La lingua va intesa come un sistema in costante evoluzione in cui, non dissimilmente da quanto accade in ambito geologico, movimenti profondi provocano modificazioni più o meno macroscopiche a livello di superficie.
Ogni aspetto della lingua è sottoposto a questo tipo di dinamica interna: morfologia, sintassi, vocabolario.
In anni in cui il prototipo dell’italiano si è spostato dalla pagina scritta al video, e dall’élite all’oralità di massa, si è potuto assistere al progressivo affermarsi della variante neostandard che, oltre a forti spinte verso l’intensificazione o iperbolizzazione dei moduli espressivi sia della lingua scritta che orale, presenta un’alta frequenza di occorrenza di plastismi.
Relativamente al lessico, le caratteristiche concrete in base alle quali un vocabolo viene qualificato come plastismo sono l’uso insistito, l’applicazione spesso impropria, la progressiva insignificanza e la voracità del termine, nel senso che esso tende ad azzerare le possibili alternative.
Il termine scenario, per fare un esempio, imperversa ormai da diversi anni come “cavallo di ritorno” dall’inglese e si è imposto sottraendo spazio a tutta una serie di vocaboli appartenenti ad un’area semantica prossima come scena, panorama, prospettiva, ma anche a termini di diverso significato: ipotesi, quadro, progetto.
In prima persona, altro esempio di plastismo, ha scalzato ormai le formule concorrenti: per primo, di persona, personalmente.
Il plastismo si tradisce spesso in casi di stonatura e quindi non è così improbabile trovare, anche in giornali di ampia tiratura e indubbio valore, esempi decisamente bizzarri come: “Il dollaro sconta in prima persona – per primo – la crisi finanziaria”.
Non dissimile è lo smisurato ampliamento dell’area semantica dell’avverbio piuttosto che ha in origine il valore di: in prevalenza, di preferenza, preferenzialmente, preferibilmente, ma che, per il diffondersi di un vezzo tutto lombardo combinato all’inerzia creativa e allo snobismo linguistico, viene sempre più frequentemente usato al posto della congiunzione disgiuntiva o. “Verrò in pullman piuttosto che in treno”. Se non ho capito una situazione presumibilmente non avrò realizzato. Se dovrò attendere, sarà sempre per un attimino. Se poi starò parlando di una persona che stimo, senza dubbio dirò che è solare.
L’effetto negativo del plastismo sta nel rendere la lingua poco creativa, ripetitiva e asfittica, privata, cioè, di tutte le sue innumerevoli sfumature di colore. Se si parla di un problema, prevedibilmente esso sarà pesante come un macigno. Se voglio esprimere accordo o disaccordo con tutta probabilità farò uso di un assolutamente sì, assolutamente no. In origine il parlante medio italiano aveva la consapevolezza di dare maggior intensità alle affermazioni o alle negazioni aggiungendo l’avverbio assolutamente. Oggi l’uso spontaneo degli avverbi negativi e affermativi comprende in un’altissima frequenza di uso la forma assolutamente sì/no in modo del tutto inanalizzato. In tale contesto possiamo notare come il plastismo abbia neutralizzato l’iperbole.Potremmo dire lo stesso per quanto riguarda l’uso di un altro avverbio: bene spesso sostituito da perfetto.
Un esempio vivacissimo, sul quale bisognerebbe forse spendere più tempo e riflessioni è la lingua dell’attuale primo ministro. Silvio Berlusconi e con lui moltissimi connazionali che hanno nel premier un modello da emulare, ha il vezzo di usare con molta frequenza l’avverbio assolutamente come intensivo nella realizzazione dei superlativi assoluti analitici. In luogo di verissimo, ad esempio, un assolutamente vero quasi a voler portare all’estremo, all’assoluto il significato dell’aggettivo. Notiamo che,mentre per gli avverbi affermativi il più delle volte si è perso il senso originario di superlativo, come si diceva, nei comparativi assoluti analitici l’avverbio non è sentito come parte costitutiva del un superlativo, ma aggiungerebbe una marca intensiva all’aggettivo. En passant vorrei riportare un’osservazione relativa all’iperbole e che ben si adatta alla situazione appena descritta: voler dire di più, in genere porta a dire di meno.
Risulta chiaro come il fenomeno dell’ appiattimento della creatività si riflette sull’efficacia comunicativa; va ricordato, infatti, che l’abuso di termini, costruzioni o modelli espressivi porta all’insignificanza che impedisce all’espressione di riacquistare l’originaria pregnanza.
Natale Fioretto
Università per Stranieri di Perugia