Bacini vulcanici, calanchi di tufo, laghi, storia, leggende delineano ed accrescono il fascino di un paesaggio molto particolare. Il nostro viaggio nella Tuscia romana può partire dalle terme etrusche, vicino Viterbo, dal parco del Bulicame, se non altro per la citazione dantesca “Quale del bulicame esce ruscello” o anche perché ce ne tramanda il disegno Michelangelo o soltanto perché la bianca montagnola calcarea da cui sgorga un’acqua sulfurea a 58 gradi è anche la più famosa della zona. C’è sempre qualcuno immerso fino al collo nella piscina naturale del parco piena dell’acqua sospinta dai gas sulfurei e carbonici che alla sorgente bolle come in una pentola.
Sono chiamate Terme dei Papi perché furono meta privilegiata dei Pontefici a Viterbo: nel Medioevo, nel 1235 vi soggiornò Gregorio IX, Bonifacio IX nel 1404, Niccolò V nel 1450. Oggi un moderno impianto termale ed alberghi, fra questi il più noto Niccolò V, sono stati costruiti negli stessi luoghi dove sorgevano un tempo i fastosi palazzi dei Pontefici.
Dopo l’imperdibile sosta alle Terme ci si può dirigere verso i rilievi dei monti Volsini coronati da Montefiascone, in splendida posizione panoramica sul lago di Bolsena. Che sia il mitico Fanum Voltumniae, centro nevralgico di tutta la civiltà etrusca, è un’ipotesi suggestiva nata soprattutto per la sua posizione dominante. Il Fanum era il luogo dove i potenti Lucumoni si riunivano per pregare, confrontarsi e decidere le strategie di guerra. A lungo patrimonio della Chiesa, Montefiascone conserva ancora nella parte alta, attorno alla Rocca papale, un che di grave ed austero, vi passarono il Cardinale Albornoz quando la Rocca, era il 1353, divenne la più efficace e temibile centrale operativa dell’esercito pontificio, ma soggiornarono anche Urbano V di ritorno dall’esilio avignonese, Pio II Piccolomini, Giulio II, Leone X, Paolo III Farnese. Una porta introduce al centro antico, fra strette vie e case medievali sovrastate dalla severa facciata neoclassica della Chiesa di Santa Margherita.
La chiesa di San Flaviano è un curioso gioiello architettonico: formato da due chiese sovrapposte, l’inferiore romanica, la superiore gotica simile a un grande matroneo, le pareti hanno affreschi del 300, pilastri e colonne di varie forme sostengono l’originale struttura. Sui capitelli influssi etruschi si sommano all’estro irridente di un ignoto scultore: sul penultimo della navata destra ha scolpito una figuretta umoristica che si tiene la barba e sull’altro lato ride tenendosi la pancia.
Ma andate a cercare la pietra tombale di quel tizio che morì per aver bevuto troppo vino, il principe prussiano Giovanni Defuk, in viaggio per l’Italia e amante del buon vino, che avendo mandato avanti il suo servo Martino, fu da questi avvisato con il famoso Est, Est, Est, quando, giunto a Montefiascone, trovò il bianco migliore di tutti i vini assaggiati fino ad allora. Il troppo bere lo portò alla morte, “Per il troppo Est, qui morì il mio Signore”, scrisse sulla targa il fido Martino. Sembra che Defuk avesse espresso il desiderio che il giorno della ricorrenza della sua morte venisse versato del vino sulla sua tomba. In ricordo del felice buontempone si tiene ad agosto la Fiera del vino e molte cantine si rifanno alla leggenda. L’Alta Tuscia è stata anche terra di briganti e le loro gesta sono divenute leggenda. Domenico Tiburzi è il più famoso perché, simile a Robin Hood, rubava ai ricchi per dare ai poveri. Volendo si può percorrere a piedi il sentiero dei briganti attraverso aree di interesse storico e naturalistico (http://www.altatuscia.vt.it/). Proseguendo invece il nostro itinerario motorizzato, dopo aver visitato Civita ed essersi fermati a Bagnoregio, in piazza Sant’Agostino, almeno per ammirare il monumento a San Bonaventura di Cesare Aureli, ci dirigiamo verso Bolsena.
Lago di Bolsena
È il più grande dei laghi vulcanici italiani e si è costituto nel corso di millenni attraverso una serie di sprofondamenti del suolo, collassi calderici provocati da un’intensa attività sismica della catena dei Monti Volsini.
