È uscito da poco il libro Ti racconterei altre storie, sempre più meravigliose (L’Asino d’oro). Ispirato dalle lettere di Antonio Gramsci, il noto disegnatore senese Francesco Del Casino, pioniere del muralismo politico, ci regala in immagine e colore la straordinaria vita e realtà umana del rivoluzionario sardo. Ad aver scelto e curato i testi e firmato l’introduzione di questo libro raffinato è Noemi Ghetti. Racconta come è nato e cosa lo distingue da altri libri illustrati di favole per l’infanzia tratte da Gramsci.
*****
Libro a quattro mani, Ti racconterei altre storie, sempre più meravigliose è l’approdo di una lunga storia intercorsa tra Sardegna, Toscana e Russia. E il risultato finale di un originale lavoro grafico e redazionale che, pagina per pagina, ha composto su magnifica carta testi gramsciani e moderne illustrazioni d’autore.
Invitata nell’autunno 2017 da Pietro Clemente, antropologo e presidente dell’Istituto Storico della Resistenza senese, all’evento conclusivo di un ciclo di seminari per l’ottantesimo anno dalla morte di Antonio Gramsci, incontrai Francesco del Casino, che per l’occasione esponeva una mostra dedicata al grande sardo. Non lo realizzai subito, ma l’artista mi era già noto per essere l’autore degli straordinari murales del paese sardo di Orgosolo, che nel 1980 avevo voluto vedere, serbando a lungo la memoria delle anziane del paese in movimento tra le antiche case, il capo coperto, gli scialli scuri, le camicie azzurrate d’indaco sullo sfondo di picassiani dipinti colorati e scritte di denuncia e di lotta. Un paese grigio di pietra, trasformato in teatro vivente di una rivoluzione dal basso possibile. Un’attività culturale collettiva e di militanza politica dal basso, che tutt’ora è viva e ha trasformato il volto di Orgosolo, rendendolo mèta di un turismo intelligente, non solo interessato alle magnifiche spiagge sarde.
La visita di cinque anni fa tra le opere di pittura a tecnica mista e le sculture in ceramica di del Casino, sparse nelle Stanze della memoria di Siena, fu l’inizio di un sodalizio fatto di scambi tra immagini e scritti. Nel corso del tempo venne l’amicizia con l’artista e la fiera compagna orgolese, arrivata a Siena con lui quando decise di rientrare, dopo un ventennio di vita, insegnamento e street-art in Sardegna. Una riprova, ai miei occhi di studiosa del mondo antico, dei legami ininterrotti che dai tempi degli Etruschi, ricchi di miniere di ferro, amanti delle donne, dei colori e dell’arte effimera in legno e terracotta, sulle rotte del Tirreno uniscono le terre toscane alla grande isola dei nuraghi, dei giganti di pietra e delle fusioni in bronzo. Un mondo misterioso e affascinante per le sue radici, più antiche del candido e marmoreo lógos greco-romano.
Avevo da poco pubblicato il mio secondo lavoro gramsciano, La cartolina di Gramsci. A Mosca tra politica e amori 1922-1924 (Donzelli) [recensione Altritaliani QUI], svolto a partire da un singolare documento, una doppia cartolina postale russa a quattro mani, con bizzarri schizzi autografi, enigmatici fumetti e spregiudicate quartine futuriste. Tardivamente noto e poco studiato, era stato composto da Antonio Gramsci in Russia nella notte del 16 ottobre 1922, e inviato ad Eugenia [Genia] Schucht con un messaggio firmato anche dalla sorella di lei Giulia [Iulca]. Antonio l’aveva conosciuta a settembre durante il ricovero nel sanatorio di Serebrianj Bor, la Foresta d’argento di pini e betulle sull’isola della Moscova alle soglie di Mosca, dove da tre anni Eugenia era in cura per anoressia e una paralisi di conversione alle gambe. Luogo incantevole che, incredibilmente, proprio in quei giorni fui invitata a visitare.
A partire dal titolo La Croce di Iulca, l’originale missiva risulta in contrappunto con l’esilarante parodia di una popolare filastrocca religiosa di Pietro Parzanese, improvvisata a matita su un foglio da Antonio che, stretto tra le due sorelle, così si rappresenta: «Sulle rive dell’ampia Moscova / Vidi Gramsci soletto e pensoso. / A un’anguilla che a secco si trova / Domandai a che pensa il meschin?».
Nella parte alta della cartolina campeggia lo schizzo di un letto in fuga, con volto umano ridente e diciannove gambe, che una donna scarmigliata a braccia protese in un fumetto urla di prendere, poiché è «un controrivoluzionario»: una qualifica allora assai pericolosa. Nella parte inferiore compaiono a sinistra tre piramidi egizie e una sfinge, commentate a destra da umoristiche quartine “maltusiane”. Un levriero rampante stilizzato con la coda arricciata campeggia al centro, indizio dell’atmosfera allegra ed eccitata in cui lo scherzo ha avuto origine. Composta a penna, la cartolina è solennemente suggellata dalla firma “Gryllus pinxit et scripsit”.
