Le elezioni regionali siciliane del 2012 hanno registrato significativi cambiamenti, sia rispetto al quadro politico regionale precedente, che a quello nazionale attuale: da un lato, infatti, hanno votato il 47,42% degli elettori (al di sotto della fatidica soglia “psicologica” del 50%), e dall’altro il ”Movimento 5 Stelle”, guidato dal comico genovese Beppe Grillo, è diventato il partito più suffragato. Sembrerebbe proprio un “VAFFA!” verso la classe politica. Enunciato in due differenti lingue.
In ogni modo, le elezioni sono state vinte dal Centro Sinistra, formato da PD, UDC e due liste civiche, con candidato presidente Crocetta, che ha totalizzato il 30,50% dei consensi (che, rispetto al 100% degli elettori, rappresenta solo il 14,46%). Inoltre, tale coalizione non dispone della maggioranza dei consiglieri. Nonostante tutto, i suoi leader, nazionali e regionali, esultano per la conquista di un consiglio regionale che non potranno governare. A meno che non facciano alleanze. Una delle due coalizioni di Centro Destra, guidata da Miccichè, s’è dichiarata disponibile a sostenere la coalizione vincente; lo stesso ha fatto il leader del movimento “5 Stelle”, Cancellieri, sia pure con sfumature diverse.
Il Centro Destra, spaccato in due tronconi in maniera analoga allo scenario nazionale, ha registrato il crollo verticale del PDL, che ha totalizzato il 12,90% dei voti (il 6,12%, rispetto al 100% degli elettori), rispetto alle percentuali bulgare degli anni scorsi (46,6% alle politiche del 2008 e 33,4% delle precedenti regionali). Nonostante ciò, il segretario nazionale del PDL, Angelino Alfano, siciliano, esulta per la grande prestazione del Centro Destra, che, se fosse stato unito, avrebbe vinto (infatti, sommando le percentuali delle due coalizioni che si richiamano al Centro Destra, ovvero il 25,70 della coalizione di Nello Musumeci ed il 15,40% di quella di Giancarlo Miccichè, si ottiene il 41,10%).
Tali risultati costituiscono uno scenario su cui costituire un vero e proprio laboratorio politico in cui sperimentare formule politiche valide per il territorio nazionale per i prossimi anni. Volenti o nolenti. Benché, infatti, la Sicilia non possa rappresentare completamente il territorio nazionale, per le prossime politiche sono attesi risultati analoghi a quelli siciliani, quantomeno per le ipotesi di governabilità.
Tuttavia, l’analogia è solo parziale: infatti, mentre il voto di protesta verso “la Casta” espresso attraverso il voto siciliano al M5S potrebbe ripresentarsi a livello nazionale, ed anche in misura rafforzata, la tendenza politica che si riconosce nella leadership di Nichi Vendola, attuale presidente della Regione Puglia, potrebbe ottenere, a livello nazionale, risultati molto più significativi di quelli ottenuti in Sicilia, dove la coalizione che sosteneva Giovanna Marano, formata dalla Federazione della Sinistra (PRC e PdCI), Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà (SEL) e Verdi, ha totalizzato solo il 6,10%, senza ottenere alcun consigliere regionale.
In effetti, oltre al M5S, quest’ultima tendenza politica nuota apertamente controcorrente, rispetto agli altri partiti presenti sullo scenario, che appaiono tutti caratterizzati dal sostegno, più o meno completo e solidale, all’attuale “Governo Tecnico” in carica, guidato da Mario Monti. La differenza radicale che tuttavia caratterizza l’aggregazione politica che sostiene Vendola (e che lo sosterrà alle prossime primarie del Centro Sinistra), rispetto sia al M5S che alle altre forze politiche, è rappresentata alla franca opposizione al modello economico liberista, a cui si rifanno, in maniera più o meno aperta e convinta, tutte le altre forze politiche: il modello liberista rappresenta il paradigma che domina e regola l’economia mondiale, forse perché promette di giungere ad un benessere diffuso, su scala mondiale. Tuttavia tale obiettivo, benché possa sembrare sia stato raggiunto nelle regioni più ricche del pianeta, non lo è mai stato a livello planetario. Anzi, a livello planetario le condizioni economiche sembrano peggiorare per la maggior parte della popolazione.
