È da poco uscita, per Infinito Edizioni, la terza edizione de “Il meglio tempo”, dello storico Enzo Barnabà, nella quale l’autore ripercorre le vicende dei Fasci siciliani, con particolare attenzione alle rivolte nella Sicilia interna. Un avvenimento, quello della repressione dei Fasci, che ha contribuito ad acuire la frattura tra il Nord e il Sud Italia e che è stata un’occasione mancata di emancipazione sociale e spinta unitaria.
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Valguarnera (provincia di Enna), 25 dicembre 1893. Un emissario dell’On. De Felice giunge in paese travestito da frate, con il compito di distribuire materiale di propaganda socialista, da leggere pubblicamente nelle piazze del paese e in altri comuni dell’isola. Sembra l’incipit di un romanzo storico e, invece, è una delle tante vicende riportate nell’ultimo libro di Enzo Barnabà, Il meglio tempo. 1893, la rivolta dei Fasci nella Sicilia interna, e che segnano quegli anni di rivolte desiderate, anni incominciati con la creazione, in Sicilia, dei Fasci dei Lavoratori nel 1891 e culminati nel sangue nel gennaio 1894.
Sono anni questi, di un’Italia che ha da poco conosciuto l’unificazione politica e che è dunque alle prese con svariati tentativi di unificazione economica e sociale. Si alternano i Governi di Crispi e Giolitti, scossi dallo scandalo della Banca Romana e si alternano dunque due modi diversi di voler affrontare i problemi di una neonata nazione Italia. Mentre i governi di mezza Europa tentano di mantenere un ordine costituito svoltando, anche bruscamente, come accadrà all’Italia di Crispi, a destra, dalla Russia è ormai arrivato il vento del socialismo e, a Genova, nell’agosto del 1861, si costituisce il Partito dei lavoratori italiani. Da lì a poco il Partito Socialista vedrà il suo primo congresso prima a Zurigo e poi a Reggio Emilia. Congressi nei quali, però, nulla è deciso, per esempio, a proposito di riforme agrarie, le quali sarebbero necessarie specialmente per il Sud Italia. Si simpatizza con la situazione siciliana e con i Fasci, ma manca un supporto politico concreto a questa esperienza che, da sola, non riuscirà a perdurare.
Il clima che l’emissario trova al suo arrivo a Valguarnera è dunque già un ribollire di rabbia e miseria che covano da anni e, come riporta Barnabà, l’emissario «vi trovava un paese in fermento, pronto ad esplodere alla prima occasione. La crisi delle campagne e delle miniere aveva fatto toccare dei livelli di miseria che – a memoria d’uomo – non si erano mai visti. Molte famiglie contadine erano ridotte a sfamarsi di erba e pane nero. Decine di zolfatari da mesi non ricevevano il salario. L’indignazione contro le autorità municipali aveva raggiunto “le proporzioni più alte”.»1 Questo per quanto riguarda i ceti più bassi, mentre «i proprietari terrieri dell’isola non vedevano “altra àncora di salute che nel rigore della repressione, nel potere arbitrario del governo o de’ suoi funzionari, nella limitazione delle libertà personali e politiche”.»2
E così, nella piazza del paese, larga poco più di una strada, nel pomeriggio del 25 dicembre 1893 si riunisce una folla di circa mille persone, che incomincia ad ascoltare le parole del “Cottonaro”, il quale legge il “Decalogo dei Socialisti”, parte del materiale di propaganda portato dall’emissario. Quello che accadrà successivamente, ovvero il comizio bruscamente interrotto da un delegato, la folla inferocita che insorge, i tumulti delle ore successive e l’esercito inviato a sedare, con la forza, i disordini è un «episodio analogo alle decine che nelle due settimane a cavallo tra il ’93 e il ’94 sconvolsero l’isola.»