Il comunista italiano, noto per essere il promotore dei Consigli di fabbrica e l’ideatore dell’Ordine Nuovo, e assai meno come il fondatore, nel fatale gennaio 1921, dell’Istituto di cultura proletaria, sezione torinese del Proletkult internazionale di Mosca, come si legge nella seconda cartolina si trova con la violinista nel cuore della notte in una camera d’albergo di Ivanovo Voznesensk, capitale dell’industria tessile russa, squassata da sanguinosi scioperi.
Vi è giunto da Mosca, con evidente compito di medazione del conflitto, per un giro di conferenze. Nelle fabbriche del distretto, a manodopera prevalentemente femminile, si contano 26 sezioni del Proletkult, fondato nel 1917 dal “bolscevico di sinistra” Aleksandr Bogdanov, ex amico e poi rivale politico di Lenin. Giulia, la bella figlia di Apollon, socialista populista e storico amico del capo bolscevico, diplomata in violino all’Accademia romana di Santa Cecilia e docente di musica nel liceo cittadino, lo accompagna nel ruolo di interprete. Diventerà la compagna della sua vita, e la madre dei suoi due figli: Delio, nato nell’agosto 1924, e Giuliano che, nato nel 1926 poco prima dell’arresto, Gramsci non potrà mai abbracciare.
Il singolare documento inaugura, a sua volta, una storia epistolare che dalla fine del 1922 al 1937 caratterizza la corrispondenza di Antonio Gramsci: un genere letterario che non prediligeva, e si trovò costretto a praticare dalle vicende della sua vita. Si tratta di centinaia di lettere, in massima parte inviate a donne: alla madre Giuseppina Marcias e alla sorella Teresina si aggiungono ora Eugenia e Giulia Schucht, e dal 1925 Tatiana Schucht, che vive in Italia; infine abbiamo le lettere ai figli, divenuti ormai grandicelli, ai quali scrive sempre individualmente.
La forte componente narrativa, che percorre le lettere, affonda le radici nella cultura popolare sarda, nutrita della passione per il disegno e arricchita dallo sguardo sulle avanguardie. Presente fin dall’infanzia e coltivata nel decennio torinese, l’attitudine si accende nell’atmosfera postrivoluzionaria delle avanguardie russe. Modulata nei toni più vari, questa caratteristica della scrittura gramsciana dal secondo dopoguerra ha dato vita a un filone editoriale di favole illustrate.
Il primo fu L’albero del riccio, nell’edizione di Milano-Sera del 1948: raccolta di favole “ad uso dei più piccoli”, uscì l’anno dopo il grande successo della prima, parziale edizione delle Lettere dal carcere, che vinse il premio Viareggio 1947, e contemporaneamente all’uscita del primo volume dell’edizione tematica dei Quaderni del carcere. Improntato a intenti pedagogici e morali, inaugurò una serie per bambini, che ha conosciuto diverse versioni.
Nel 1980 l’editore Vallecchi pubblicò il volume Favole di libertà, a cura di Elsa Fubini e di Mimma Paulesu, figlia di Teresa e nipote di Antonio, che comprendeva anche le traduzioni italiane di 19 novelle dei fratelli Grimm. Gramsci le aveva fatte in carcere appunto per i nipoti, adattandole all’ambiente sardo nella scelta dei nomi dei personaggi e perfino in quella degli animali, con attenzione alla cultura popolare e modificando le espressioni religiose originali secondo una linea convintamente laica. Lontana dalle intenzioni gramsciane, evidenti anche nei racconti delle lettere ai figli, la prefazione di Carlo Muscetta insisteva su un’interpretazione psicoanalitica freudiana della fiaba fondata sui criteri pedagogici di Bruno Bettelheim. Sottolineando il valore educativo per lettori adulti della narrativa gramsciana, lo scritto contrastava peraltro nettamente con la linea delle due autrici della raccolta, che invece presentavano un Gramsci “scrittore per bambini”. Questa lettura decontestualizzata (Gramsci mai scrisse un libro di favole!) ha avuto un largo successo, ispirando un’altra serie di edizioni illustrate.
Si deve a Luca Paulesu, pronipote di Teresina Gramsci Paulesu, e al suo Nino mi chiamo. Fantabiografia del piccolo Antonio Gramsci, la rottura della tradizione di un Gramsci “minore”, autore per l’infanzia senza riferimenti alla vita personale e all’azione politica. Edita per la prima volta da Feltrinelli nel 2012, l’originale graphic novel mette in scena l’immagine di un Gramsci bambino a Ghilarza, in maglietta rossa e pantaloncini corti, la grande testa lievemente incassata sulle spalle, gli occhialini di rito e la folta chioma ribelle, impaginato con citazioni di scritti gramsciani anche teorici, tratti da lettere e Quaderni. L’effetto dell’accostamento del tenero e un po’ malinconico aspetto infantile alle forti parole del pensatore geniale arriva dritto al cuore. E fa da ponte all’operazione che ci siamo proposti.
