Il programma di questa giornata di apertura della Mostra di Venezia 2016 è estremamente ricco. Alcuni punti forti sono il musical in concorso, diretto da Damien Chazelle, che strappa applausi a scena aperta e l’omaggio a Abbas Kiarostami, recentemente scomparso, al quale, insieme con CIMINO, è dedicata questa edizione. Tra i film segnaliamo The Light between Oceans di Derek Cianfrance e il film italiano L’Estate addosso di Muccino. E ancora tant’altro da scoprire in questo Diario Altritaliani.
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VENEZIA 73 – FILM D’APERTURA
LA LA LAND di Damien Chazelle (Usa, 127’, v.o. inglese s/t italiano) con Ryan Gosling, Emma Stone, John Legend, J. K. Simmons, Finn Wittrock
La Mostra parte a tavoletta con un film spumeggiante, romantico, struggente ed anche originale. Perché rivisita un genere tradizionale, come il musical, in chiave assolutamente moderna. Che potrà accattivare anche i giovani. La scena iniziale, sulla tangenziale sopraelevata, è assolutamente da antologia. Strepitosa, indimenticabile. Segnata da un fragoroso applauso a scena aperta alla anteprima stampa delle 8.30. Cosa abbastanza rara. Originale anche perché non ha la struttura tradizionale con l’happy end. Ma un riferimento più concreto alla realtà. Dove non sempre i sogni si realizzano interamente come nella fantasia. Ma la malinconia è comunque stemperata dal fatto che i protagonisti innamorati, rivedendosi dopo anni, stanno comunque meglio dopo essersi rivisti. Valorizzando, con un solo sguardo, i bei momenti passati assieme. Coreografie e musiche da Oscar. Interpreti stellari. Ancora una volta Barbera fa la scelta giusta e soffia a Toronto una bella gemma. Che si prenota certamente nominations prestigiose. Da non perdere.
Catello Masullo
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VENEZIA 73
THE LIGHT BETWEEN OCEANS di Derek Cianfrance (Usa, Australia, Nuova Zelanda, 133’, v.o. inglese s/t italiano) con Michael Fassbender, Alicia Vikander, Rachel Weisz, Emily Barclay.
“The Light between Oceans” (La luce tra gli oceani) è il quarto lavoro del regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore statunitense Derek Cianfrance, conosciuto al pubblico per il suo film “Come un tuono” (2012) interpretato da Ryan Gosling, Bradly Cooper e Eva Mendes.
Con questo film il regista adatta l’omonimo romanzo di M.L.Stedman (edito da Garzanti), una storia melò ambientata alla fine della Prima Guerra Mondiale. Su una remota isola australiana sbarca Tom (Michael Fassbender) un ex soldato provato dalla guerra il quale accetta l’incarico di guardiano di un faro. Ben presto conoscerà Isabel (Alicia Vikander) la giovane figlia di un preside della terraferma e i due si innamoreranno. Convolati a nozze, Isabel andrà a vivere nell’isola del faro. Dopo due tragici aborti che segneranno la donna per il suo forte desiderio di maternità, un giorno il mare spingerà fino alla loro isola una barca alla deriva con a bordo un uomo ormai morto e una neonata. Su insistenza di Isabel Tom non denuncerà il fatto alle autorità competenti; seppellirà il morto e asseconderà la moglie nel desiderio di tenere la bambina, che crescerà e verrà chiamata Lucy. Tuttavia, un giorno, Tom, apprenderà la storia di quell’uomo e di quella neonata e della loro madre, Hannah (l’attrice Rachel Weisz) che la considerava morta. Preso dai rimorsi, cercherà di contattarla facendole recapitare alcune lettere anonime per informarla che la bambina sta bene. Ciò comporterà una serie di drammatiche conseguenze.
Il regista Derek Cianfrance realizza un film melò, sopportato dalla eccessiva musica romantica di Alexandre Desplat. La pellicola mette in luce i dilemmi tra ragione e sentimento dei protagonisti: Tom è diviso tra il senso delle regole e l’amore per la moglie; Isabel tra l’onestà del marito e il forte sentimento di maternità; Hannah, la madre biologica, invece è divisa tra l’impossibilità che la bambina ormai la riconosca come vera madre e il desiderio di lasciare ormai a Isabel la propria figlia, ottenendo però da lei una dichiarazione in cui accusa Tom di sottrazione di minore. La pellicola di genere drammatico-sentimentale, scorre liscia e calligrafica, con qualche nota di troppo e qualche omissione sul lato psicologico dei personaggi, che magari sarà sicuramente resa meglio nel romanzo. Bravi gli interpreti a cominciare dal baffuto (nella prima parte del film) Fassbender. Comunque, Preparate i fazzoletti.
Andrea Curcione
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ABBAS KIAROSTAMI: a lui, insieme con CIMINO, è dedicata la 73a Mostra del Cinema
Ad ABBAS KIAROSTAMI, insieme a Michael Cimino, altro regista di valore è stata dedicata con commozione da Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, questa apertura.
