Saman. Morte di una ragazza che voleva essere italiana.

Certo quella di Saman è una vicenda di cronaca nera, che fa emergere una serie di temi su cui la politica italiana deve decidersi a rompere ulteriori indugi.
Partiamo, per chi dall’estero non segue le quotidiane cronache italiane, dal fatto.

Saman Abbas era una diciottenne, figlia di pakistani che lavoravano in una fattoria a Novellara, vicino Reggio Emilia. Ancora minorenne scappa da casa e chiede ai servizi sociali del Comune di proteggerla, questo perché i genitori vogliono costringerla ad un matrimonio forzato con un cugino in Pakistan. La ragazza viene protetta in un centro di accoglienza e nel frattempo si fidanza con un ragazzo. Più volte dichiara ad amici, dopo averlo fatto anche con i parenti, che lei desidera essere italiana e che non vuole avere nessun legame con l’Islam o la cultura pakistana, ma compiuti i diciotto anni, inspiegabilmente, gli inquirenti ritengono fosse ingannata dai genitori, lascia il centro di accoglienza e va a casa per prendere i suoi documenti e spiegare le sue ragioni. Da quel momento scompare e i genitori rientrano in Pakistan. Dalle indagini dei Carabinieri e da diversi filmati raccolti da telecamere diffuse sul territorio, emergerà che la madre ha consegnato Saman allo zio perché la punisse (l’uccidesse, facendone scomparire il corpo). Poco prima di morire la ragazza riesce ad inviare un ultimo sms al fidanzato in cui scrive: “Vogliono uccidermi”. Un fratello minore verrà arrestato in Italia, uno zio in Francia, da dove è estradato in Italia, mentre dal Pakistan sono giunte delle immagini di un funerale organizzato dai parenti di Saman, un funerale senza il corpo, a questo punto si sospetta, della defunta.

È evidente che sarebbe un errore pensare che tutti i musulmani si sarebbero comportati come gli sciagurati genitori di Saman, anche se va detto che episodi simili sono già avvenuti nel nostro paese. Tuttavia, come ricordava la giornalista marocchina Karima Maoui alla RAI, la religione musulmana considera che la rinuncia all’Islam sia reato di apostasia che prevede come punizione la morte per mano degli stessi genitori.

Saman Abbas

Dietro la tragedia di Saman vi è una cultura patriarcale, lontanissima dalle nostre concezioni laiche. Si tratta di una cultura che mette facilmente radici nel radicalismo musulmano, che di fatto la tollera.

Francamente, su queste basi, ogni tentativo di integrazione nella nostra società appare problematica se non davvero difficile.

Al di là del nudo fatto di cronaca, questa vicenda evidenzia colpe e responsabilità politiche da parte italiana, nonché la scarsa volontà di integrazione di almeno alcuni settori della comunità musulmana, la quale oggi dichiara di voler essere parte civile nel futuro processo per il delitto di Saman, ma che concretamente non sembra disposta a rivedere regole e tradizioni che sono in totale conflitto con la civiltà occidentale e con le leggi italiane.

Una prima considerazione, di banale ordine pratico va fatta sulle nostre responsabilità. Visto gli antecedenti, ci si chiede come abbiano fatto le autorità del luogo e le forze dell’ordine a non capire che sarebbe bastato accompagnare Saman dai genitori per evitare che fosse rapita e uccisa.

Ma conviene qui soffermarsi su delle valutazioni più generali e complessive. Certo se la politica italiana avesse una visione più alta del proprio ombelico, oggi avremmo lo “Ius soli” o almeno lo “Ius culturae”, sempre più essenziale per i tantissimi giovani figli d’immigrati di seconda generazione che, come Saman, si sentono e sono italiani e che contestano (a volte, come visto, fino alla morte) gli obblighi imposti da regole, da tradizioni culturali, tribali e patriarcali e da precetti islamici che non sentono loro.

Su questo la responsabilità della politica italiana è chiara e grave.

Nel dibattito politico che è scaturito da questa tragica vicenda di cronaca nera, si son fatti spesso confronti con quanto avviene in Francia. Va considerato che l’Italia non è la Francia. L’approccio costituzionale oltre che culturale da noi è diverso da quello francese. La Francia pone tutti i culti religiosi su uno stesso piano affermando, almeno a parole, che lo Stato è laico e di fatto agnostico verso qualunque culto.

In Italia, per motivi storici ma anche geopolitici, non c’è uguale indifferenza. I rapporti Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi del 1929 come modificati dal governo Craxi nel 1985. Gli altri culti sono ammessi purché non contrastino con le leggi, il buon costume e aggiungo le consuetudini italiane, che sono pur sempre fonti di legge.

