Per il Giorno della Memoria 2019.
Da alcuni anni, nei ‘dintorni’ del Giorno della Memoria, la programmazione delle reti Rai come Rai Storia ‘senza’ pubblicità, un lusso inenarrabile, propongono l’opera di Zuzanna Ginczanka, grazie soprattutto al docu di Mary Mirka Milo (disponibile anche in dvd): un modo per non dimenticare di ricordarla.
È il racconto di una delle figure di culto della cultura polacca, Zuzanna Ginczanka, protagonista dei circoli letterari della Varsavia degli Anni ’30, fucilata dai nazisti pochi giorni prima della liberazione della Polonia, a soli 27 anni.
Una vita spezzata (alla De Beauvoir, mutatis mutandis) come lo fu la sua splendida ars poetica, apprezzata, seppur non completamente, per fortuna, troppo tardi, lei non più in vita.
NOTA A MARGINE – 1936
Non sono nata dalla polvere, non ritornerò polvere.
Non sono discesa dal cielo e non tornerò in cielo.
Io stessa sono il cielo come una volta di vetro.
Io stessa sono la terra come fertile suolo.
Non sono fuggita da alcun luogo e non tornerò laggiù.
A parte me stessa non conosco altra lontananza.
Nel turgido polmone del vento
E nel cuore indurito delle rocce
Devo me stessa qui dispersa ritrovare.
Cresce a Równe, la cittadina allora russa e oggi ucraina dove abitavano i nonni materni e dove, tra l’altro, era nato l’israeliano Amoz Oz.
È un piccolo centro, una zona tranquilla: la famiglia lo ha scelto per allontanarsi dalla rivoluzione sovietica, ci sono scuole polacche, russe, ebraiche e ucraine. La futura poetessa sceglie il polacco, già forse come segno di adesione alla letteratura di quel Paese (che, val la pena di ricordarlo, ha dato i natali anche all’altra grande e meno dimenticata Wislawa Szymborska, premio Nobel nel ’96, di sette anni più giovane di Zuzanna).
Nel ‘35 si trasferisce a Varsavia, mentre i genitori si separano e spariscono letteralmente. Del padre si dice, ma senza prove certe, che sia finito a fare l’attore a Hollywood. La madre si risposa e si trasferisce a Pamplona.
Ma Zuzanna non si perde d’animo, sviluppando una cultura, un intellettualismo, un senso della satira e dell’autoironia, rari, soprattutto allora e soprattutto per una donna.
Comincia a scrivere per i giornali, diventa ben presto bersaglio di pubblicazioni antisemite, e non lo nasconde nelle sue poesie. Lo scoppio della guerra la sorprende a Równe, in vacanza. Non potendo tornare a Varsavia, come tanti altri intellettuali si rifugia a Leopoli – la città natale dell’ancora russo Tchaikowskij, dove collaborerà con riviste di osservanza sovietica, aderendo all’Unione Scrittori: risultato, dopo l’89 la sua eredità verrà in certi settori guardata con diffidenza, se non con ostilità. Intanto si sposa con uno storico dell’arte di 17 anni più anziano di lei, Michal Weinzieher, per allora uno strano matrimonio.
E quando, nel ’41, i nazisti arrivano anche a Leopoli, comincia una lunga clandestinità, in parte favorita dal fatto che il suo aspetto fisico non ricorda per nulla un’ebrea – fisiognomica ‘a perdere’. Viene però denunciata dalla padrona di casa, e deve fuggire.
L’ultima tappa è Cracovia, dove è in contatto con la Resistenza. Qui, nell’inverno del ’44, è arrestata insieme con un’amica, torturata e fucilata (a 27 anni), pochi mesi prima della fine della guerra.
Nella sua ultima poesia scritta, Non omnis moriar, denuncerà la vile padrona di casa che l’aveva ‘venduta’ alle SS.
Precorre i tempi la sua bellissima lirica in apertura, di almeno 8 anni, ma la sua anima, le sue parole rimarranno nella Memoria per sempre.
Alla guerra ed alla Shoah sono sopravvissuti circa centosettanta componimenti della Ginczanka: le poesie manoscritte contenute in due quaderni risalenti agli anni 1932-1934, che attualmente sono conservati presso il Museo della Letteratura di Varsavia, le liriche e le satire date alle stampe sulle riviste del tempo, i componimenti raccolti nel volume O centaurach – Sui centauri – e l’ultima poesia manoscritta – Non omnis moriar – già citata più sopra ed a seguire riportata.
NON OMNIS MORIAR – 1942
Non omnis moriar,
i miei possedimenti,
prati di tovaglie,
roccaforti di armadi,
distese di lenzuola,
preziosa biancheria
E vesti, vesti chiare
Mi sopravviveranno.
Non lascio alcun erede,
che la tua mano frughi
tra le mie cose ebree
signora Chominowa,
Donna di Leopoli,
prode moglie di una spia,
Lesta delatrice
Madre di un Volksdeutscher.
Adesso sono tue,
perché lasciarle a estranei (…).
di Maria Cristina Nascosi Sandri