinema italiano e i suoi compositori! Posso dire che nel concepire (assieme all’ottimo Antonio Fresa, che ha concretamente scritto gli arrangiamenti degli archi) le parti orchestrali di “Respiro” (a proposito no, non era la prima volta, anche nel mio album precedente – “Maison Maravilha” – ho usato un’orchestra) ho potuto contare su una scuola di primissimo piano che ho tentato di tenere come riferimento.
P.B.: In “Respiro” c’è anche tanta musica internazionale. Dove e come hai incontrato il Bolero piuttosto che la Bossa? Quanta America Latina è entrata nel tuo stile musicale? Quali affinità con la tua “mediterranietà”?
J.B.: Della bossa abbiamo parlato. Il resto (il bolero, il tango, il fado, etc.) ha, se vogliamo, seguito il naturale flusso delle scoperte che ogni uomo fà nel corso della vita. Un’artista porta all’altro ed ecco che ti si rivelano interi scrigni di meraviglie che nel mio caso è stato difficile tener fuori dalla mia musica. Dieci anni fa ho fondato con due soci una casa discografica indipendente (la Microcosmo Dischi) e anche grazie a questa esperienza di discografico votato alla world music ho scoperto molta musica che ha finito per installarsi nella mia.
P.B.: Hai collaborato con la musicista cubana Omara Portando del Buena Vista Social Club (uno dei gruppi più famosi per il loro virtuosismo e la loro incredibile capacità sonora), com’è avvenuto? Quali ricordi ci puoi raccontare?
J.B.: In un modo così semplice da essere quasi banale: avevo una canzone appena scritta e l’intuizione di volerla condividere con Omara. Non ho fatto altro che proporgliela… a lei la canzone piacque e ci incontrammo a Barcellona per registrarla. In quella esperienza ho conosciuto una donna vibrante, con gli occhi ancora lucidi di emozione per il mestiere che fa e che è talmente grande e riconosciuta da non fare calcoli di opportunismo nelle sue scelte artistiche: se una cosa le piace la fa, puoi essere Chucho Valdez o un giovane autore italiano. Tra le curiosità di questa esperienza mi porto la soddisfazione di averla fatta cantare anche un pezzettino in italiano.
P.B.: Entrerai nei dischi di chi ha collaborato con te per “Respiro”?
J.B.: Beh, non so… certe cose non si sa mai quali strade possano prendere. Ad ogni modo adoro le collaborazioni, sono sempre aperto a condividere musica con gli artisti che amo…
P.B.: Ora sei in tour, tra poco sarai in Francia. Quanto è importante per te suonare live? Quali artisti ti accompagnano?
J.B.: Fare un concerto mi mette sempre un’adrenalina speciale addosso, quasi un piacevole timore; sebbene siano vent’anni che suono dal vivo e dovrei esserci abituato. E invece no… salire sul palco e “misurare” il grado di intimità che si riesce ad innescare con il pubblico è sempre una sfida che mi affascina. Solitamente suono con due organici: in trio (con Giacomo Pedicini al contrabbasso e Antonio Fresa al pianoforte; oltre ovviamente a me alla chitarra) – che è la line up più longeva che ho, visto che sono quasi diec’anni che la porto in giro – e poi il quintetto (composto dal nucleo del trio più il violoncello di Stefano Jorio e la batteria di Sergio Di Natale).
P.B.: L’impatto musicale col mondo d’Oltralpe e con quello di casa nostra?
J.B.: Beh, tra poco sarà per me il primo concerto in Francia (il 15 gennaio al Sunside di Parigi) e sono curioso di sperimentare personalmente le differenze tra un concerto italiano ed uno francese. Confesso di avere molte aspettative considerato il modo molto serio e le belle parole con cui i francesi hanno finora accolto la mia musica registrata… il mio auspicio è quello di “riconoscerci”, di sentire di appartenerci, di riuscire a stabilire vis-à-vis un linguaggio comune ed intimo. Sono pronto ad innamorarmi di Parigi.
IL SITO UFFICIALE DI JOE BARBIERI
Pietro Bizzini