Un altro mondo, è quello cui aspiriamo nell’impasse delle nostre vite attuali compresse nella propria libertà individuale dall’epidemia Covid in corso. Ancora, “un altro mondo” è evocato nel documentario di Thomas Torelli ritrasmesso in questo periodo su diversi canali online in un paese relegato una volta di più alla chiusura a tutti i livelli della “zona rossa”. “Un altro mondo” sarebbe allora l’immagine tacitamente invocata da molti dell’azzerare il meccanismo e ripartire, rimettere tutto in circolo ma con un intento comune rinnovato mentre portiamo addosso, ancora, l’oppressione della malattia, la morte dei molti intorno a noi e viviamo l’inesausto senso di frustrazione di un virus che continua a infiltrarsi al quotidiano senza saperlo estirpare. Sarebbe “ un altro mondo”, forse, la svolta necessaria oggi, rispetto a questa società post-industriale di continuo progresso tecnologico dominata da un materialismo distruttivo e alienante per l’essere umano.
Voci di scienziati, filosofi, fisici e sciamani si alternano premonitori in questo video girato nel 2014 (prima dell’avvento del Covid) mettendo in discussione la visione attuale del mondo per farci riscoprire sistemi e valori delle società antiche come i nativi d’America o le popolazioni aborigene. Allo stesso modo, alcuni principi della fisica quantistica divulgati da noti ricercatori spiegano la materia del cosmo come intelligente, vivente e in connessione con ogni singola particella nell’universo riallacciandosi in qualche modo alla saggezza degli antichi. Se la “ separatezza” come lo studio di unità discrete contraddistingue il pensiero scientifico moderno, la teoria quantistica della correlazione di ogni singolo atomo dell’universo come totalità – “una fisica di relazioni che si trasmettono attraverso un insieme di frequenze” – può modificare la visione attuale dell’uomo producendo in lui una coscienza critica sul presente.
“Tutto è energia e questo è quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c’è altra via. Questa non è filosofia. Questa è fisica” ( A. Einstein)
Vasti altopiani del Messico: cieli tersi, di un blu limpido seppur attraversato da striature di nuvole grigiastre. Dall’alto si vedono le distese sconfinate delle catene montuose rossicce e aride, i loro massi millenari plasmati e scolpiti dal passaggio del tempo, nello spazio aperto di un orizzonte che si perde illimitato oltre il nostro sguardo. Si ode il gracchiare di uccelli attraverso la piana silenziosa, poi il canto di uno sciamano a distanza e il battito dei tamburi. Egli afferma: “ la natura non ci appartiene ma ci è solo donata, non porteremo nulla con noi ma possiamo gioire di quello che è qui e ora”. Nei bambini il “qui e ora” è l’eterno presente del gioco, il continuum del gioire incondizionato a cui non si sovrappone l’aspettativa o l’ansia del futuro né il peso o il rimpianto del passato. Ed è solo in questo presente vissuto ogni istante pienamente e in profonda connessione con sé stessi, afferma ancora la voce fuori campo nel video, che potremmo dischiudere il potenziale per un cambiamento, le basi per un futuro differente.
Due visioni opposte del mondo, due immagini agli antipodi l’una dall’altra si interfacciano all’inizio del documentario: quella di una natura dalla vastità incondizionata, dalla bellezza incontaminata negli altopiani sudamericani e quella di una città iper-moderna, tecnologica, dagli scenari futuristi attraversata da circuiti elettrici continui. L’umanità, allo stesso modo, è vista nel duplice frangente di ciò che preserva e distrugge la natura; l’uomo nella sua corsa verso l’avanzamento tecnologico è anche il guerrafondaio, fautore di armi chimiche, epidemiologiche o nucleari che inevitabilmente muta gli assetti di quello stesso pianeta a lui destinato.
Due idee di temporalità ugualmente vengono opposte nel video: una prima appartenente alle nostre società occidentali dove il tempo come ogni altra merce è soggetto alla legge del mercato e del consumo mentre gli individui sono parte di un “sistema meccanizzato” che rende l’uomo “macchina” efficiente assoggettata a quello. Ancora, il tempo si presenta più che mai oggi come virtuale, distaccato dalla realtà semplice e immediata del quotidiano perché ricondotto alla sfera digitale della rete, dei social media, di scambi e relazioni sempre più simulate tra gli individui.
