Italia ed Europa nella speranza che l’anno 2014 sia il primo del dopo crisi. Ci sono i segni di una ripresa economica sostenuta dagli Stati Uniti, che oggi hanno una crescita del 4% che potrebbe trainare il vecchio continente e il nostro paese, che pure dà segnali timidi di ripresa. Per l’Italia i primi mesi dell’anno saranno cruciali poi a maggio le europee con tutte le incognite del caso.
Il 2014 è ormai alle porte e alcuni segnali di questo fine anno ci lasciano delle speranze da coltivare. Certo, occorrerà alla politica fare presto nel recuperare la sua credibilità smarrita da tempo e anche l’Europa dovrà mostrare buoni propositi, non per lastricare la strada per l’inferno, ma per indicare una via praticabile per uscire da un’antieuropeismo che sembra oggi nettamente prevalente. Le due cose coincidono, dato che a maggio la politica dovrà confrontarsi sulle elezioni europee.
Intanto, colpisce il dato alto di partecipazione politica, alla faccia di chi parlava di disamore, degli italiani, che votano numerosi alle primarie del PD. Italiani che nella varie comunità internautiche intasano di post i forum, come del resto avviene per i commenti sui principali giornali nazionali e sui talk show politici, da molti ormai seguiti in rete. E che dire dei forconi che pur gridano contro la politica, sono in fondo, con la loro protesta, vaga d’idee e progetti, un fatto squisitamente politico.
L’Italia quindi si trova nel suo mélange di rassegnazione, rabbia, speranze, protesta e proposta ad un bivio, con tutte le insidie che un bivio propone.
Va detto che la combinata composizione dell’esclusione dal senato di Berlusconi con la sua ineleggibilità e l’elezione del nuovo segretario del PD hanno, come di incanto, fatto archiviare (almeno per ora) l’ossessiva ed inconcludente faida tra berlusconiani ed antiberlusconiani aprendo il dibattito politico e il paese ad una fase nuova.
Uscendo dall’informe ed invasiva anomalia berlusconiana, il “famoso” quadro politico sembra prendere una forma più coerente e razionale.
Il PD.
Usciti dai dogmi del post-sessantotto che hanno condizionato gravemente la coscienza della sinistra per decenni e con la rivoluzione culturale che ha avviato Matteo Renzi, con il sostegno di una netta maggioranza uscita dalle primarie, il PD finalmente si è riappropriato dell’agenda politica del paese, anche grazie alle vicissitudini della destra di cui parleremo più avanti, imponendo temi ed idee ad un governo Letta che sembrava non attendere altro.
Il Renzi ha avuto il merito di spazzare via la nomenclatura perdente del partito (cresciuta appunto, all’ombra del mito sessantottino e del « grande » Partito Comunista) e con senso della collegialità si sta muovendo, senza guardare in faccia a nessuno, nemmeno alla propria corrente, cambiando i responsabili politici, puntando su una linea giovane, anche nella sua segreteria, e dando a Cuperlo, non senza lungo corteggiamento, la delicata funzione di presidente del partito.
Il risultato è che il berlusconismo e il suo anti, sembrano ormai storia vecchissima e finita per sempre. Finanche i protagonisti, di quella che fu la sinistrra della seconda repubblica, D’Alema in primis, sembrano appartenere ad un’epoca storica tramontata.
Enrico Letta, stuzzicato dall’arrivo del “rottamatore”, immediatamente ha iniziato a sprintare e dopo un « nulla » durato anni, il governo attuale sembra aver ritrovato la smarrita vitalità. Basta finanziamenti pubblici ai partiti, anche se con effetti dal 2017, alla Camera è stata sancita la fine delle provincie, taglio alla politica da 160 milioni di euro, entro febbraio dovrebbe esserci la nuova legge elettorale dopo che la consulta ha “macellato” il porcellum. Equiparazione dei costi della sanità tra nord e sud, un taglio alla spending review che fa cessare le speculazioni e le sperequazioni su cui per decenni le regioni hanno vissuto, con terribili dissesti, specie nel sud.
I risparmi saranno riversati, insieme alle risorse che arriveranno dalla caccia all’evasione fiscale, sul cuneo fiscale con la speranza di allentare la morsa sulle imprese, specie quelle piccole e medie, per favorire cosi l’occupazione che mantiene intanto le sue spaventose cifre record.
Anche per il lavoro, ma siamo agli esordi, si inizia a muovere il dibattito, con proposte e richieste atte ad innovare i sindacati per un loro recupero di credibilità e popolarità, forse anche nella speranza, che il caotico spontaneismo delle proteste dei forconi, possano trovare veicolo in un moderna ed efficacie azione sindacale.