Come fa notare lo storico Francesco Renda in quella che è stata la prefazione alla prima edizione del libro, e che nell’edizione odierna è in coda al testo, la scelta di Barnabà di osservare il fenomeno dei Fasci Siciliani attraverso la lente d’ingrandimento di Valguarnera è stata una scelta felice, in quanto il campione preso in esame è un campione medio, nè eccezionale nè troppo limitato. Quello che accadde lì, insomma, accadde circa in tutti gli altri comuni interni della Sicilia. Comuni che erano alla prese con le stesse miserie sociali. Luoghi prevalentemente cerealicoli e di estrazione dello zolfo, che in entrambe i settori avevano subito la crisi fortissima della sovraproduzione che aveva abbassato vertiginosamente i prezzi e, di conseguenza, i salari. Senza tralasciare altri due fattori sociali che erano parte integrante del sistema, la mafia e il brigantaggio, inteso qui come latitanza, che «hanno peculiarità proprie, ma, trovando la loro comune origine nel sistema subculturale popolare e in quello economico imperniato sul latifondo e avendo stretti rapporti di interrelazione, è difficile dar loro una esatta identià e definirne i contorni.»3
La microstoria, della quale Barnabà si è già più volte avvalso nei suoi libri, ci permette così di osservare da molto vicino un fenomeno senza però appiattirlo nella storia locale, ma lasciando che si irradi nella storia dell’isola e dell’Italia tutta.
La scena di Valguarnera, come quella degli altri comuni, è simile a quella di «un povero paese con le case crollanti, le strade in rovina, mancante di acqua, con al centro il municipio, la chiesa principale, le sedi della società, alcuni negozi; tutto questo attorno a una piazza, che è mercato nei giorni di fiera, sacro recinto delle feste religiose, luogo di convegno e di raccolta nei giorni di protesta e di rivolta». Gli attori, con poche variazioni, sono gli stessi che altrove: il «sindaco, il proprietario più accorto e potente del luogo, con il carteggio dei suoi familiari e clienti che occupano tutti i posti pubblici, da quello di medico condotto a quello di capoguardia, dal posto di maestra alla carica di giudice conciliatore». A Valguarnera questa oligarchia “chiusa ed esclusivista” non è compatta ma, come in molti altri comuni, dilaniata da lotte interne, è divisa in due gruppi. Dall’altro lato si trova «la folla dei contadini, degli artigiani, della gente del popolo che si agita chiedendo un sollievo alle proprie miserie o un atto di giustizia, e dalla quale emergono talune figure, che tentano in modo ancora malcerto di sollevarsi contro tutto questo, sforzandosi di farlo in una forma diversa dalla rivolta tradizionale.»4
La rivolta di Valguarnera e poi quelle di Assoro e Pietraperzia, esaminate a chiusura del volume e analizzate attraverso documenti d’archivio e attraverso le testimonianze dei pubblicisti Nicola Colajanni e Giuseppe De Felice Giuffrida, sono l’epilogo dell’analisi di Barnabà e sono l’epilogo di anni di tentativi di organizzazione sociale dei lavoratori siciliani.
Questo libro, però, ha anche il pregio di inquadrare, ad introduzione dei fatti culminati negli scontri, la stratificazione sociale della Sicilia dell’epoca, le lotte amministrative che avvenivano all’interno di una società ancora in gran parte feudale, ma nella quale si erano inseriti l’estrazione e poi il commercio dello zolfo. Una società nella quale convivevano il latifondo e l’industria mineraria, caratterizzata da nette divisioni sociali tra la popolazione: contadini e minatori da una parte e, dall’altra, le élites di latifondisti della vecchia nobiltà e della nuova borghesia statale emergente, composta da funzionari dello Stato.
La scrittura chiara e precisa di Barnabà, un pregio per un libro a tematica storica, accompagna il lettore tra le vicende, talvolta intricate, dell’isola e dei suoi abitanti in un momento cruciale della storia italiana. Quella dei Fasci Siciliani, la cui terminologia, già utilizzata durante la rivoluzione francese, è tratta dai fasci dell’antica Roma, che rappresentavano la forza che nasce dall’unione, è senz’altro la prima grande rivolta a componente socialista della nascente Italia. Secondo Francesco Renda è stato «il più frontale e violento scontro di classe che mai si fosse avuto nella storia dell’Italia unita.»5 E, pure con le difficoltà di un movimento che aveva una buona componente spontaneista e per il quale, alla fine, fu sottovalutato il pericolo e mancò un’adeguata protezione, fu un’esperienza che ebbe una eco duratura e tornò in auge anche in altri momenti importanti della storia italiana, come si può leggere in questo articolo di Dino Paternostro pubblicato alcuni anni fa sempre su Altritaliani (La repressione dei Fasci dei lavoratori impedì la modernizzazione della Sicilia).
