Torniamo a Croce? La generazione di Alvaro e la questione meridionale

Da Reggio di Calabria:
-Non sei contenta?- mi chiedeva un’amica all’uscita del ministro della cultura che parlava di ritorno a Croce e alla Magna Grecia.
-No, non sono contenta-
Non abbiamo bisogno di tornare indietro ma di andare oltre e non di cose vecchie e sorpassate, bensì di innovazione. Non che la filosofia crociana sia da considerarsi ‘retro’, ma lo scriba che pensa al futuro mescola cose antiche e nuove. Vetera et nova.

Sono frecce di desiderio volte verso l’altro lido.” È una frase di Nietzsche per rappresentare l’oltre-uomo. Mentre si va verso il futuro, il rimpianto del cuore, la nostalgia è volta al passato. Non che Croce non meriti rimpianto e nostalgia. Bisogna onorare l’altissimo filosofo, il signore della critica letteraria.
Studentessa di liceo leggevo La letteratura della nuova Italia, dove egli sanciva lapidari giudizi, la validità di autori ed opere. Russo, Momigliano ne ascoltavano con deferenza il dettato.

Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro

Ma il Sud ha bisogno di altro. Di comunicazione, di rapporti, e deve uscire dall’isolamento. Quando in Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro, Antonello vede i carabinieri venuti ad arrestarlo, dice a se stesso che finalmente potrà far capire ciò che si merita allo Stato. Incontrare lo Stato, comunicare è il messaggio, rifondare la parola.
Dopo le generose generazioni di meridionalisti, i Dorso, i Villari, che parlavano di un popolo di formiche che abbandonava la terra per la maledizione dell’emigrazione, e la rappresentazione dei piedi chiodati che ritmavano l’esodo, di Costabile, la generazione alvariana dei Cingari, dei Pedullà capiva che  bisognava  costruire il dialogo.
Come anche l’arcivescovo di Reggio Calabria, Mons. Lanza, morto appena dopo avere stilato una Lettera sul Mezzogiorno insieme agli altri vescovi meridionali, una lettera pastorale, collettiva, di straordinario interesse.

La generazione alvariana aveva profondamente capito il merito di Alvaro che legò la Calabria all’Europa. Da Parigi, dalla Russia lo scrittore di San Luca aveva fatto sì che il mondo convergesse nella solitudine di Antonello, nei suoi sogni di riscatto, di revanche rispetto al pingue massaro che ostentava l’opulenza, mentre i pastori continuavano la loro vita grama, chiusi nei cappucci, appoggiati alle lunghe pertiche a dialogare con il gregge.

Cingari con la storia aveva percorso le contraddizioni della Calabria, ma ne aveva visto la nobiltà in Giacobini e sanfedisti, la potenziale carica rivoluzionaria nel sentimento di giustizia, nella ribellione contro la disuguaglianza.

Pedullà ha al suo attivo un saggio dal titolo singolare: Il mondo visto da sotto (Narratori meridionali del ‘900). È il titolo che mi piacque immediatamente dato che amo le prospettive rovesciate, le vie inconsuete, i tao inesplorati.
E qui autori meridionali come Pirandello, Alvaro, Sciascia e poi Camilleri, trovano la loro apoteosi, il loro Pantheon.

Di Carlo Levi

Il messaggio esplicito è che c’è un mondo visto da una prospettiva non solo decentrata, ma per così dire sottostante, sottoposta, che è più vero di quello di sopra. Mi viene in mente che nel mondo classico si usava dividere due mondi con due termini estremamente semplici: Oi katoi  e oi ano. Quelli di sotto, cioè i morti e quelli di sopra, ossia i vivi.

Si tratta della rinascita della questione meridionale di cui non si parla ormai da un tempo infinito o del suo definitivo tramonto ?

Proveniente da una città del sud, Siderno, molto vicina ai luoghi alvariani e come Alvaro trapiantato a Roma, Pedullà è uno dei protagonisti della fase epigonale della questione meridionale, quella rappresentata dal Gazzettino dello Ionio che proponeva e tentava nuove vie per la rinascita del Sud e la sua integrazione nel Nord. Il Gazzettino dello Ionio rappresentava lo sforzo generoso che aveva contraddistinto i Dorso, i Salvemini. E tutte le generazioni meridionaliste che quando scoprirono cosa ne era stato del Sud, inorridirono ma non rimasero inerte.
Carlo Levi ha scritto che Cristo si è fermato ad Eboli e Francesco Jovine aveva contemplato Le terre del Sacramento ma tutti avevano pensato al Sud agricolo depredato, abbandonato a se stesso, mentre avveniva l’industrializzazione del Nord. Tutto è accaduto, aveva scritto Alvaro.