Nel nostro lavoro, tra la convenzionale tradizione pedagogica della novellistica infantile e la canonica immagine agiografica della storiografia ufficiale, abbiamo voluto sottolineare l’unità dell’eccezionale personalità di Gramsci, dei suoi interessi molteplici, del suo ingegno poliedrico e spregiudicato, insistendo nel presentare il contesto epistolare in cui sono inseriti favole, racconti, ricordi, caricature bizzarre e folgoranti istantanee che balenano negli scritti. Abbiamo insomma inteso presentare, in un ordine tematico, scorci sulla mobile e ricchissima realtà umana di Antonio Gramsci presente nelle lettere, frutto di una fantasia narrativa libera e spregiudicata di cui, dietro la scrittura minuta ed ordinata delle pagine, sempre si avverte la matrice invisibile nell’immagine. Che, secondo le testimonianze, si manifestava negli scarabocchi, che il rivoluzionario abitualmente tracciava su un foglio durante gli incontri nella redazione del giornale, e qualche volta anche in ritratti di sua mano. E che era libera espressione di una straordinaria sensibilità nei confronti della natura e degli esseri umani in generale.
Sotto tutta la scrittura gramsciana insomma, anche quella più teorica, si avverte la concretezza del rapporto con gli altri esseri umani e la loro storia: per questo si presta ad essere tradotta in immagini. Illustrate dalla felice mano di del Casino troverete innanzitutto le novelle per bambini, nelle quali il riferimento al presente è sempre vivo, come l’allusione ai danni della deforestazione speculativa della Sardegna imposta dal regno sabaudo nella favola del topo e la montagna. Ma troverete anche le memorie dell’infanzia e dell’adolescenza, come la notturna raccolta di mele da parte dei ricci e la caccia alle rane, o l’avventuroso ritorno a Ghilarza da Santo Lussurgiu per le vacanze di Natale. Troverete il racconto a Tatiana, dal carcere milanese di San Vittore, della settimana scandita dalla lettura delle riviste, a cui era abbonato grazie a un conto aperto dall’amico Piero Sraffa. Tra le quali figurano il Corriere dei Piccoli, che faceva circolare tra gli altri detenuti, la Domenica del Corriere e Il Guerin meschino: un foglio illustrato «cosiddetto umoristico», spesso impostato sulla parodia poetica dei classici della letteratura. Fino alla folgorante creazione di estrose istantanee e caricature, delineate l’acuto umorismo di cui scriveva a Tatiana il dicembre 1926, arrivato al confino di Ustica: «Lo spiritello che mi porta a cogliere il lato comico e caricaturale di tutte le scene era sempre attivo in me e mi ha mantenuto giocondo nonostante tutto».
Dopo il processone del maggio 1928 e la feroce condanna a oltre venti anni, troviamo anche i racconti in cui il detenuto rappresenta la propria vita nel carcere di Turi, come l’arrivo di un passerotto in cella e gli stentati esperimenti di orticoltura in una minuscola aiuola, dove le vicissitudini di una rosa diventano, leopardianamente, metafora della vita propria e dell’universo.
Non esiste in Gramsci frattura tra letteratura e vita, né tra militanza rivoluzionaria giovanile e elaborazione teorica del carcere. Anche negli articoli di giornale (cronache teatrali e musicali, pezzi di costume) e negli scritti dei Quaderni del carcere, la scrittura è sempre sostenuta da un contenuto di affetti che le dà corpo e sangue.
Quale interprete migliore allora di del Casino, nutrito di riferimenti artistici dichiarati, come Guttuso e Picasso, ma anche più sottili, come il Caravaggio del “Riposo durante la fuga in Egitto”, visibile nel disegno in cui Gramsci legge uno spartito, mentre Giulia suona il violino. O la reinterpretazione della “Colazione sull’erba” di Manet della copertina, in cui Antonio porge a Giulia una mela sbucciata, rovesciando in un innocente gesto d’amore l’offerta fatale di Eva ad Adamo, che costò la cacciata dall’Eden. Ispirate dalle sue lettere, le illustrazioni sono la migliore conferma dell’idea coltivata da Antonio fin da ragazzo dell’assoluta necessità di una nuova cultura, lontana da ogni sussiego intellettualistico e aperta anche agli esclusi dalla storia: bambini, donne, operai, contadini e immigrati. Una nuova egemonia culturale, una rivoluzione dal basso, senza armi, solo del pensiero e della parola, che risponda insieme ai bisogni alle esigenze degli esseri umani. A partire dai primi anni di scuola.
Noemi Ghetti, da Roma
IL LIBRO:
Gramsci Antonio
Ti racconterei altre storie,
sempre più maravigliose
L’Asino d’Oro
Testi a cura di Noemi Ghetti.
Disegni di Francesco Del Casino.
Postfazione di Pietro Clemente
26,00€
Presentazione sul sito dell’editore