Anche in questo caso la nuova linea del PD deve fare i conti, oltre che con i populismi di Forza Italia e di Grillo, anche con i dibattiti inutilmente ideologici delle componenti più conservatrici di quel partito, che si ostinano a non guardare, ancora una volta, la realtà del paese.
Soltanto due spunti per la nuova direzione del PD. La prima è di lavorare in profondità nell’opera di rinnovamento, perché esempi di sepolcri imbiancati e di mala politica a sinistra ce ne sono moltissimi nel territorio, ed un partito che non vuole chiudersi ai suoi iscritti ma che si vuole aprire alla società, come le primarie hanno dimostrato, deve andare a smantellare le sue chiese e con esse quella cultura dogmatica, ostilmente chiusa, che ha fatto per troppi anni della sinistra un centro di affari e di interessi extra politici.
L’altra riflessione è sulle sempre possibili elezioni. La tentazione di andare ad una nuova legge elettorale e al voto subito è forte con una destra che fatica a darsi una sua razionale fisionomia. Contro questa ipotesi urta l’attendismo di Napolitano, che vuole prima risposte all’emergenza e poi parlarne. Letta lavora bene ed è infaticabile, ma se non si vedono progressi, la soluzione voto sarà inevitabile e per la sinistra strategicamente utile. Magari facendole combinare con le europee, cosa che potrebbe anche favorire un miglior voto per gli europeisti in Italia.
Un’ipotesi che vuole scongiurare la destra divisa in due (sostanzialmente) tra una parte nostalgica ed “estremista” che si raccoglie intorno al vecchio cavaliere ed un vivacissimo NCD che con Alfano cerca di oscurare Forza Italia, proponendosi come forza moderata ma dinamica. Il problema di Alfano è riuscire a raccogliere sulla sua proposta almeno parte di quello spappolamento politico che si è verificato con le « larghe intese ». Il vice premier guarda al centro, non a Monti, che nel suo purismo dimostra, ancora una volta, tutta la sua incrollabile e nobile coerenza culturale, ma verso Casini, Mauro ed altri. Con un problema immenso che ove passasse una legge elettorale maggioritaria e bipolare (peraltro auspicata dallo stesso neo leader) si riproporrebbe il problema dell’alleanza con Berlusconi e della leadership, dove è evidente che Berlusconi non potrà candidarsi, ma difficilmente si puo’ credere che i suoi falchi daranno spazio all’uomo di Agrigento.
Il problema della destra è proprio nel riuscire a ritrovare una sintesi tra le sue varie anime, tenendo conto di un processo politico che seppure meno eclatante di quello della sinistra, pure ha mostrato un suo, sia pur precario, percorso in cui si sono cimentati da AN con Fini fino a Futuro e libertà, la destra sociale di “Fratelli d’Italia” a quella più “studiosa e liberista” di “Fare per fermare il declino”, fino agli spesso indigeribili e mediatici Tea Party Italia.
Come per la sinistra si tratta di un mondo composito, non sempre molto rappresentativo e spesso finanche in conflitto, tuttavia sono energie che ove trovassero un punto di equilibrio e progetto, potrebbero costituire il punto di partenza per una futura destra italiana.
Ma questa destra, che in buona misura si ispira a modelli europei, su un punto potrebbe’ essere alleata alla sinistra ed è proprio nella battaglia per l’Europa. Una battaglia difficilissima, per obiettive colpe dell’attuale governance europea.
Le politiche europee, particolarmente negli anni della crisi, si sono dimostrate incapaci di visione, di progetto, limitandosi ad un’estenuante ricerca del mantenimento dei conti pubblici, palesando una insensibilità nei confronti di quei paesi, che, non senza proprie responsabilità, come la Grecia, si sono trovate in una dificoltà estrema nel mantenimento di quei fondamentali economici essenziali a stare nel consesso europeo.
Si è finito cosi per rendere prevalente il dato economico sullo stesso dato politico della costruzione europea, imponendo un’austerita economica di conti pubblici che ha determinato emorragie di posti di lavoro, chiusura di imprese, licenziamenti nel pubblico impiego, il dissolvimento di equilibri economici che in taluni casi (ad esempio Portogallo, Grecia) storicamente, già erano instabili.