È mancato da poche settimane in una clinica di Parigi, malato da tempo, come recente è la scomparsa di Cimino.
Caro a Nanni Moretti che gli volle dedicare un corto – nel titolo lo stesso di un film di Abbas, La sera della prima di Close up
– ma anche a Jean-Luc Godard, il mostro sacro della Nouvelle Vague che l’ha sempre apprezzato oltremisura.
Tra le altre presentazioni ufficiali ed eventi a non finire, il ricordo di Kiarostami, anche molto personale avendo lavorato con lui, oltreché ad averlo presentato al Festival del Cinema di Torino, sua città natale, anni fa quando ne era direttore è stato introdotto con commozione da Barbera, insieme con uno dei figli di Kiarostami ed al suo fotografo, Samadian, che ha lavorato con lui oltre 25 anni.
Attivo dalla metà degli anni Settanta divenne ‘famoso’ a Cannes ‘solo’ vent’anni dopo.
E’ stato anche grande fotografo, regista teatrale, pittore, poeta, letterario e dell’immagine, naturalmente.
Il suo ‘sguardo’ – un po’ come quello di Antonioni – ha cambiato la storia del cinema: entrambi avevan ‘occhi diversi’, altri modi di ‘guardare’.
Anche lui, come il regista ferrarese, amava modificare la natura, provare, sperimentare anche su piccole cose, oggetti – qualcosa che neppure oggi, nell’era del digitale e della tecnologia ormai più senza limiti – esiste.
Ed aveva anche un grande talento per l’insegnamento, per il tramandare ai giovani i suoi saperi, che eran vastissimi; spesso teneva, nei luoghi più disparati workshops per loro, con grande umiltà, peraltro, tanto che non si capiva, a tratti, chi fosse il docente e chi il discente.
In visione al pubblico non troppo numeroso – peccato – in Sala Darsena alcune ‘chicche’: due corti di Kiarostami, Take me home, poesia visiva allo stato puro, 17 minuti di b/n gioia per gli occhi, per il senso della vita, per il cinema in generale, uno dei 24 Frames, ancora work in progress quasi tutti, ma uno concluso e montato, come il docu su Kiarostami fatto dal suo fotografo, proprio per portarli a Venezia 73 – per espressa preghiera di Alberto Barbera.
Abbas era la vita, l’energia della vita – ha detto il suo fotografo, asciugandosi gli occhi – Non avrei mai voluto portare un film su di lui, una specie di backstage della sua vita e del suo lavoro da quando son stato con lui.
È davvero premonitrice e piace qui citarla, una delle tante bellissime frasi che percorrono la pellicola intitolata 76 minutes and 15 seconds with Kiarostami, degna di un grande intellettuale che chiude la location finale di Sotto gli ulivi, uno dei suoi capolavori : Ventotto anni fa abbiam fatto un film e nessuno pensava che uno di noi due sarebbe morto.
Maria Cristina Nascosi Sandri
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FILM ITALIANO
CINEMA NEL GIARDINO
L’ESTATE ADDOSSO di Gabriele Muccino.
Con Brando Pacitto, Matilda Anna Ingrid Lutz, Taylor Frey, Joseph Haro, Guglielmo Poggi.
Non è certo una novità che tra i temi affrontati da Muccino uno dei suoi preferiti sia quello che riguarda il mondo giovanile. Anche in questo suo ultimo film « L’Estate addosso » ci racconta la storia di quattro ragazzi, due romani e due americani, che nel breve giro di tre settimane passate a S.Francisco, vivono le avventure più belle e meno prevedibili che possano immaginare. Ospitati dai due ragazzi americani nella loro casa, faranno presto a convivere situazioni davvero sorprendenti. I due americani sono gay e soprattutto per la ragazza (si chiama Maria) è questo un fatto imbarazzante.Lei educata in un clima di tutt’altro genere, mal sopporta questa convivenza, mai poi si adatterà.
La vita in casa non gli sembrerà così anormale, finendo addirittura per innamorarsi di uno dei due. Pure l’altro italiano, Marco, si dimostrerà aperto a questa nuova vita; sembra meno impreparato dell’amica Maria, forse è anche più disinvolto. In questo menage a quattro dove tutte le esperienze vissute assieme troveranno denominatori comuni mano a mano che i giorni passeranno. Muccino ha mostrato come in definitiva il vissuto giovanile di oggi, non sia molto diverso da quello delle generazioni precedenti.
Se i giovani di oggi sono quelli degli smartphone e dei trolley, non è azzardaro trovarci delle affinità con quelli delle generazioni dei loro padri, che si distinguevano per i blue jeans a zampa di elefante, i capelli lunghi e la voglia di cambiare il mondo. Film che si lascia vedere con piacere e non chiede troppo impegno da parte dello spettatore e perciò lo consiglio.
Massimo Rosin
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CINEMA NEL GIARDINO
GEUMUL (THE NET) di Kim Ki-duk (Corea del Sud, 114’, v.o. coreano s/t inglese/italiano) con Ryoo Seung-bum, Lee Won-gun, Kim Young-min, Choi Guy-hwa.
