“In Europa ci sono due capitali: Parigi e Napoli”. Parola di Stendhal. Marie-Henri Beyle era giunto in Italia nel 1800 arruolato nel reggimento dei Dragoni al seguito di Napoleone Bonaparte allora primo Console. Nel 1817 pubblica il libro Roma, Napoli e Firenze in cui si firma col celebre pseudonimo “Monsieur Stendhal Ufficiale di cavalleria”. Nel libro non riporta solo emozioni di viaggio, ma considerazioni acute ed approfondite. Tra il 1829 e il ’42 pubblica una serie di racconti, raccolti poi nel volume Cronache italiane, uno spaccato di storia riportata con elegante, inimitabile poesia.
Jean-Paul Sartre, il maggiore rappresentante dell’esistenzialismo francese, visitò per la prima volta Napoli nel 1936. In una lettera alla sua discepola e amante Olga Kosakiewicz descrisse il viaggio come un’esperienza di totale “spaesamento sensoriale”. Quindici anni dopo, nel 1951, Sartre parte “con le mani in tasca e della carta bianca in valigia” per intraprendere un nuovo viaggio in Italia che gli ispirerà La regina Albemarle o l’ultimo turista. A vegliare su di lui, ultimo turista che insegue le tracce del passato, è la figura della regina Albemarle che lo conduce in una Napoli, “in putrefazione, la amo e ne ho orrore”. Il filosofo resta poco nella “città che riversa fuori sé stessa ogni suo elemento” preferendole Capri, dove contempla il paesaggio “duro come la roccia e soffice come la vegetazione, una terra nera e fertile che è stata prima africana, poi greca e romana”.
E sul carattere dei suoi abitanti Pier Paolo Pasolini sosteneva: “I napoletani sono oggi una grande tribù che… ha deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili, incorruttibili”.
Napoli è un luogo leggendario in cui si mescolano l’atroce e il magnifico: come Parthenope, la sirena, è creatura ambigua e sguscia via come un pesce, solo lo sguardo poetico, visionario consente di afferrarne qualche tratto. Quanti artisti, scrittori, poeti, intellettuali, viaggiatori, si sono provati a decifrare la sua ambiguità e i suoi misteri, da Andersen, a Gogol, a Ibsen, Gide, Freud, Benjamin, Neruda, Camus… per citarne solo alcuni. Altri, come Charles Baudelaire, Emily Dickinson o Marcel Proust, che mai videro la capitale partenopea, si accontentarono di sognarla, la immaginarono ed esaltarono nelle loro mirabili opere.
Napoli metabolizza in sé tremila anni di cultura, di civiltà, spalmate in un angolo di Mediterraneo che racconta la storia di Ulisse, di Greci, Romani, Cartaginesi, Normanni, Saraceni, Spagnoli, Francesi. E una natura ambigua la avvolge, anche se meravigliosa nei colori e nel clima, perché cova sempre nelle sue viscere la furia recondita del vulcano e dei terremoti che nel passato hanno seppellito interi paesi. Proprio per questo, per placare le furie improvvise della natura, amica e nemica nel contempo, i riti pagani, la magia antica e le superstizioni convivono e si tramandano nello spirito popolare attraverso incantamenti ed esorcismi che per misteriose vie possano placare la dirompente forza della natura.
Misteri dunque: il mistero per eccellenza a Napoli si chiama liquefazione del sangue di San Gennaro, due volte l’anno il sangue delle ampolle diventa liquido quando viene accostato alla testa del martire custodita nel reliquario. L’evento della liquefazione del sangue, tanto misterioso quanto inspiegabile, viene letto ogni volta come una profezia a cui tutta la città partecipa con grande trepidazione. Circondato dai 25 compatroni, San Gennaro esce in processione per le strade del centro antico fra le implorazioni quasi pagane del popolo.
Ma a Napoli è possibile perfino tracciare un itinerario del mistero.