In questo periglioso contesto il confronto elettorale europeo ci mostra pero’, in modo plastico, quella che è la madre di tutte le battaglie. Ovvero lo scontro tra politica e populismo. Una battaglia non facile per coloro che ambiscono ad un ritorno della “bella” politica. Un bell’aggettivo che tuttavia sembra prefigurare un mito della politica in cui solo raramente gli italiani si sono ritrovati. E’ essenziale, in tal senso, dare segnali forti, non solo sui tagli alla politica e al suo affarismo ma anche nell’impegno a coinvolgere i cittadini nel dibattito politico. La realtà è spesso diversa da quella che si prefigurano gli attivisti politici, che spesso, nella loro euforia e passino immaginano un paese diverso dal reale. L’Italia è terra di maggioranze silenziose, spesso di grasso qualunquismo, di astensionismo e opportunismo; di forma protestatarie dal forte sapore populista.
I partiti devono sforzarsi al massimo di dare ascolto ai cittadini e anche di offrire soluzioni ai 1001 problemi che proprio la, pessima, politica degli ultimi quaranta anni ci ha regalato, determinando un senso di sconforto e spaesamento che ha accresciuto nella giovane repubblica italiana, una sfiducia nelle istituzioni e nella politica stessa a partire dai suoi rappresentanti. Fino a favorire una cultura dell’antipolitica che si fonda su egoistici disvalori, che hanno depauperato e poi sostituito quel sistema di valori che dalla resistenza alla Costituzione si erano affermati (sucitando forse anche troppe illusioni sul senso civico italico) nel paese, formandone l’ossatura.
La battaglia per le europee, al di là del concreto significato politico (con un parlamento che ancora puo’ incidere troppo poco sulle sovranità nazionali), ha un valore ideale e simbolico fortissimo. Un deficit di votanti, o forse peggio, una forte affermazione dei partiti populisti come la Lega Nord, Forza Italia e i grillini, suonerebbe come un disconoscimento del futuro politico dell’Europa. Un ‘ulteriore regressione sull’unico percorso che offre speranze anche alle singole nazioni che quella entità compongono.
La politica ha quindi una responsabilità enorme e da questa responsabilità deve partire un coraggioso discorso di unificazione europea, che finalmente avvii quel processo invocato anche dal senatore Monti, nel suo interessante libro scritto con l’europarlamentare Sylvie Goulard, sulla “Democrazia in Europa”, per ritrovare il filo di una cultura europea che unisce i cittadini, molto di più di quanto le asfittiche politiche della Commissioni abbiano fatto.
Lavorare sull’idea di una cittadinanza europea che si fondi su valori imprescindibili, che creino una coesia delle politiche tra i vari stati. Un senso di appartenenza che ha bisogno di essere alimentato da proposte concrete come quella di un servizio civile comune, da un’organizzazione dell’esercito in chiave europea con comandi intranazionali. Sburocratizzare i rapporti commerciali, senza sminuire il peculiare valore produttivo che ogni paese offre nel suo specifico. Una direzione unificata nella lotta alle mafie. Una politica comune e coordinata sui fenomeni d’immigrazione. Come Monti propone, costruire una specifica scuola della diplomazia europea (lui indica finanche la sede, Parigi). Costruire una scuola in dimensione continentale con programmi non solo e più a dimensione nazionale, rendere legge quelle che oggi sono solo raccomandazioni del parlamento; andando ad una graduale ma risoluta riduzione delle sovranità nazionali a favore di un superamento delle logiche dei veti incrociati che di fatto impediscono sostanziali progressi sul terreno dell’unità.Il tutto senza mai dimenticare il tema di un’unificazione bancaria sul modello americano della Federal reserve.
La ripresa nell’America di Obama è più che confortante con la sua crescita ora al 4%. Un’affermazione europeista potrebbe dare ulteriore fiducia ai mercati per la ripresa economica globale e quindi italiana.
Ma ci vogliono scelte coraggiose come quelle indicate ed altre ancora ve ne sarebbero da proporre, se si vuole sconfiggere la paura conservatrice su cui lavorano le forze antieuropeiste che nella loro miopia non comprendono che sul piano di una politica ormai globale nessun paese, nemmeno la Germania, potrebbe utilmente resistere alle forme di neocolonizzazione che altrove sono in atto. Come quella cinese nel continente africano.
Uscire dall’euro e ancor peggio uscire dall’Europa è una brutta leggenda e chi soffia sull’antieuropeismo puo’ ottenere il solo risultato di rendere ancora più difficile la già soffertissima situazione italiana.
Ma come detto questa è la madre di tutte le battaglie.
Nicola Guarino
Le speranze del 2014.
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