Magia dell’autunno! Gabriele De Masi ci regala due suoi nuovi componimenti: un racconto breve e una poesia. Sono un omaggio a quella stagione che avvolge delicatamente e trasforma la terra della sua amata Verde Irpinia, luogo ameno, di vigneti, noccioleti, castagneti, ulivi e d’ogni ben di Dio, che si possa chiedere, raccontata con lo sguardo sensibile, attento, amorevole, partecipato d’un figlio radicato e appassionato al tempo e alle stagioni della vita.
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La credenza aperta
Quel filare di viti, che correva fin giù alla valle, è stato tagliato da una interpoderale; ferita aperta sul declivio che lascia pensare, a chi guarda da lontano: “Quando sarà, mai più, sanata?”
L’estrema pigna d’uva pende sulla strada, per niente sicura che sarà vino con la prossima vendemmia.
La polvere e il traffico la renderanno più merce d’avanzo che nettare al palato?
Il Fiano è grappolo chiuso, rinserrato, abbondante d’acini, incontro di api che, a fine estate, sforzano l’ultimo sorso di rugiada e zucchero alla lacrima che ha visto tanto sole.
Uva, ambrosia per volatili; pasto gustoso per cinghiali e volpi.
Sarà quest’ultimo grappolo, corona dei campi, aristocrazia di calici?
lnonderà ancora di splendore la tavola con la sua luce paglierina; avvamperà l’estate di San Martino.
Le allodole arrivarono di buon mattino dal tratturo vicino. Noci, nocciole e castagne, sminuzzate dalle ruote dei carri, richiamarono, ben presto, e anche da lontano, i cugini colombacci d’altura, le upupe, già in partenza per l’Africa, la ballerina bianca e la gazza, a balzellare sull’abbondante pasto come pure gli ultimi passeri della nidiata, già esperti nel dubitare del viandante o del rombo dell’auto.
“Cosa abbiniamo a questo gustoso pasto croccante?”, interrogò, malizioso, lo scoiattolo, già procedendo, esso, alla scorta per l’inverno e, per I’ improvvisa secchezza al palato, insisteva, chiedendo risposta. “Saprò essere ancora compagna di sontuosi banchetti nelle mense importanti…”, pensava il grappolo di Fiano, quando, arrivarono dall’alto della collina altri uccellini in stormo che si spersero tra i filari, anch’essi per qualche goccia d’uva.
“Non ti beccheremo tutta e prometto che lo scoiattolo non farà incetta delle tue bacche”, assicurò il merlo.
Il contadino, sentito tutto quel baccano, si precipitò sul luogo e non trovandovi alcuno e guardandosi intorno, non se la sentì di cogliere quella luce sul bordo della strada, tanto era bella allo sguardo.
La lasciò appassire per farne compagnia e cibo agli animaletti in inverno.
Così ringraziano gli uomini dei campi, anche quando l’annata non è abbondante. Tutti devono mangiare.
Gli acini, rinsecchiti e ancora più profumati e zuccherini accontentarono passeri, pettirossi e verdoni, quando venne il grande freddo.
La credenza era aperta per loro, tutti infreddoliti, ubriachi e ciechi di neve.
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Ubriachi d’Autunno
Brillo, insiste, gira, ripassa,
lento il moscerino intorno,
al bicchiere a mezz’aria,
ne respira l’afrore, incurante
della mano, lo scaccio, curva,
schiva, ripiomba nel baratro
ancor pieno di Fiano.
Sarà per il giallo paglierino,
oro, luce del mattino,
ché s’accostano due amici,
giunti dalla cantina del vicino
che pigia l’uva del giardino.
È per tutti festa d’abbondanza,
sorseggio piano, poso il bicchiere,
lo riprendo, tracanno;
adesso i moscerini se ne vanno
come son venuti…
Ubriachi, d’Autunno
Gabriele De Masi
Pagina d’autore di Gabriele De Masi con altri suoi componimenti
Ogni poeta ha cantato il suo autunno: « Già lo sentimmo venire… »di Cardarelli.
