La scrittrice Monica Florio affronta con questo romanzo il tema attualissimo e difficile del bullismo omofobico. Con rigore, vigore, poesia ed ironia, per raccontare, denunciare e testimoniare di un male del nostro tempo e della nostra società che sembra non trovare rimedio. E’ un libro contro l’intolleranza. Pur rivolgendosi ai giovani, dovrebbe essere letto dagli adulti, in primis genitori e docenti.
Il mondo attuale pare dominato da una forza tirannica che estende il suo dominio indistintamente e in forma diversa su tutti: la paura. È la paura per la propria incolumità, fisica e psichica, per la propria sopravvivenza economica e sociale, la paura di perdere qualcosa, la paura di essere (con la conseguente tendenza a nascondersi e uniformarsi alla massa), la paura dell’ignoto, e in particolare di ciò che identifichiamo come diverso da noi o da un ipotetico modello stabilito nell’opinione collettiva. Il miglior rimedio per la paura è la conoscenza: cito a memoria, forse imperfettamente, una frase di J. Verne che sembra quasi il manifesto del recente romanzo illustrato “La rivincita di Tommy” di Monica Florio (La Medusa Editrice, 9.20 euro, pp. 172).
Descrivere, raccontare, denunciare – con tono ora lieve, ora vigoroso, ora poetico, ora ironico, col sorriso sulle labbra e talvolta l’angoscia nel cuore – la paura della diversità, paura che nasconde al suo interno una corruzione sociale e personale molto più profonda, significa anche richiamare l’attenzione su ciascuno di noi e sulle nostre opinioni, sensibilizzare su un problema molto più diffuso di quanto si voglia ammettere, e quindi lottare contro una realtà spesso taciuta, quando non addirittura negata, perché costringe inevitabilmente al confronto.
Ma la conoscenza è ricerca, impegno, scoperta e confronto: l’autrice, con una scrittura sobria e concreta, dall’elegante ed immediata espressività, ci invita ad assumere la responsabilità di riflettere, il che conferisce valenza educativa ad un romanzo rivolto principalmente, ma non solo, al mondo della scuola.
E tuttavia il rimedio della paura, la conoscenza, suscita anch’esso il timore di scoprire e riconoscere i propri errori e di scontrarsi con la necessità di mettere in discussione le proprie certezze. Rifiuto di conoscere e di essere, fuga dalla propria interiorità e dalla comprensione di dati oggettivi che dovrebbero essere acquisiti quale patrimonio comune e che invece non lo sono ancora, tanto meno oggi (il rispetto e l’inviolabilità fisica e psichica di ogni essere umano, l’assurdità dell’aggressione gratuita a chi non costituisce un pericolo, ma che, per la sua specificità fisica o psichica, che lo distingue dal gruppo, è percepito come tale, quale sollecitazione indiretta e involontaria al risveglio di quella coscienza che si vuole silenziosa, assopita, anestetizzata): tutto ciò è un tarlo che mina la vita sociale moderna, a partire proprio dalla scuola e dal mondo adolescenziale, che oggi più che mai brancola nell’oscurità dell’incertezza del futuro, di un’impossibile progettualità di vita, giacché le esigenze della realtà attuale mutano così rapidamente, giorno per giorno, da impedire qualunque prospettiva a lungo raggio. L’unico rimedio che gran parte di questo mondo conosce è l’arroccamento su un comodo conformismo che eviti la fatica di esporsi, sotto la protezione del paravento dell’opinione comune e del sentire collettivo.
In queste condizioni, il primo che alzi la voce e affermi di essere il capo (nel romanzo si chiama Diego), lo diventa veramente, grazie alla passività dei suoi sostenitori, spalmati letteralmente sulle sue posizioni, e la vittima da lui scelta, in base a principi che trovano origine solo nei problemi irrisolti e nelle repressioni subite nel corso di un vissuto affondato nel suo inconscio, diventa il nemico di tutti, il catalizzatore di quella violenza trattenuta che vorrebbe essere, per un adolescente, il grido di affermazione al mondo della propria esistenza, identità, volontà, ma che viene quasi sempre taciuto o messo a tacere, e quindi trova un’altra via di sfogo.
