Ogni anno che inizia porta in sè qualche nuova speranza. Ma qui in città quella che torna è quella di sempre: sarà questo 2019 l’anno in cui si troveranno le soluzioni ai problemi che da decenni gravano sul destino di Venezia? Mi chiedo poi: quale nuovo teatrino si allestirà nel nome della sua salvezza? E già me li immagino gli invitati al prossimo tavolo:
facce nuove, tutte dotate di ottimismo pronte a risolvere quei problemi ritenuti gravi perchè nessuno li ha mai risolti. Presentarsi così è d’obbligo per chi volesse rivoltare il paese come un calzino e lo si sente già nelle parole che questa nuova tornata politica sta mettendo in campo, così diverse ma simili alle precedenti da farmi nascere il sospetto che…
Così, in attesa di prossime « soluzioni », la città si è come di colpo infiacchita. Ha il fiato corto di chi sembra non farcela più. La riprova di quanto sto dicendo me l’ha data l’ultima grave alta marea (la quarta peggiore della sua recente storia) che ha messo a nudo come la difesa dall’acqua alta sia ancora lontana dall’essere trovata. Indagini più approfondite hanno evidenziato, ad esempio, come le colonne esterne della Basilica di S. Marco si stiano sgretolando sotto l’azione continua e distruttiva dell’acqua salata, che sta ora portando l’umidità verso le parti più alte. Anche l’interno della basilica ha visto diverse tessere dei suoi preziosi mosaici staccarsi progressivamente. La gravità dei fatti meteorologici che l’hanno provocata è la stessa che da più di cinquant’anni la sta martoriando, peggiorata dal continuo, progressivo dissesto idrogeologico della sua laguna.
Ma proseguo con ordine. L’aggressione che la città ha dovuto subire iniziò già nei primi anni ’60, quelli del boom economico. Allora la superproduzione di petrolio portò i ben pensanti a progettare e a costruire ex-novo un’area, nella zona di Marghera, un gigantesco polo industriale, definito in seguito Petrolchimico. Ci si doveva attrezzare, ed in fretta, per accogliere le migliaia di navi mercantili provenienti dai golfi arabi. Per facilitarne l’arrivo si diede il via ai lavori di scavo del Canale dei Petroli in prossimità della località di Malamocco. Lungo 15 km, largo duecento, profondo meno di venti, in meno di un quinquennio iniziò ad accogliere quante più navi poteva. Un via vai frenetico, con un giro vorticoso di acque che di fatto causò il più grave dissesto idrogeologico che la laguna avesse mai subito nel corso della sua millenaria storia. Quando si dice l’intelligenza delle classi politiche… Allora erano i governi a guida democristiana a dettare legge, ma nessuna opposizione alzò la voce. Davanti ad un progetto di tale portata, che creò dal nulla migliaia di posti di lavoro, tutti gonfiarono il petto.
Ma la velocità con cui l’acqua percorreva quei tratti di laguna, ne erose progressivamente i suoi fondali provocandone la loro rapida dispersione. L’acqua che ciclicamente entra ed esce ogni sei ore dalle sue bocche di porto, provocò la dispersione di milioni di metri cubi di terra, l’unica efficace barriera che proteggeva la città dalle alte maree. Pochi allora si accorsero del grave pericolo. Erano ancora poche le conoscenze in materia ambientale, i movimenti ecologisti poi non erano ancora nati.
Si proseguì lo stesso, anche dopo la terribile alta marea del 4 Novembre del 1966 quando la città fu sommersa da 1 metro e 91 cm di acqua. Allora si disse che la colpa era solo del vento di scirocco che soffiò con particolare insistenza per un giorno e mezzo impedendo all’acqua, nella sua fase calante, di uscire in mare.
Venezia, unica al mondo, una delle città più amate (conta più di 120 tentativi di imitazione sparsi in ogni parte del mondo, dall’America alla Cina compresa) mandava continui S.O.S ad ogni angolo della terra. Invano.
Ci fu chi voleva strappare il governo della città dalle mani di quello nazionale continuamente incapace di trovare le giuste soluzioni, per ridarlo in quelle di organismi internazionali come l’O.N.U. Tutto inutile.
