Il 4 marzo prossimo Giorgio Bassani, il vate della cultura della Ferrara estense del XX secolo per eccellenza, compirebbe 105 anni e sarebbe bello fosse ancora qui ad insegnarci, tanto.
Lui, fu pur sempre e per sempre proiettato nel futuro, verso i giovani, teso a proporre del ‘nuovo’ come solo gli intellettuali, i veri antesignani della civiltà e della cultura, possono offrire ed ancor di più i poeti.
Lui stesso amava affermare: lo scrittore può anche dire ‘bugie’, ma il poeta, no, il poeta deve sempre dire la verità.
Allora è giusto, per ricordare degnamente il Giorno della Memoria 2021, una ricorrenza nata esattamente 20 anni fa, ormai, rammemorarlo con alcuni suoi versi, con le sue stesse parole, affinché la Novità ancora up-to-date dei suoi progetti applicata direttamente alla sua stessa esistenza, abbia ad esser davvero lezione permanente per chi è restato, c’è e ci sarà dopo di lui.
Leggiamolo in diretta, dunque, in uno dei suoi testi più pregnanti, Le leggi razziali, una lirica tratta dalla sua silloge Epitaffio, del 1974, redatta a metà tra l’ironia e la malinconia, e cerchiamo di non dimenticarlo – come un po’ era accaduto anni fa, mai, per davvero, né lui, né la sua Ferrara ed il suo territorio, il suo Delta, che, come Michelangelo Antonioni, amava tanto e che tanto bene descrive con la sua poetica narrativa, con il suo stile ‘indiretto libero’ anche in prosa…
Le leggi razziali
La magnolia che sta giusto nel mezzo
del giardino di casa nostra a Ferrara è proprio lei
la stessa che ritorna in pressoché tutti i miei libri.
La piantammo nel ’39 pochi mesi dopo la promulgazione
delle leggi razziali con cerimonia
che riuscì a metà solenne e a metà comica
tutti quanti abbastanza allegri se Dio vuole
in barba al noioso ebraismo
metastorico.
Costretta fra quattro impervie pareti
piuttosto prossime crebbe
nera luminosa invadente
puntando decisa verso l’imminente cielo
piena giorno e notte di bigi
passeri di bruni merli
guatati senza riposo giù da pregne gatte nonché da mia
madre
anche essa spiante indefessa da dietro
il davanzale traboccante ognora
delle sue briciole.
Dritta dalla base al vertice come una spada
ormai fuoresce oltre i tetti circostanti ormai può guardare
la città da ogni parte e l’infinito
spazio verde che la circonda
ma adesso incerta lo so lo
vedo
d’un tratto espansa lassù sulla vetta d’un tratto debole
nel sole
come chi all’improvviso non sa raggiunto
che abbia il termine d’un viaggio lunghissimo
la strada da prendere che cosa
fare
(Da: Epitaffio, Milano, Mondadori, 1974)
E si vuole chiudere con un non dimenticare di ricordare in piena regola, un mònito per le generazioni future cui Bassani teneva tanto, a cui volle lasciare un qualcosa che li avrebbe potuti ‘accompagnare’ lungo la vita, oltre la vita, per non ripetere gli orrori che lui e molti altri avevan vissuto nel Secol Breve.
«… il pericolo che incombe sui giovani d’oggi è che si dimentichino di ciò che è accaduto, dei luoghi donde tutti quanti siamo venuti. Uno dei compiti della mia arte (se l’arte può avere un compito), lo considero soprattutto quello di evitare un danno di questo tipo, di garantire la memoria, il ricordo. Veniamo tutti quanti da una delle esperienze più terribili che l’umanità abbia mai affrontato. Pensi ai campi di sterminio. Niente è stato attuato di più atroce e di più assoluto. Ebbene i poeti sono qua per far sì che l’oblio non succeda. Un’umanità che dimenticasse Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen, io non posso accettarla. Scrivo perché ci se ne ricordi».
Maria Cristina Nascosi Sandri