Il regista sudcoreano Kim Ki-duk è di casa alla Mostra del Cinema di Venezia. Quasi ogni anno un suo film viene proposto in qualche sezione. Nel 2000 si era fatto conoscere agli spettatori con la sua pellicola disturbante “L’isola”, poi nel 2004 aveva vinto il Leone d’Argento con il suo lungometraggio dai toni romantici “Ferro 3 – La casa vuota” e infine era stato premiato nel 2012 con il Leone d’Oro per il suo duro lavoro intitolato “Pieta”.
Nel 2013 ha invece presentato, fuori concorso, il suo film “Moebius”, dai toni sempre violenti e sadici. Adesso è a Venezia, ad aprire la nuova sezione presentata nella nuova struttura a cubo nei giardini accanto al Palazzo del Cinema con la sua ultima opera cinematografica: “Geumul (The Net)”.
In breve la storia è quella di un pescatore della Corea del Nord (interpetato dall’attore Lee Won-gun) che vive con la famiglia sulle sponde confinanti con la Corea del Sud. Un giorno esce con la sua barca per il suo lavoro che gli dà sostentamento, ma le reti si avvinghiano sull’elica del motore. La barca va quindi alla deriva verso la Corea del Sud. Catturato dai soldati, subirà brutali ed estenuanti interrogatori da parte di un infervorato agente del controspionaggio che vedrà in lui una spia mandata dal regime comunista. A credere nel povero pescatore sarà un giovane agente affidatogli a protezione (interpretato da Ryoo Seung-bum) col quale farà amicizia. Dopo vari e inutili tentativi di indurlo a restare in Corea del Nord il pescatore, leale comunista, verrà rispedito nella sua patria. Quando riuscirà a tornare a casa, sarà sottoposto a interrogatori simili a quelli del Sud perché considerato ancora una volta spia. Preso da profonda pena, si sentirà intrappolato contro la sua volontà nell’ideologia che divide le due nazioni e tenterà ancora una volta a ribellarsi.
Kim Ki-duk questa volta parla di due patrie divise da ideologie contrapposte, diffidenti e ostili. Tuttavia una speculare dell’altra. In ognuna di esse esiste il proprio rovescio della medaglia. La Corea del Nord è priva di libertà e di benessere, ma piena di orgoglio e di fanatismo; la Corea del Sud è invece apparentemente libera e ricca di benessere, ma piena di condizionamenti e di diffidenza come al Nord. In queste contraddizioni si innesta la tragedia di questo pescatore che vivrà una sorta di lacerante spersonalizzazione al limite della follia.
Andrea Curcione
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GIORNATE DEGLI AUTORI – FILM D’APERTURA
THE WAR SHOW di Andreas Dalsgaard, Obaidah Zytoon
(Danimarca, Finlandia, Siria, 100’, v.o. arabo s/t inglese/italiano)
Film-documentario e di grande valore questo, proiettato nella sezione « Giornate degli autori »dove si è visto, attraverso, un collage di immagini suddivise in sezioni, cos’è la Siria oggi, attraversata da cruente guerre intestine, dove i morti, sono un elenco che sembra non finire mai. La spirale sanguinosa degli eventi causati in gran parte dal regime di Bashar al-Assad, ha portato questa nazione ad essere il crocevia delle brutalità più efferate commesse da bande di criminali, pronte a rivendicare la sovranità territoriale in nome di Allah. E’ una cosa certa che tutta la Siria oggi è diventata terra di conquista dove eserciti contrapposti si scontrano per affermare i loro principi: da una parte le coalizioni anti Isis dall’altra un esercito che si sta sgretolando a vista d’occhio. Le immagini ovviamente raccontano di storie di civili finiti sotto le crudeltà del regime di Assad, le torture subite, le morti misteriose dentro a carceri divenuti lager.
Meritati gli applausi a fine proiezione, dove si è apprezzato il coraggio degli autori, per una testimonianza così vera e sofferta.
Massimo Rosin
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GIORNATE DEGLI AUTORI
NE GLEDAJ MI U PIJAT – QUIT STARING AT MY PLATE di Hana Jušić (Croazia, Danimarca, 105’, v.o. croato s/t inglese/italiano) con Mia Petričević, Nikša Butijer, Arijana Čulina, Zlatko Burić.
Per le Giornate degli Autori è stata presentata l’opera prima della regista croata Hana Jušić “Ne gledaj mi u pijat” (Non guardare nel mio piatto). L’autrice ha portato a Venezia la storia, ambientata in Croazia, della ventiquattrenne Marijana che vive ancora in famiglia insieme ai genitori e a un fratello inabile al lavoro.
Il film mette in scena lo squallore di una famiglia composta da persone inaridite ed incattivite da una vita grama. Con stile di grande rigore, senza o con poche musiche aggiunte, con gesti di quotidianità ripetuti fino allo sfinimento, il film della regista Jušić è molto scarno e gode di una debole sceneggiatura che tende a mettere in luce la vita della famiglia della ragazza senza però destare troppo interesse.
Andrea Curcione e Catello Masullo.