Questo spiega il perché, al di là dalle sensibilità ideologiche, diversamente che in Francia, dove sono vietati i simboli religiosi, in Italia, i simboli cristiani sono ammessi nei pubblici uffici, e difficilmente amovibili, in quanto parte della tradizione culturale e delle consuetudini della nostra civiltà. Ovviamente sono tollerati anche i simboli religiosi di altri culti ma, naturalmente solo per uso personale e certamente non sono posti nei luoghi pubblici in quanto non sono parte della nostra civiltà.

Detto che nessuna religione, tranne quella musulmana, prevede la morte per chi rinuncia alla fede. È da secoli che non si vede un rogo in Italia per il crimine di eresia, né ricordo ebrei lapidati negli ultimi secoli per aver offeso Dio, gli unici che si accaniscono su chi sceglie un’altra religione o laicamente si dichiara ateo, sono i musulmani, non tutti sia chiaro, ma comunque resta una loro specificità, non repressa dalle autorità, se non in rarissimi casi.

Ora come per i matrimoni anche per le integrazioni bisogna essere in due. Da una parte lo Stato che non mi sembra, al di là delle già accennate grave responsabilità per il mancato riconoscimento della cittadinanza e per una certa timidezza nei processi sociali di integrazione, impedisca l’esercizio di culti religiosi, e finanche il relativo proselitismo, evidentemente sempre in ossequio alla preminenza della legge e delle consuetudini dello Stato, dall’altro lato c’è la comunità, quella islamica, che diversamente da altre fedi religiose, buddista, ebraica, confuciana, protestante, ecc., fatica a capacitarsi che per vivere in occidente e in Italia occorre adeguarsi a quello stile di vita o almeno a quelle regole e leggi che disciplinano la vita sociale.

Dietro il delitto di Saman Abbas c’è il disprezzo per leggi e la cultura italiane che considerano una diciottenne adulta e libera di scegliere il proprio futuro, il disprezzo per la vita occidentale, il modo di essere, di vestirsi, di pensare. I genitori hanno creduto a torto che venendo in Italia fossero sempre in Pakistan e così non è, per fortuna nostra.

Paradossalmente, la Francia ha finito per essere più “tollerante” forse sarebbe meglio dire rassegnata ad accettare anche l’inaccettabile, cosi vengono subite, senza batter ciglio, le imposizioni di parte della comunità musulmana (impunemente, autorevoli esponenti del mondo musulmano, si permettono di dichiarare che se una legge francese è contro il Corano non va rispettata, si impone l’occupazione di suolo pubblico per preghiere rivolte alla Mecca, ecc.), il tutto con l’ausilio di parte della vecchia sinistra, ad esempio quella di Mélenchon e compagni che, dimenticando la propria storia, dove nulla era più avverso alla religione (tutte le religioni) che Marx, sono più preoccupati di sovvertire la democrazia e Macron che di contrastare la pesante vena oscurantista, antifemminista e oppressiva di questi settori musulmani. È il caso del fenomeno dell’Islamo-gauchisme che sta definitivamente affossando la cultura di sinistra che a lungo fu cultura egemone con i suoi valori di libertà e di impegno per l’emancipazione delle classi più povere.

Per fortuna almeno questa pessima moda in Italia non è arrivata e gli anticorpi sono proprio nella sensibilità italiana verso tutti i culti religiosi, esattamente l’opposto di quanto avviene in Francia.

Tuttavia, come in Francia, anche in Italia sarebbe un grave errore, relegare il tema della laicità e della liberazione della donna (magari dalla costrizione del velo che tanto creava sofferenza anche alla povera Saman), alla destra. Occorre avere il coraggio, ed è un coraggio che deve coinvolgere tutti i settori politici, di fare vera integrazione. I figli di coloro che scelgono l’Italia vanno coltivati come i figli degli italiani, educati ai valori italiani, alla nostra storia patria, ai valori di eguaglianza e democrazia, al ripudio della violenza, devono crescere secondo il diritto di famiglia italiano, una conquista che dagli anni settanta che mette in perfetto equilibrio i genitori nei loro doveri e diritti verso i minori.

L’integrazione chiede a chi viene in Italia, un cuore puro, la coscienza che, da ora in poi, la propria religione, come tutte le altre, dovrà misurarsi con le leggi e le nostre regole di convivenza.

Non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Non c’è un obbligo di venire a vivere in Italia esistono paesi economicamente più forti del nostro e che sono teocrazie con costumi più affini ai genitori come quelli di Saman, si può andare lì a cercare lavoro. Paesi come l’Arabia Saudita, per citare un solo esempio.

Mentre si cerca il corpo della povera Saman, chissà dove seppellita magari con la testa rivolta verso la Mecca come fu ritrovata anni fa nel bresciano un’altra ragazza che voleva essere italiana, ci si chiede se e come vi sarà giustizia per questo delitto. Non pare infatti che il Pakistan sia davvero disposto a consegnare i genitori e i parenti coinvolti alle autorità italiane. In fondo per le regole pakistane, hanno fatto solo il loro dovere di buoni credenti.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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