Anche l’alta marea del 22 Dicembre del 1979 fu quasi la replica di quella del ’66. Altezza 1 metro e 73 cm. Ricordo le calli, le salizade, i campi ecc. ricolmi di tutto quelle cose che i negozianti non riuscirono a trarre in salvo in quei giorni che precedevano il natale. Nell’acqua galleggiava di tutto: dai panettoni chiusi, si fa per dire, nei loro involucri di cartone, ai vestiari, agli ortaggi, alla frutta che pochi erano riusciti a mettere in salvo… Ma poi, passata l’emergenza, altra acqua è passata sotto i nostri ponti.
Ad ogni cambio di governo si alimentavano nuove speranze. Un progetto di dighe mobili venne riconosciuto come il più efficace. In città non si parlava d’altro. Erano gli anni dell’arrivo del governo di Craxi: « l’uomo delle soluzioni giuste ». Con lui si approvò « la legge speciale per Venezia » che garantiva regolari flussi di denaro, impedendo alla città di soffrire per la mancanza di sovvenzioni. Qualche decennio dopo si costituì un gruppo di tecnici che diede vita al Consorzio Venezia Nuova. Prese possesso di tutti i lavori per la costruzione ex-novo di dighe ad emersione rapida chiamato MO.SE. (acronimo per MOdulo Sperimentale Elettromeccanico) la cui efficacia da subito fu messa in discussione. Ancor oggi la sua taratura prevede l’innalzamento delle paratie mobili ad un metro e 10 cm. Misura insufficiente perchè Piazza S. Marco, punto più basso della città, con quella misura è già allagata…
Ma il Consorzio blindò qualsiasi opposizione e andò avanti con un dispendio di denaro impressionante, tanto da far sollevare le perplessità delle autorità di controllo che quasi subito si accorsero della lentezza con cui i lavori erano portati avanti. La magistratura potè intervenire e guardare con sgomento a quello che già da diverse parti si andava dicendo. Il Consorzio era in realtà l’ennesima truffa, fatta ai danni della città. Dispensava soldi in cambio di favori ad una clientela tra le più varie.
Nell’ufficio del suo presidente, l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, padre del regista Carlo, ci andarono un po’ tutti, dal Presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan (chiese 1 milione di Euro per la ristrutturazione della sua villa sui colli Euganei) all’assessore regionale Renato Chisso, al Sindaco Orsoni che chiese soldi per la sua campagna elettorale, al patriarca Ettore Scola (100.000 Euro) che aveva dato il via alla ristrutturazione del Marcianum, scuola privata cattolica da lui riaperta, ma subito a corto di denaro.
Aperte le indagini, ci fu chi patteggiò subito la pena (Orsoni). Altri no. Lo stesso presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati, dopo sapienti consigli, scappò in America e da lì a tutt’oggi, non manda più nessun messaggio. C’è chi va dicendo che ormai l’Alzheimer di cui soffriva da tempo gli abbia cancellato la memoria. Quanto al patriarca Scola fu « dirottato » a Milano divenendone poi il suo vescovo.
Oggi quell’enorme cantiere è ancora aperto, in attesa di sapere se i lavori potranno essere conclusi. Antonio Di Pietro, l’ex magistrato di Mani Pulite, è arrivato a sostenere che la corruzione messa in atto dentro al Consorzio Venezia Nuova superi di gran lunga quella che contraddistinse le stagioni politiche di Tangentopoli.
Ma altri pericoli sono in agguato pronti ad aggredire la città: il flusso abnorme del turismo di massa, il progressivo spopolamento della città dei suoi cittadini, le Compagnie delle Grandi Crociere. Queste ultime, non potendo, per ragioni turistiche, ignorare il passaggio davanti al bacino di S. Marco (ne ho già dato ampi resoconti in precedenti articoli) che da solo vale il prezzo della crociera, da almeno 10 anni lasciano che centinaia di Grandi Navi delle più importanti compagnie di crociere transitino indisturbate nelle acque poco profonde del Canale della Giudecca. Mostri d’acciaio lunghi quasi 300 metri, alti più dello stesso campanile di S. Marco (Salvatore Settis nel suo bel libro « Se Venezia muore… » ha spiegato come viene stravolta la visione della città dall’alto di quelle navi), se la ridono di tutti i decreti ministeriali che di fatto dovrebbero impedirne il passaggio.
Percorsi alternativi sembrano ricalcare il modello del Canale dei Petroli (in questo caso il nome del nuovo canale si chiamerebbe Vittorio Emanuele e dovrebbe far transitare le Grandi Navi in un nuovo tratto della laguna sud fino al loro arrivo nelle nuove banchine in costruzione presso località S.Basilio). E tutto questo nonostante studi sempre più specifici anche da parte dell’Università di Ca’ Foscari abbiano alzato grida di allarme su tale ipotesi.