Distribuzione della ricchezza e logica competitiva
Infatti, nel 2008 D. Conley studiò la distribuzione mondiale della ricchezza sul pianeta trovando enormi sproporzioni nelle disponibilità di ricchezza tra fasce ricche e povere: il quinto più ricco deteneva l’82,7% della ricchezza; quello meno ricco 11,7% e, a seguire, il 2,3%, 1,9% e 1,4%.
Nel 2011 il Credit Swiss research ha ricalcolato tale distribuzione, trovando un quadro peggiorativo. Infatti, lo 0,2% della popolazione mondiale detiene il 39,3% della ricchezza, il 7,5% ne detiene il 43,1% (queste due percentuali, sommate, danno l’82,4% della ricchezza in mano al 7,7% della popolazione, mentre nel 2008 l’82,7% della ricchezza era detenuto dal 20% della popolazione), il 22,5% il 14,4% (nel 2008 l’11,7% della ricchezza era posseduto dal 20% della popolazione), ed il 69,3% solo il 3,3%, mentre nel 2008 60% della popolazione deteneva il 5,6% della ricchezza (Michael O’Sullivan e Richard Kersley, 2011).
Questa tendenza non sorprende. Difatti, in un’economia globalizzata, essere competitivi significa disporre di enormi capitali, tecnologie ed impianti avanzati e costosi, personale eccezionalmente formato, talento e genialità, sempre rare e difficili da trovare. La logica competitiva, principio regolatore del “libero mercato”, quindi, conduce tendenzialmente ad un’oligarchia produttiva (se non ad veri e propri monopoli) che dispone dei mezzi che la maggior parte degli altri produttori non hanno.
Il confinamento della maggioranza della popolazione “debole” in aree ben delimitate, anche se eccezionalmente estese e popolate, sembra ancora in grado di contenere il risultato paradossale degli scambi economici fondati sulla logica competitiva, ma la possibilità che questi confini possano incrinarsi, “importando” gli effetti perversi di tale logica nelle aree presidiate dalla popolazione “forte”, lascia intravedere il fantasma di un collasso socio-politico-economico di portata catastrofica. Il prezzo che la popolazione “forte” del pianeta paga per il suo relativo benessere è quindi rappresentato dal costante rischio di crisi politiche o crolli finanziari, ma è anche costantemente pagato in termini di ritmi di vita sempre più stressanti, mercificazione delle relazioni interpersonali, sovraffollamento delle città, intasamento del traffico, inquinamento dell’aria, dell’acqua, del cibo e del silenzio, effetto serra per tutto il pianeta.
Attualmente, tuttavia, la povertà inizia ad insinuarsi anche nei paesi industrializzati, con la precarietà del lavoro, la disoccupazione, la mancanza di prospettive future per le giovani generazioni, la riduzione della spesa per i servizi sanitari, sociali ed educativi, e l’incertezza di prospettive politiche determinate sia dalla stessa crisi, che dal confronto con le economie emergenti (soprattutto quelle cinesi, indiane e dell’America Latina). I recenti sovvertimenti politici verificatisi in Nord Africa (Egitto, Tunisia e Libia, oltre ai disordini Siriani ancora in atto), inoltre, testimoniano della possibilità, non più tanto remota, che gli equilibri politici internazionali possano cambiare in maniera anche radicale, costringendo i paesi occidentali a ridefinire il proprio ruolo e la propria maniera di gestire le relazioni internazionali.
Logica Competitiva e strategia politica
La logica competitiva è stata soventemente esplorata tramite il gioco del “Dilemma del Prigioniero”. Il titolo di questo gioco deriva da una situazione drammatica (Rapoport A. & Chammah A. M., 1965) in cui due sospetti vengono fermati dai poliziotti e separati; il procuratore è certo della loro colpevolezza ma non ha abbastanza prove per incriminarli, perciò dichiara loro, separatamente, che:
- saranno loro addebitate colpe mai commesse, ma di minor conto di quella per cui sono stati fermati, nel caso si rifiutino di confessare;
- saranno entrambi condannati ad una pena inferiore a quella prevista, nel caso confessino entrambi; e che
- la delazione di uno solo di essi sarà premiata con la libertà, mentre l’altro, l’accusato, sarà condannato al massimo della pena.