La vittima, il nemico, è Tommy la cui indole – caratterizzata da un’emozionalità acuta e ricettiva, con una forte componente femminile, accresciuta dal continuo confronto con una realtà familiare apparentemente simile a tante altre ma, per un tredicenne, problematica e fonte di incessanti stimoli non sempre positivi – lo rende indifeso, facile preda di ingiustificati quanto immotivati attacchi a sfondo omofobico, nell’indifferenza quasi unanime del mondo degli adulti deputati a vigilare sulla crescita dei ragazzi a loro affidati. Tommy è vulnerabile perché inizialmente neppure lui ha ancora piena coscienza della propria realtà interiore, psichica e sessuale, e quindi non può ancora difendersi dalle aggressioni, soprattutto psicologiche, tendenti ad isolarlo, umiliarlo, accrescere la sua sensazione di incertezza e diversità. Ma queste provocazioni, destinate a ferire profondamente la sua sensibilità, causano fortunatamente una reazione, che è soprattutto presa di coscienza del sé e quindi accettazione della propria natura, rispetto per il proprio essere ed autostima. E tale reazione è seguita passo dopo passo con affettuosa simpatia dall’autrice, tanto che il lettore attende con trepidazione di vedere come si attuerà quella rivincita annunciata dal titolo.
La storia, infatti, è una vicenda di crescita interiore, risultato di un travagliato e talora drammatico periodo di difficoltà, e della ricomposizione di un mosaico di tessere, che poi sono tutti coloro che prendono parte all’esistenza del protagonista e ne accompagnano la vicenda. Sembra quasi che, nel momento in cui Tommy trova la forza di reagire, riconquistare il rispetto, affermare la propria dignità, come per un effetto a catena tutto rientri nell’ordine positivo delle cose: la famiglia e i rapporti fra i genitori; lo stesso persecutore Diego, ridimensionato e ridotto ad un rango inferiore (con la tipica reazione psicologica dello spaccone scornato intimamente debole, delineata in pochi, brevi, efficacissimi tratti dialogati); il resto della classe, soprattutto il traditore Davide, confinato nell’isolamento del marchio d’infamia, corrispondente maschile della traditrice Annalisa, che aveva rinnegato l’amica Stella (vittima anch’essa di bullismo omofobico e grande amica di Tommy, che alla sua forza d’animo si è ispirato per compiere il suo percorso) e da questa ovviamente rifiutata dopo il suo tardivo pentimento.
È come una moderna fiaba a lieto fine, una fiaba radicata in una realtà attuale della quale fanno parte supereroi e social network, mode ed abitudini giovanili, vuote e inconsistenti realtà familiari; ma tra i personaggi, adulti e ragazzi, prigionieri di un immobile conformismo nel quale paiono recitare un copione già scritto, qua e là spuntano delle luci, le uniche luci di speranza in una realtà priva di futuro, a segnare il cammino della storia: Lorenzo, il padre di Stella, zia Giacinta, Erminia e gli amici extrascolastici di Tommy.
Ma è soprattutto lui, il protagonista, ad indicare la strada giusta poiché, a fronte dell’ammirazione incondizionata del fratello minore, con lo scrupolo quasi di esserne degno, e dell’assenza paurosa di genitori ed insegnanti, intraprende un percorso di rinascita che viene tutto dalla sua interiorità. Forse non è ancora il passaggio verso l’età matura, ma quello di Tommy è un cammino di autentica vittoria, un rinnovamento attraverso la ricerca interiore, una presa di coscienza del valore del proprio essere, che poi si esprime con i mezzi più appariscenti ed immediati che un tredicenne possa trovare: rispondere alle provocazioni picchiando più forte del provocatore. E ciò che vince con Tommy non è la forza bruta (è molto più debole e mingherlino del suo avversario, nonostante frequenti una palestra) ma da un lato è l’astuzia del saper sferrare il colpo giusto al momento giusto (ottimo risultato della frequentazione della palestra) dall’altro la forza della propria consapevolezza e dell’accettazione di sé. La considerazione di cui è fatto oggetto dopo la sua rivincita, in classe come a casa, è la stima non per colui che ha picchiato più forte ma per colui che ha vinto la paura, l’apprezzamento dovuto a chiunque abbia difeso non solo sé stesso ma un principio naturale, umano, razionale, la legge del rispetto e della civiltà, del diritto di ciascuno di essere ed esistere nella pienezza della propria identità, senza discriminazioni.
Certo, rimane sconvolgente il fatto che si debba tornare a ribadire quanto nella figura di Tommy vi sia di profondamente umano, nei suoi gusti, nelle sue emozioni, nel suo isolamento iniziale, e di come non dovrebbe neppure esistere questione riguardo il diritto al rispetto dell’uomo in quanto tale, in tutte le sue manifestazioni. Dovrebbe essere una conquista acquisita del pensiero e della realtà attuale, che invece sta facendo emergere una chiusura progressiva di ogni relazione umana, intravedendo nell’altro, a maggior ragione se diverso dai nostri paradigmi, un potenziale nemico, pronto a farci del male; e se per noi il male è la necessità di guardarci davvero dentro, allora abbiamo già iniziato, a grandi passi, un cammino verso un’involuzione spaventosa.