Ormai a comandare in città sono altri. Divisa in zone di interesse economico Venezia ha subito, nel giro di pochi decenni, cambi di proprietà che hanno ridotto gli spazi urbani a disposizione della città stessa. Da Palazzo Grassi, allora acquistato dalla Fondazione Fiat della famiglia Agnelli, al Fondaco dei Tedeschi preso dall’altrettanto « nobile famiglia Benetton » (quella che gestisce i pedaggi autostradali nel resto dell’Italia e che ha qui poi altre proprietà tra cui un famoso teatro, l’ex Ridotto, l’ex Cinema S.Marco, un altro palazzo vicino al Fontego dei Tedeschi), proseguendo per la fondazione Pinault che ha acquistato la punta della dogana (ai tempi della Serenissima Repubblica quello era il punto dove avveniva il controllo delle merci che tornavano dall’Oriente), la città assiste alla svendita dei suoi gioielli di famiglia, ricavandone, in termini di denaro, pochi milioni di Euro considerato il valore storico di quanto venduto.
Il turismo di massa. Ormai aumenta ogni anno. Già si parla di quota trenta : sì, sarebbero 30 000 000 i turisti che dovrebbero arrivare qui in questo 2019!
Le fragili strutture della città, l’inadeguata ricettività (non sono più sufficienti nemmeno i Bed & Breakfast sorti come funghi negli ultimi tempi) hanno portato la città al collasso. Questa offerta di spazi a basso costo ha permesso a milioni di persone di venire in città con le conseguenze fin troppo evidenti: l’intasamento di tutte le aree percorribili. Il cambio d’uso abitativo ha visto calare in maniera drammatica il numero di abitanti (soprattutto le fasce giovanili) costretti ad un esodo continuo e mortificante verso le periferie della più vicina Mestre. A tutt’oggi sono poco più di 50.000 i suoi cittadini residenti. Ancora qualche decennio e Venezia sarà priva dei suoi cittadini. Nelle logiche storiche si potrebbe dire che tante civiltà sono nate e poi morte e che non si capisce perchè questo non possa accadere anche ad una città come Venezia, bella finchè si vuole ma la cui sorte appare segnata…
Non ho idee nuove che non siano quelle che hanno dominato l’opinione pubblica da mezzo secolo in qua. Vorrei però che la città tornasse a vivere la sua dimensione più vera, che avesse ancora quel clima di accoglienza che l’ha sempre contraddistinta, che dica a quanti vengono di rispettarla perchè non è una città qualsiasi, di non lasciarsi guidare dagli smartphone per percorrerla e di informarsi bene sulla sua storia in modo da apprezzarla di più. Una famosa guida scritta da Giulio Lorenzetti nel 1926 così inizia: « Veni etiam, vieni ancora« , un invito a tornare a rivederla. Ma sono troppi quelli che vengono a Venezia solo perchè un falso luogo comune sta girando da tempo – « Venezia sprofonda nell’acqua un centimetro ogni anno » – e li porta qui, non fosse altro che per quella diceria per cui poi è meglio affrettarsi a venirci prima che sia troppo tardi.
Venezia dovrebbe meritare un’attenzione più severa da parte di chi l’ama veramente, ma ciò non accade più. Vorrei che molti suoi cittadini, qui nati, potessero ritornare. Dopotutto sono loro quelli che l’amano ancora.
Vorrei giunte comunali che non fossero al soldo di chi offre di più e realizzassero un piano efficace contro lo spopolamento, al momento uno dei principali problemi che affligge la città. Un’autorità internazionale che la governi? Potrebbe essere una soluzione. L’aveva raccomandata anche Indro Montanelli. Serve soprattutto una nuova sensibilità, cosa che non sempre accompagna le scelte della nostra attuale classe politica.
Massimo Rosin
Purtroppo, molti veneziani se ne sono dovuti andare, e Venezia è rimasta li`, sopravvivendo come ha potuto. La ringrazio per la Sua bella e sentita sintesi.
Se vorrà scappare un momento alla malinconia, potrà ricordare l’atmosfera di 40 anni fa guardando le foto e il romanzo di Serge Bassenko, che si era appassionatamente innamorato della città e dei veneziani di quel tempo.
http://www.lupusae.com (foto)
http://www.lupusae.com/it/i_f_r7.htm (romanzo)