La poesia « Ubriachi d’ autunno » di Gabriele De Masi, si apre con un moscerino, e altri medesimi insetti, in processione, dopo aver adorato e odorato, sembrano uscir fuori, silenziosamente, dal sacro tempio della natura.
L’ autunno è la stagione che vede le foglie diventare fiori.
Scialo della creazione.
Poesia, questa del sapere, del sapore dell’anima, risveglio di sensazioni, di percezioni, di sentimenti.
Poesia di colore, di suono, attenta all’apparente insignificanza, di cui solo il poeta diventa scrittore di senso.
De Masi svela, rivela, quel minuscolo quotidiano, minimo sfuggente all’uomo di oggi, distratto e rapito dall’ istante.
Il moscerino, una specie d’ insetto, simbolo del ridicolo, del fastidioso, conquista il suo spazio nel verso del nostro poeta.
In quella luce dorata,
in quel colore paglierino, in quel giallo che non è quello squillante di Van Gogh, si cela il mistero.
Un mistero che per il poeta a noi, umani, tocca solo amare, riconoscere, custodire.
Noi abbiamo disperatamente bisogno di poesia contro l’ arido che avanza.
La parola poetica di De Masi è un eccellente antidoto.
Anche l’ ubriaco nella sua ebbrezza ha qualcosa di misterioso, come diceva Sant’Agostino: è felice.
Fausto baldassarre
Sulla scia di Esopo, Fedro e una folta compagnia di poeti o « scrittori per l’infanzia » (come non ricordare Collodi che « assegna » al grillo al gatto, alla volpe un ruolo-simbolo di valori universali.. « , uno dei più grandi francesi di tutti i tempi, Jean De la Fontaine, ha celebrato con forza espressiva e con esiti didascalici assolutamente inimitabili, la centralità degli animali nella vita degli uomini fino al punto di assegnare loro il compito di « ammaestrarli » suggerendo atteggiamenti di vita o evocando i difetti di una umanità disinvolta e distratta.
Gabriele De Masi va oltre…
Con la rara capacita’ di chi da sempre « frequenta » la parola con esiti notevoli di fantasia, ricchezza di sentimenti, eleganza nel delineare immagini originali, giunge a rinvenire in un moscerino la capacità (non proprio frequente nell’uomo) di estasiarsi , diremmo, di « perdersi » , di fronte alla straordinarie « provocazioni » della natura.
Un moscerino diventa. qui, protagonista di una sorta di scena teatrale, si direbbe, scena lirica, che lo vede al centro di un momento ,consueto per chi sorseggia un bicchiere di vino , ( il fiano per « competenza territoriale… ») : incurante della mano che afferra con una sorta di « voluttà indotta » il prezioso bicchiere, si guarda intorno, avverte un godimento fisico nel contatto con gli effluvi e i sapori arcani di un vino, per tanti versi, nobile e generoso di gratificanti sensazioni…e si « ubriaca d’ autunno »…
Col misterioso intuito del poeta di razza , De Masi « immagina » e coglie ,perfino in un moscerino, la capacità di commuoversi di fronte alle bellezze e ai doni di una natura generosa e « sorella ».
Una sororità negletta che ci porterebbe ad attingere i lidi dell’impegno ecologico…
Il tutto avviene in una sequenza breve, seppur carica di passaggi felicissimi sul piano estetico-letterario letterario…, una scena, …come si diceva..
Una teatralità composta e « genetica » (come non ricordare il successo incalzante di Mario, figlio prediletto del poeta e autore teatrale di straordinaria vena ?).
Alla fine il moscerino, come solo una fetta di umanità riuscirebbe a fare, si ubriaca di autunno.
Proprio come l’innamorato di una splendida canzone napoletana che esclama in musica : » …me so’ mbriacato ‘e sole, me so’ mbriacato e te.. ».
Antonio Polidoro