Le macchie gialle dei campi coltivati a grano e i filari di olivi non riescono a dissipare la malinconia che comunica questo lago. Le scure acque enigmatiche si illuminano di cupi bagliori barbarici, veleni, assassinii: Bolsena evoca complotti di famiglia, fantasmi, leggende dove simboli e storia si intrecciano, come la figura di Amalasunta, la regina ostrogota relegata e fatta strangolare dal cugino Teodato nella più piccola delle isole del lago, la Martana. Da questa e dall’isola Bisentina si possono ammirare gli antichi abitati che si specchiano nel lago, Capodimonte, Bolsena, Montefiascone. Dimore storiche, chiese e miracoli: a Bolsena, nella cattedrale di Santa Cristina, (un tempo tappa obbligata per i pellegrini che percorrevano la via Francigena verso Roma), si possono vedere i marmi tinti del sangue che sgorgò dall’Ostia consacrata mentre diceva messa un prete boemo. Nacque da questo miracolo, immortalato da Raffaello nella stanza di Eliodoro in Vaticano, la festa del Corpus Domini istituita da Urbano IV con la Bolla Transiturus. Un altro altare conserva la pietra basaltica su cui miracolosamente galleggiò Santa Cristina gettata nel lago dal padre, il prefetto romano Urbano, per non aver voluto rinnegare la sua fede in Cristo e su cui sono impresse le orme dei piccoli piedi. Siamo agli albori del Cristianesimo e il complesso fa parte delle catacombe della Santa, in origine una grotta dedicata ad Apollo.
Da Bolsena si può partire per fare il giro del lago. Si incontrano turisti tedeschi attratti dai luoghi cupi e romantici, vanno sul lungolago dove portano bambini nudi piccolissimi che giocano con la sabbia nera delle rive. Con una breve deviazione si giunge a Gradoli, patria dell’Aleatico, un vino rosso liquoroso molto apprezzato. Gradoli è rinomato anche per i fagioli detti del Purgatorio tanto che ogni anno fin dal 1600 si rinnova la tradizione con il Pranzo del Purgatorio dove i fagioli sono il piatto principale. Nelle osterie si possono mangiare coregoni alla brace e filetti di pesce persico, ti apparecchiano rusticamente con una tovaglia bianca e l’oste a mezzogiorno cucina il pesce freschissimo pescato nella notte.
Da non mancare la visita a Palazzo Farnese costruito su disegno di Antonio da Sangallo il giovane. Per Pier Luigi Farnese fu eretto anche un altro castello a Capodimonte, su una balza del lago. L’itinerario può terminare a Marta, paese di pescatori di anguille, stazione lacustre molto frequentata dagli stranieri.
Civita di Bagnoregio, la città che muore
“La grande meteora” è abbarbicata a uno sperone di tufo che va lentamente sgretolandosi. Arrivano da tutto il mondo a visitare Civita di Bagnoregio, un’isola di tufo rosso-dorato posta su bianche argille. Il tufo si divide in forre e calanchi, sottoposto com’è a un continuo fenomeno di erosione idrogeologica (l’erosione media è di 7 cm all’anno). Fenomeno che dà al paesaggio connotati da girone dantesco, con la terra che si sbriciola lentamente quasi fosse corrosa da un’inesorabile malattia. Scrive Il poeta Bonaventura Tecchi, illustre figlio di questa terra, che meglio di ogni altro ha dato voce alla suggestione profonda del borgo: “Non sarei diventato scrittore se non fossi vissuto alcuni mesi della mia fanciullezza, tra settembre e novembre, nella valle di Civita… Lì ho imparato ad amare la malinconia di ciò che passa”.
Luogo unico, vivo e spettrale, solare e crepuscolare nel contempo, davanti a Civita arroccata e fragile inevitabili si affacciano alla mente considerazioni sul Tempo che lentamente annienta e porta via gli uomini, corrode e sgretola le case degli uomini e le città e le civiltà stesse.
Come quella splendida civiltà etrusca i cui resti andiamo cercando in queste valli, tra i reperti delle necropoli, i poderi abbandonati, gli scarni uliveti, le rovine dei sobborghi. Immobile e silente tra gole, burroni e pinnacoli di tufo, Civita continua ad esercitare fascini: la abitano pittori stranieri, scrittori in cerca di ispirazione; qualche signore d’antan innamorato del silenzio d’estate si muove con un paio di domestici per raccogliere il senso di un estremo bagliore, di una fulgida quanto inarrestabile decadenza. Gli abitanti stabili sono pochi, gestori di bar, bed and breakfast dai nomi evocatori, La locanda della buona ventura, La Corte della Maestà, trattorie che accolgono il flusso quotidiano dei turisti. Perché questa meravigliosa meteora fuori dal tempo bisogna guadagnarsela, non è alla portata di tutti: un unico, stretto ponte lungo 300 metri la collega al resto del mondo.
In cima sta Civita con il suo surreale ciuffo di case medievali, Porta Albana, Porta Santa Maria e la sua coppia di leoni che artiglia due teste umane, la romanica Chiesa di San Donato, la piccola piazza, le case rinascimentali degli Alemanni, i Bocca, i Colesanti.
Francesca Graziano
SU ALTRITALIANI: Altri itinerari proposti da Francesca Graziano (Lago d’Orta, Villa Massena a Nizza, Il Bomarzo, Le Cinque Terre, Capri, Lago di Nemi, Anticoli Corrado…..)