Percorrendo Via dei Tribunali, l’antico Decumano maggiore di Neapolis, si giunge alla Chiesa del Purgatorio ad Arco. Una lunga scala porta a un ipogeo popolato di crani anonimi che la devozione popolare ha trasformato in santi. Il più venerato è il cranio di Lucia detta la Principessa, si dice appaia in sogno il lunedì, il giorno delle dee lunari, per annunciare grazie e vincite al lotto. Ed eccoci dunque nel cuore del mistero, la Cappella Sansevero, legata alla figura del principe Raimondo di Sangro alchimista, mago e negromante. Qui un vero miracolo, d’arte, è il famoso Cristo velato di Giuseppe Sammartino, il velo di marmo che ricopre il Cristo deposto e ne rivela prodigiosamente il corpo. Le cronache napoletane raccontano delle grida strazianti della bella Maria di Avalos uccisa assieme al suo amante Fabrizio Carafa a palazzo di Sangro dai sicari inviati dal marito Carlo Gesualdo, principe di Venosa. Nelle notti senza luna si può incontrare, si dice, il fantasma di Maria che vaga tra l’Obelisco di San Domenico Maggiore, (nel cui convento insegnarono teologia Tommaso D’Aquino e Giordano Bruno) e il portone di Palazzo San Severo. A Spaccanapoli, la lunga via che taglia in due il corpo della città, troviamo la Chiesa 600esca di San Gregorio Armeno dove le monache custodiscono l’ampolla del sangue di Santa Patrizia che invece di due volte l’anno si scioglie tutte le settimane. Discendente dell’imperatore Costantino, Santa Patrizia nata nel V secolo, è compatrona della città.
Nel labirinto di vicoli che salgono da Piazza San Domenico Maggiore, Via san Giovanni in Porta fu una volta intitolata alle Tria Fata, le Tre Parche che sovrintendevano al regno dei morti, oggi detto rione Sanità, immortalato nelle sue tragi-commedie dall’immenso Eduardo De Filippo. Tra ipogei, chiese e palazzi aristocratici si arriva a Piazza delle Fontanelle. Qui si trova la gigantesca grotta-ossario dove Roberto Rossellini girò una celebre scena del suo Viaggio in Italia. A Vico Tre Re il 6 di ogni mese le donne che non riescono ad avere figli vanno a sedersi sulla sedia miracolosa di Santa Maria Francesca delle cinque Piaghe.
Sullo splendido lungomare c’è Castel dell’Ovo. Sembra che nelle sue segrete il poeta Virgilio custodisse un uovo incantato che aveva il compito di proteggere la città dal fuoco del Vesuvio. Dall’integrità di quest’uovo custodito in una caraffa di vetro, a sua volta racchiusa in una gabbia di metallo, dipenderebbe il destino di Napoli. Mago e taumaturgo, Virgilio, il poeta latino autore dell’Eneide, venne considerato il nume tutelare della città prima dell’avvento agli onori degli altari del patrono San Gennaro. Del resto, tutto il territorio che va da Napoli ai Campi Flegrei è segnato dai prodigiosi interventi del famoso poeta: la costruzione dei bagni termali di Baia, la perforazione della cripta neapolitana, quest’ultima sarebbe stata realizzata con l’aiuto di un’intera schiera di demoni.
Il mito di Ulisse, le Sirene, la seduzione, la morte, il lungo viaggio della conoscenza: tutto passa da questo prodigioso territorio all’ombra del Vesuvio per estendersi fino al lago d’Averno, dove gli antichi romani avevano posto l’ingresso al regno degli Inferi. Il cratere vulcanico nato 4000 anni fa, profondo al centro 34 metri, racchiude acque cupe, ferme, paurose: si racconta che esalassero acido carbonico e gas che facevano morire gli uccelli (il nome deriverebbe dal greco aornon, luogo senza uccelli).
Patria del sincretismo, Napoli e il suo territorio è allegra e sanguinaria, unica e sorprendente, tutta da vivere e da gustare, terra di contrasti e di contraddizioni dove la sete di meraviglia e di magia, dell’ignoto e del curioso si mescola con una religiosità solare, pagana che prende e seduce. Perché in questi luoghi la vita è ancora, in fondo, condizionata e indirizzata da una sapienza antica, che oscilla continuamente tra paganesimo e cristianesimo arcaico, mostrando saldi legami tra un passato remoto e un presente che da essi non è mai riuscita ad affrancarsi completamente.
Francesca Graziano