Ho scritto che la battaglia di Tommy è ancor più significativa e vincente perché combattuta da solo, avendo certamente davanti a sé dei modelli reali, gli amici Gabriele e Stella, e fantastici, i supereroi che tanto ama, ma che non possono combattere al posto suo, e tuttavia privo della presenza e del sostegno del mondo degli adulti. Genitori, insegnanti e adulti in genere, salvo rare eccezioni, non fanno proprio una bella figura in questa storia, nel confronto col mondo adolescenziale, vuoi per le esigenze moderne che li tengono lontani dalla famiglia, assorbiti da impegni professionali che non di rado deprimono e avviliscono, vuoi per una sorta di malinteso conformismo, apatico e rassegnato, che contraddistingue una generazione, che poi è anche la mia (anch’io ho una figlia quasi coetanea di Tommy), cresciuta in una relativa sicurezza, con la speranza, che era quasi certezza, di un costante miglioramento, ed ora preda dell’ansia per il futuro proprio e dei propri figli.
Ed allora ci si rifugia nelle vecchie convinzioni, in quei luoghi comuni che non possono più reggere: e quanti adolescenti, allora, abbandonati a loro stessi e privi della forza d’animo di Tommy, rimangono vittime di quest’indifferenza ad un tempo volontaria ed involontaria, travolti da soprusi, discriminazioni, violenze: a scadenza si leggono notizie di suicidi o atti violenti compiuti o subiti da ragazzi di quell’età. Agli adulti il mondo adolescenziale fa paura e istintivamente ne rifuggono, anche se è quello dei loro figli: con un geniale ribaltamento di prospettiva, l’autrice ci pone di fronte ad un adolescente che fa crescere i suoi genitori, quasi strappando loro quel blocco emotivo che aveva costruito in loro la paura: la paura di fare i conti col proprio passato di bullo per il padre (che ovviamente non poteva tollerare di vedere nel figlio il riflesso di colui che da ragazzo egli stesso aveva maltrattato, e quindi doveva negare l’evidenza): la paura di prendere atto che la propria vita sociale, sentimentale e familiare non è quella che aveva desiderato e sperato, per la madre.
Nell’osservazione e descrizione di queste dinamiche, l’autrice attinge ad una conoscenza attenta della realtà e dei suoi complessi rapporti. Tale esperienza diretta conferisce alla narrazione quell’aspetto formativo, non limitato ai ragazzi, ai quali questo testo potrebbe offrire anche un ottimo modello di scrittura chiara ed essenziale, ma si estende a maggior ragione agli adulti, di cui sfila un campionario talora odioso, talora apprezzabile, talora patetico, nel quale si può riconoscere uno smarrimento pari a quello del mondo giovanile, di fronte all’elemento di diversità, in questo caso l’omosessualità. A parole si è tutti liberali, tolleranti, aperti, ma poi, quando l’idea astratta prende le sembianze concrete del figlio, del nipote, dell’allievo, dell’amico dei figli, allora cambia tutto, allora non lo si può dire e si diventa paurosi, ridicoli, ipocriti.
E la paura si alimenta di sé stessa ed è all’origine di danni, a volte irreparabili, della rottura di rapporti d’amicizia, della spaccatura all’interno delle famiglie, dell’omofobia, del razzismo, fino alle guerre fra i popoli.
La scheda didattica di cui è corredato il libro, ben lungi dall’essere una semplice appendice, per la cura con cui è redatta e la semplicità e precisione con cui divulga dati e nozioni dei quali chiunque sia oggi a contatto con il vivere sociale, soprattutto giovanile, non può più fare a meno, ne costituisce una fondamentale integrazione, alla luce della quale è possibile leggere e rileggere la storia di Tommy, cogliendo sia le reazioni degli adulti che il comportamento dei bulli da un’angolazione più tecnica, come un prototipo di tante storie simili e con la consapevolezza che proviene da una sia pur minima conoscenza dell’argomento.
E, per tornare all’inizio, se conoscere è anche vincere la paura, questo libro porta avanti davvero un impegno di diffusione, divulgazione, ricerca di conoscenza, perché tutti coloro che avranno la fortuna di leggerlo e di rifletterci, potranno vedere sotto un aspetto diverso quelle realtà che, per ignoranza, presunzione, ipocrisia, troppo spesso continuano a suscitare immotivate, pericolose paure.
Alessandro Pierfederici