Per rendersi conto dell’ampiezza del fenomeno basti pensare che ai Fasci dell’epoca aderirono, pare, 300 mila lavoratori, una cifra probabilmente inesatta, ma che dà un’idea della portata e dell’interesse che serpeggiava tra la gente. L’adesione al Partito Socialista poteva diventare, per i contadini siciliani, una terza via per reagire alla miseria, una via che andava oltre la rassegnazione e la ribellione, i due poli verso i quali la popolazione era attirata.
Le motivazioni del fenomeno sono presto dette: una forte recessione economica, il programma protezionista degli industriali del Nord che impedì un’emancipazione dalla struttura del latifondo, la guerra commerciale con la Francia e la migrazione che incomincia verso la Tunisia. Una serie di situazioni che contribuirono a creare un cumulo di miseria assoluta e la necessità di uscire da una vita sempre più difficile per la maggior parte della popolazione.
L’insediarsi di Crispi al governo fu certamente il fattore che, alla fine, diede il colpo di grazia a movimenti che erano nati per «far opera di mediazione politica e centotrenta anni dopo si può affermare come la loro cancellazione e l’assenza di uno sbocco riformatore dalla vicenda siciliana abbiano comportato un’occasione mancata per lo sviluppo civile dell’isola e accentuato ulteriormente la frattura tra le due Italie.»6 E, aggiungiamo, la fine violenta del movimento dei Fasci aprì la stagione dell’emigrazione di massa che, nell’Italia post-unitaria, vide milioni di italiani lasciare le loro terre per andare ad insediarsi in altri Paesi d’Europa e del mondo.
Tuttavia, potremmo domandarci, alla luce di un’esperienza non riuscita e centotrenta anni dopo, perché l’autore abbia rimesso mano a questo libro, perché, insomma, continuare a parlare e analizzare le vicende dei Fasci siciliani oggi? È una domanda che si pone anche Fausto Carmelo Nigrelli nella prefazione al volume e, personalmente, concordo con la risposta che il Nigrelli ha dato, ovvero che la situazione odierna sociale ed economica dell’isola e di tutta la Penisola, non è così lontana, pur con le dovute proporzioni e distanze, a quella dell’epoca. I nuovi schiavi del lavoro li conosciamo, la frattura tra i ceti sociali sta crescendo a vista d’occhio, l’emigrazione è ripresa piè sospinto e la tensione sociale è alta. Il monito che questa esperienza vecchia di oltre un secolo può ancora darci c’è, così come la spinta di giustizia sociale chiesta del nascente Partito Socialista dell’epoca può, forse, ancora servire da faro nella lugubre notte che stiamo attraversando.
Per riprendere, in chiusura, l’adagio popolare che dà il titolo al libro, il meglio tempo, ovvero un’auspicata nuova società, ha ancora da arrivare.
Elisa Veronesi
SCHEDA DEL LIBRO sul sito di Infinito Edizioni (17€) – disponibile anche in versione e-book
L’AUTORE:
Enzo Barnabà nato a Valguarnera nel 1944, ha studiato lingua e letteratura francese a Napoli e a Montpellier e storia a Venezia e Genova. Ha insegnato lingua e letteratura francese in vari licei del Veneto e della Liguria e ha svolto la funzione di aggiornatore dei docenti di lingua francese della provincia di Imperia. A Ventimiglia ha fondato il Circolo “Pier Paolo Pasolini. Ha svolto la funzione di lettore di lingua e letteratura italiana presso le Università di Aix-en-Provence e di insegnante-addetto culturale ad Abidjan (Costa d’Avorio), Scutari (Albania) e Niksic (Montenegro). Vive a Grimaldi di Ventimiglia. Tra i suoi libri: Fasci siciliani a Valguarnera, Teti, 1981; Contextes. Grammaire française à l’usage des Italiens, Loescher, 1994; Le ventre du python, romanzo, Editions de l’Aube, 2007; Sortilegi, racconti, Bollati-Boringhieri, 2008 (con Serge Latouche).
1 Enzo Barnabà, Il meglio tempo. 1983, la rivolta dei Fasci nella Sicilia interna, Infinito Edizioni, Formigine, 2022, p.123.
2 Ibidem.
3 Ivi, p.35.
4 Ivi, p.124-125.
5 Ivi, p.199.
6 Ivi, p.163.