La scelta dello Stato italiano quando si scoprì che il Sud non era l’Eldorado promesso, fu quella di abbandonarlo al suo destino e le generazioni di meridionalisti pensarono che si trattava di migliorare l’agricoltura, di riformare i patti agrari, di dare la terra ai contadini abbattendo il latifondo. E invece le terre furono abbandonate e il Sud spogliato di tutto. Né industrializzazione né agricoltura. Nulla.
Come processioni sconsacrate un popolo di formiche si trasferì in ondate di emigrazioni sulle navi transoceaniche con le valigie di cartone, nelle stive dei piroscafi fumanti. Gli scarponi chiodati del Canto dei nuovi emigranti dello straordinario poeta calabrese Franco Costabile ritmavano il suono di quelle processioni. Paesi abbandonati, miseria, estraneità. Un destino terribile.
Un coro di voci, quelle degli scrittori rimasti che ne esprimevano, ne denunciavano la sorte. Pedullà le raccoglie e ne esalta il genio, l’innovazione, la capacità espressiva,  comunicativa, ma indica anche la mutazione della questione meridionale. Non si tratta più del solo Sud. Ora l’orizzonte del Sud si è ampliato, si è allargato ad infiniti sud.

Le sofferenze mostrano l’estrema ingiustizia e la portata della disuguaglianza che rischia di cancellare ogni civiltà. La crisi economica ha accentuato tale disuguaglianza nel senso che a pagare la crisi vengono chiamati sempre i sottoposti, i poveri, quelli di sotto. I Sud alzano il coro di proteste e ad estrema revanche si riversano nei paesi che la disuguaglianza hanno prodotto.
Il mondo visto da sotto ci dice la verità sulla condizione attuale.

Ma è la Chiesa con Mons. Lanza a proporre con fermezza la fine della disuguaglianza. La Lettera del ’48 sul Mezzogiorno costituisce un punto fondamentale del pensiero sociale cattolico, ma anche la fine della divisione tra politica e morale, sancita da Machiavelli all’inizio della modernità. Due anni dopo Mons. Lanza moriva in maniera misteriosa e improvvisa, dopo avere suscitato immense speranze. Il cuore della lettera è la commistione tra problema sociale e morale.
Infatti Mons. Lanza, professore di morale all’Università Lateranense, proponeva in maniera assolutamente rivoluzionaria il problema della disuguaglianza come problema di giustizia. E come problema morale e religioso. La politica senza morale era l’imperativo categorico della modernità che così veniva capovolto. Non solo, ma il  lavoro andava spiritualizzato e il vescovo imponeva a fondamento della morale la collaborazione, la partecipazione all’impresa del bracciantato. Temi rivoluzionari. E attualissimi oggi.

Carmelina Sicari

LINK INTERNI: Viaggio nella letteratura legata alla questione meridionale e La Calabria di Corrado Alvaro


(N.d.r.)
Il canto dei nuovi emigranti (ispirato alla potentissima poesia omonima) di Costabile racconta la storia collettiva di un popolo attraverso la vita e l’opera del poeta. L’aspra realtà calabrese, la diaspora dell’emigrazione, l’estraneità radicale delle istituzioni e degli uomini politici, il dolore umano di una condizione senza scampo sono i tratti dell’itinerario e della vicenda esistenziale di Franco Costabile, che si propongono come capitoli di una vicenda insieme familiare e sociale. «Franco Costabile è stato il più importante poeta che la Calabria abbia conosciuto. Poeta calabrese, universale proprio in quanto calabrese, perché non si poteva, e non si può, in Calabria, fare poesia della realtà allontanandosi dalla particolare condizione di degrado e subalternità cui millenni di dominazioni e infine il moderno sottosviluppo hanno condannato questa terra e il suo popolo”. (A. Lavorato)

Ce ne andiamo.
Ce ne andiamo via.

Dal torrente Aron
Dalla pianura di Simeri.

Ce ne andiamo
con dieci centimetri
di terra secca sotto le scarpe
con mani dure con rabbia con niente………………… (clicca sul link sopra)

(Il logo dell’articolo è un quadro del pittore siciliano Renato Guttuso, « La vecchia contadina ».)

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Carmelina Sicari
Carmelina Sicari è stata Dirigente Scolastico del Liceo Classico di Melito Porto Salvo e dell'Istituto Magistrale di Reggio Calabria. Si occupa da tempo di letteratura contemporanea e di semiotica con opere su Pirandello e sull'Ariosto. Ha collaborato a molte riviste letterarie tra cui Studium, Persona, Dialoghi… Ha all'attivo numerose pubblicazioni su La canzone d'Aspromonte, Leopardi e il Novecento letterario. Continua a sostenere nel presente il Movimento culturale Nuovo Umanesimo di Reggio Calabria di cui è stata ideatrice.

1 COMMENTAIRE

  1. Un articolo molto interessante sulla questione del Mezzogiorno.
    Proposte di nuove vie per la rinascita del Sud e la sua integrazione con il Nord, in primo luogo il dialogo e la collaborazione.
    Tanti sono gli Autori che ne hanno parlato, in primis, Corrado Alvaro.
    Toccante il canto dei nuovi emigranti.
    Grazie, Carmelina Sicari.
    Un cordiale saluto
    Rosella Centanni

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