Immagini di donne provenienti da diverse parti del globo, nella mostra fotografica della ravennate Elena Fiore e giovani indiane sfregiate dall’acido in “Sheroes” del fotoreporter di Bologna Federico Borella idealmente dialogano tra loro sotto il nome del coraggio e della resilienza al femminile.
Secondo la definizione Treccani la resilienza sarebbe “la capacità di resistere e di reagire di fronte alle difficoltà, all’avversità o ad eventi negativi” individuando una strategia che permetta non solo di farci superare una crisi ma anche di prevenirla. “Resilienza, donne che fanno la differenza” è precisamente il titolo della raccolta fotografica di Elena Fiore che risponde al grido tacito lanciato dalle giovani in “Sheroes”.
Tali volti al femminile arrivano a noi percuotenti lasciando la loro impronta indelebile a Palazzo Rasponi e dai chiostri della Biblioteca Oriani di Ravenna. Stesso tema sempre molto attuale visto da due angolazioni diverse; nel primo caso più luminosi e solari i ritratti della Fiore provenienti da paesi quali Cuba, Birmania ecc., nel secondo caso il loro risvolto più tragico di resistenza di fronte a un indelebile passato.
Sono intensi e nitidi i primi piani femminili di Elena Fiore raccolti nel corso dei suoi viaggi: intagliati come cortecce di alberi dall’imprimersi dell’esistenza sulla pelle, per le condizioni climatiche o di vita spesso avverse ma, sempre e comunque autentici. Colti nella purezza inattaccabile del volto, nella sua intima rivelazione attraverso lo sguardo; il processo misterioso del rendere visibile una qualche bellezza o verità che si manifesta in un istante attraverso l’immagine fotografica.
In maniera differente, in “Sheroes” i volti tragicamente si sottraggono allo sguardo in quanto sfigurati, in parte cancellati o resi irriconoscibili dall’acido. Eppure la forza straordinaria di tali immagini arriva a noi come la scelta coraggiosa di queste giovani donne viste eroicamente al centro della scena e della propria esistenza in un atto di aperta sfida e riscatto verso le gerarchie patriarcali e repressive dominanti nel paese. Decidono di combattere, reagire di fronte allo shock subito fondando nel 2014 lo Sheroes Hangout Cafè insieme alla NGO Stop Acid Attack nella zona turistica di Agra, paradossalmente non lontano dal mausoleo simbolo spirituale dell’umanità, Taj Mahal.
Elena Fiore
Cuba: “ Non è che gli manchi il sonoro, è che ha il silenzio”.
Tra le tegole rossicce dei tetti visti dall’alto e i colori vivaci delle piccole case il silenzio tende verso l’alto nella piena luminosità del giorno sull’isola. Oltre i segni della miseria una sensualità pervasiva e sfuggente abita i volti di queste donne viste sulle soglie o tra le facciate dei quartieri popolari.
Radici di manioca, zucche e patate esposte nel mercato del villaggio in strada; frutti colorati, volti sorridenti e pelli abbronzate, scintillanti allo sguardo. Cuciono sedute all’interno di una bottega artigianale, ora camminano per strada dove la povertà degli edifici si palesa insieme ai loro colori limpidi del giallo, del blu o dell’ocra. Le donne si mostrano all’obbiettivo con assoluta naturalezza: i loro volti nitidi, i sorrisi smaglianti, i colori solari delle magliette aderenti. Le mani lavorano foglie di tabacco, i corpi si espongono in forme voluttuose e sensuali. Fiori bianchi ora violacei espandono nella solarità cangiante del giorno.
Romania: “ All’alba quando l’aria della notte si ritira silenziosa nell’emisfero della nostalgia…”.
Strade slavate, distese di ghiaccio bianche e deserte. Il selciato apre verso antiche dimore o castelli in pietra a vista investiti del potere millenario della loro presenza nel luogo. Gelidi casolari e panni stesi ad asciugare sulle reti d’inverno.
Il viso di questa donna è rugoso simile a corteccia incisa, le mani intagliate dal tempo e dalla fatica ma i suoi occhi appaiono limpidi, immobili e trasparenti come laghi riflessi nel pallido sole d’inverno. Pulviscoli bianchi di neve cadono senza fine sul suo cappotto nero mentre matrioske colorate in primo piano rompono la monotonia nel gelido inverno rumeno.