In ricerche sperimentali, modelli teorico-clinici e di intervento psicosociali (Carli R., 1987; Carli R. e Paniccia R. M., 1981), vengono usati giochi derivati della situazione prima descritta, a somma non nulla, in cui due giocatori, o squadre, si fronteggiano avendo di fronte tre possibilità:
- scegliendo ambedue la prima, realizzano entrambi un piccolo guadagno;
- scegliendo ambedue la seconda, realizzano entrambi una perdita;
- scegliendo l’uno la prima e l’altro la seconda, l’uno realizza una perdita e l’altro una notevole vincita, e viceversa.
L’obiettivo del gioco consiste nel realizzare il massimo dei punti possibile, perdendone il minimo. I giocatori, inoltre, non possono comunicare e quindi concordare una comune strategia.
La situazione può essere rappresentata con la seguente matrice:
Tale gioco si differenzia dai giochi a somma nulla, la cui logica è fondata esclusivamente sulla sconfitta dell’avversario, per essere caratterizzato dalla implementazione di due possibili orientamenti, ambedue passibili di essere utilizzati per raggiungere l’obiettivo del gioco: l’uno, che si può definire cooperativo e che implica un piccolo guadagno per entrambi i giocatori (scelta A1-B1) a condizione di rischiare una grossa perdita (scelta A1-B2 o B1-A2), e l’altro, che si può definire competitivo, che implica la possibilità di grossi guadagni (scelta B1-A2 o A1-B2) a condizione di rischiare delle perdite (scelta A2-B2).
Le numerose ricerche sperimentali ed esperienze di intervento clinico e psicosociale che si sono servite di tale modello, hanno rilevato che l’orientamento più diffuso è quello più illogico, quello competitivo. L’illogicità di tale atteggiamento consiste, escludendo la soluzione A2-B2 (perdita per entrambi) perché insensata, nel scegliere una opzione (B1-A2 e/o A1-B2) che prospetta grossi guadagni ma non li ottiene, risolvendosi necessariamente, perché applicata da ambedue i giocatori, nella scelta insensata A2-B2. Oltre che dalla avidità, tale scelta illogica può essere spiegata dalla incapacità di riconoscere la simmetria delle possibilità di scelta (ogni giocatore ha la possibilità di fare scelte equivalenti alle proprie), di tollerare l’incertezza del rischio connesso alla scelta A1-B1, e di fidarsi, riconoscendo agli altri capacità pari alle proprie.
Il gioco si presta a rappresentare metaforicamente il gioco del libero mercato a causa della impossibilità di comunicare da cui è regolato, che è del tutto analoga al “segreto industriale” che vincola la produzione competitiva. Inoltre, esso può rappresentare anche l’enorme crisi finanziaria attuale, in cui l’atteggiamento predatorio della corsa all’arricchimento finanziario di pochi ha fatto “crollare il mercato” per tutti.
Tuttavia, a differenza sia del gioco del “Dilemma del Prigioniero” che del “Libero Mercato”, la Politica dispone della possibilità sia di comunicare che di esaminare simmetricamente le conseguenze degli atteggiamenti competitivi. Quindi di creare un’apertura sull’orizzonte degli eventi attuali e futuri, realizzando l’idea che la ricchezza di una persona e di un popolo possa essere misurata dalla qualità del tempo in cui si svolge la propria esistenza, piuttosto che dalla quantità di merci e di capitali che possiede. Un’apertura che in Italia, adesso, sembra essere espressa solo da Nichi Vendola. Che va sostenuto, per spirito di avventura, di sfida, per senso di giustizia ed equità sociale.
O forse perché proprio non se ne può proprio fare a meno.
Lino Scarnera