Il tempo occidentale è visto come un “tempo-denaro”, artificiale, velocizzato a immagine della metropoli moderna dove tutto scorre incessante e senza limiti. È l’immagine di un circuito di corrente continua, di flussi rapidissimi di persone, merci e informazioni, dei treni ad alta velocità e dei collegamenti aerei ancora più rapidi. Era l’immagine, prima del Covid, dei ritmi accelerati di vita e di produzione, dell’affollamento nelle metropolitane, della corsa nei mezzi di trasporto o della fuga di notizie dai mezzi di comunicazione. Questo tempo non è mai quello del qui e ora ma di desideri o aspettative proiettati sempre in un altrove prima o dopo di noi. Secondo le parole di Alberto Ruz Buenfil, discendente dei Nativi d’America: “abbiamo perduto la capacità di sincronizzarci con tutto ciò che esiste semplicemente”: il più immediato rivelarsi della vita ai sensi o degli altri intorno a noi, il giorno e la notte, lo scorrere delle ore e delle stagioni, l’alba e il tramonto. “Nel qui e ora c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per essere felici” al di fuori delle false pretese o costruzioni della mente, aggiunge Ruz Buenfil. Ciò si situa semplicemente nel modo in cui rispondiamo l’uno all’altro come individui e in quanto umanità al nostro pianeta, cosmo e insieme terra generatrice di risorse a noi messe a disposizione. Una volta infranto questo equilibrio perfetto tra l’uomo e la natura è proprio lo sforzo omeostatico del sistema o meglio l’intelligenza suprema del medesimo a mettere in atto delle azioni estreme, a produrre delle crisi cicliche come epidemie o eventi naturali irreversibili che porteranno, paradossalmente, a una nuova forma di equilibrio. Ciò costringe l’uomo, ogni volta, a riconsiderare le proprie risorse per imparare ad usarle in maniera consapevole senza distruggerle o espropriarle.
Seguono immagini del risplendere innato e folgorante della natura visto in squarci ondeggianti di grano: oro scintillante, campi eterei e brillanti di luce dai raccolti appena mietuti oppure file di pale eoliche che ruotano al ritmo lento e continuo dei venti. Come espresso dalle voci dei nativi, tutto scorre e tutto vibra in natura: vediamo la corrente di un fiume scivolare tempestoso di fronte ai nostri occhi, la vegetazione rigogliosa, gli alberi nella loro massa boschiva fino al cielo, il ticchettio dell’acqua, il frastuono della corrente, poi la sinfonia di un continuo cinguettare di uccelli. Nei grandi altopiani messicani si stagliano le visioni dei templi sacri maya lasciti delle civiltà precolombiane dove tutto era determinato dai ritmi ciclici della natura.
Allo stesso modo questo sapere antico è ribadito e confermato da alcuni principi della fisica quantistica moderna come espresso dal ricercatore Vittorio Marchi. Egli ci spiega il fondamento di tale “fisica di relazioni che si trasmettono attraverso un insieme di frequenze”. La materia si muove, è energia vibrante, fluttua ovunque nell’universo investita di una carica magnetica propria là dove la fisica quantistica definisce ogni cellula esistente come un “essenza pensante” superando la separazione tra materia, energia e pensiero della visione precedente. Non più in un mondo di “separazione” ma di “relazione” con tutto quello che lo circonda, l’uomo vede sé stesso come parte integrante di quell’unità fondamentale che è il cosmo.
L’individualismo materialista che contraddistingue, al contrario, il pensiero occidentale moderno è stato ulteriormente esacerbato dalle misure restrittive imposte dall’epidemia Covid19 nell’ultimo anno in molti dei nostri paesi. Il distanziamento diviene sinonimo di rigidità dei confini interni a un paese, a una regione o a una città, la chiusura in senso lato dei commerci, di tutto ciò che costituisce la socialità o la vita culturale ma anche dei confini interni, intimi dell’individuo si fronte alla paura del virus, dunque alla paura dell’altro in quanto agente di potenziale contagio. Il concetto di libertà risulta compresso tanto che molti oggi accusano la frustrazione o l’oppressione di leggi restrittive che limitano la scelta individuale, la socialità, gli spostamenti, la libertà in senso lato del singolo in assenza di limiti. Eppure, secondo il filosofo Massimo Recalcati, esiste una forma di libertà eticamente più alta che si rapporta non solo alla volontà individuale ma alla solidarietà, ovvero all’essere con l’altro: “l’idea profonda che nessuno si può salvare da solo, perché la libertà senza fratellanza è una parola vuota”[1]. Questa idea sembra ricollegarsi indirettamente a “l’etica dell’unione ”, “il mondo della correlazione di tutte le cose” secondo la visione antica degli indigeni quanto la fisica quantistica moderna. Ciò ci fa comprendere che la libertà non è tanto “l’essere senza limiti” quanto l’essere con l’altro, in una forma di coesione con tutto quello che esiste, ed essa sola ci permetterà di superare l’attuale scissione distruttiva delle nostre coscienze, nonché il materialismo alienante ad esso connesso. Una coscienza collettiva rinnovata potrà fondarsi solo sulla comprensione e il mutuo rispetto degli uni per gli altri. Allora non sarà stato del tutto inutile aver attraversato l’ondata devastante dell’epidemia, la chiusura e la stasi attuale perché dal fango di quell’oppressione emergeranno i nuovi orizzonti di “un altro mondo possibile”.
Elisa Castagnoli
Il sito ufficiale di Thomas Torelli
[1] Cfr Massimo Recalcati, La tentazione del muro, Feltrinelli, 2020