Vietnam : “Volevo fare come mia nonna: non perdere mai la speranza.”
Le dighe e i campi alluvionati dalla stagione delle piogge si oppongono ai volti asciutti e abbronzati, quasi dissecati dall’eccessiva calura delle piccole donne vietnamite. I panieri sono colmi di pesci vivi e guizzanti nei mercati ambulanti, rosati e fucsia i loro copricapi. Per strada il cibo, la vita, i commerci.
Le vietnamite cesellano metalli o altre lamelle dorate nelle botteghe artigiane, trasportano panieri di banane, vendono pesce fresco al mercato del villaggio o sulle barche dondolanti attraverso il fiume. I loro cappelli di bambù colorati risplendono sulle sue acqua, piccolo auspicio di felicità.
Birmania : “L’autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento negli atteggiamenti mentali che determinano lo sviluppo di una nazione.” (Aung San Suun Kyi)
La rivoluzione invocata è quella dello spirito per un cambiamento radicale nelle strutture e nell’ideologia di un paese dominato nei propri modelli repressivi da una dittatura militare che si scontra contro le nuove generazioni abitate dal desiderio di democrazia e libertà. Nelle fotografie sono i piedi nudi di donne accovacciate a terra rimescolando in una ciotola un composto denso e malleabile simile a riso. Mani sgusciano frutti e lavorano pimenti e spezie rossicce e scintillanti nei panieri. Sui filatoi tessono la tela o incidono lamelle d’oro. Bracciali argentei scintillano come collari ai loro polsi, cerchi d’oro al collo o alle loro caviglie.
Vi sono donne artiste – una scolpisce una statua in gesso rivendicando il proprio potere di necessità ed espressione, altre con il volto dipinto da segni sacri, all’immagine finale di fiori bianchi con calici d’oro sbocciati all’interno.
India, Sheroes – Federico Borella
Sheroes Hangout è un gruppo di giovani indiane che combattono per ricostruire le proprie vite distrutte dall’aggressione dell’acido perpetuata da membri delle loro stesse famiglie, conoscenti o vicini al loro entourage famigliare [vedi la loro pagina Facebook]. Le fotografie di Borella, riunite nella mostra illustrano scene di vita quotidiana delle tre giovani attiviste, Dolly, Ritu e e Rupa, combattenti anche in nome della migliaia di vittime silenziose alle loro spalle.
Da un lato tale lavoro fotografico esposto in varie città del mondo e diffuso attraverso i social media intende denunciare la violenza agita contro molte donne in India per conflitti interni o abusi di potere famigliare e personale. D’altro lato, questi volti sfregiati si imprimono in maniera commovente e indelebile nella nostra mente per la forza vitale, inalienabile che ci trasmettono, nonostante la de-figurazione o forse proprio in ragione d’essa quasi a mostrare il potere rigenerativo della vita, la sua caparbietà indistruttibile e fiera. Loro, “amazing warriors”, sorprendenti guerriere della vita decidono di aprire un Caffè, ricostruire il loro quotidiano, farsi infine portatrici di una battaglia politica per la rivendicazione e la tutela dei diritti al femminile in India.
Sullo sfondo del Café una parete di mani impresse in bianco appare contro una gettata di colore rosso. Sono ritratte in momenti del quotidiano: Ritu mentre cammina per strada , Sonya mentre tiene in braccio la figlia Nexami, Rupa mentre acquista tessuti al mercato. Vestono abiti bianchi di tessuto indiano e tuniche colorate al di sopra. Ridono, danzano, parlano ai turisti della loro causa e scattano foto insieme a loro. Sfidano quel sistema patriarcale e gerarchico che ancora detiene il potere in India così come i cliché dell’immagine femminile con i suoi esasperanti canoni di perfezione. Proclamano la forza e il coraggio di continuare a resistere, lottare e rinascere dalle ceneri di tale indelebile passato. Mostrano il loro volto sfregiato sfidando la violenza di genere per rispondere ad essa con tale inenarrabile forza di vita, messaggio all’ intera società indiana e globale.
Elisa Castagnoli
Da Ravenna