Referendum giustizia del 12 giugno in Italia. Un Si o un No che potrebbero cambiare l’Italia.

Difficilmente la validissima ministra della giustizia Cartabia riuscirà, prima del prossimo 12 giugno, a varare la riforma che vanificherebbe la prevista consultazione popolare, con cinque referendum abrogativi, proprio sulla giustizia.

Il referendum sta passando in un sostanziale silenzio dei media, che non sembrano interessati ad una informazione completa ed esauriente che aiuti i cittadini ad avvicinarsi ad un tema che è obbiettivamente tecnico e complesso.

I tediosi e tendenziosi talk show politici (formula di programma ampiamente superata e ormai antiquata) preferiscono, con scarsa competenza, intrattenere il pubblico su temi più emotivi e di facile appeal come la guerra in Ucraina dove l’ammuina è garantita per la gioia di chi vuole che i politici e giornalisti e presunti esperti (ad arte) litighino.

Marta Cartabia Ministra della giustizia.

È evidente che toccare la magistratura, come i boss dell’informazione o peggio gli attuali partiti politici (che Iddio li illumini!) è cosa da non fare, i poteri in questa seconda repubblica hanno costruito delicati equilibri che devono (per loro) restare inamovibili, nel nome di una democrazia sempre più illiberale, fragile e in crisi.

Oggi la magistratura non è più l’istituzione garante del rispetto delle leggi che, superpartes e in nome solo della giustizia, tutela la società contro il pericolo di comportamenti illeciti o peggio criminali, non è più l’istituzione chiamata a ristabilire la verità giudiziaria su atti e fatti che colpiscono gli interessi privati e pubblici di una comunità come la nostra. Oggi la magistratura, ma già da « Mani pulite e Tangentopoli », parliamo di almeno trenta anni, è diventata uno dei soggetti politici principali che animano ed orientano il consenso democratico. Ad alto livello è uno strumento di manipolazione e di lotta di potere in stretta relazione con i diversi orientamenti dell’attuale quadro politico. Uno strumento che si salda ad un altro dei poteri veramente forti della nostra democrazia in crisi, il mondo dei media, che con il suo straripante potere di informazione (spessissimo manipolata e prostrata alle esigenze della battaglia politica) detta i tempi e i modi della politica stessa riducendo il diritto ad una cronaca obbiettiva e completa ha una chimera.

La connessione tra questi poteri, dal berlusconismo ad oggi, si è saldata secondo logiche che vincolano e stringono i partiti ma ancor più i differenti clan che sono parte di quei partiti, ad un uso mirante unicamente alla perpetuazione dell’attuale establishment. Ogni tentativo di rompere questo inquietante e antiliberale schema puntualmente è stato frustrato proprio da questi signori che sono diventati i padroni delle istituzioni italiane, essendone a volte mente e talaltre braccio.

Ecco allora, che dei referendum che mettono in discussione i consolidati privilegi e le prerogative nelle nomine del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura, strumento di autogoverno dei magistrati), sono vissuti come un pericolo dall’attuale blocco di potere. Eppure, lo scandalo Palamara, che è stato solo la punta di un iceberg molto più ingombrante, non insegna nulla. Il fatto che gli eroi di mani pulite a cominciare dal giudice Davigo, colui che tuonava nei primi anni Novanta che avrebbe rivoltato l’Italia come un calzino, oggi sieda alla tavola del potere pronto a manovrare le file della magistratura secondo tattiche e strategie politiche che con il corretto uso della giustizia hanno davvero poco a che vedere, non suscita perplessità e passa in cavalleria, come si suole dire.

Essere magistrato oggi, ad un certo livello, significa obbedire non alla propria coscienza e professionalità ma a logiche strettamente politiche, l’inchiesta non serve più ad appurare la verità su notizie di reati ma a colpire il politico scomodo di turno, a bombardare l’area politica concorrente, con comunicazioni giudiziarie e avvii di inchieste che immediatamente vengono mediatizzate in modo martellante  da una stampa e una televisione compiacente, con il solo scopo di demolire il politico scomodo, di infliggere perdite di credibilità, specie in vista di elezioni, all’avversaria area politica e poco importa che questa sciagurata condotta induca i cittadini al disorientamento, a perdere ogni amore verso la democrazia, il tutto si consuma nel nome delle proprie rendite di posizioni, della difesa dei propri eterni privilegi, secondo logiche, che obbiettivamente somigliano nei metodi, a quelle mafiose.

Tra i referendum ce n’è un altro importante quello sulla separazione delle carriere nella magistratura tra quella inquirente e quella giudicante, un fatto che, vista la premessa, diventa indispensabile per garantire a tutti un giusto processo. Oggi nei processi è evidente che il PM, collega del giudice giudicante, vive una condizione di vantaggio rispetto all’avvocato dell’inquisito. Un tempo quando la magistratura faceva la magistratura e non politica di questa separazione non c’era necessità, ma se oggi la magistratura opera come un clan è evidente che viene a mancare ogni garanzia di correttezza ed imparzialità processuale.

Un altro ritorno è quello del referendum che prevede la responsabilità civile del magistrato che abbia sbagliato sentenza condannando ingiustamente un innocente. In vero già anni fa un analogo referendum fu approvato dagli italiani, ma la politica fece orecchie da mercante per non inimicarsi la potentissima lobby togata, e la volontà democratica degli italiani fu semplicemente gettata in un cestino (anche questa considerazione non dà molte speranze per il raggiungimento del quorum e la validazione di questi referendum). Eppure, sarebbe una norma che ristabilirebbe un normale principio di responsabilità, comune ad altre meno fortunate categorie. Se un chirurgo fa un errore e danneggia o ammazza un paziente viene perseguito e condannato dalla giustizia. Perché mai se un giudice rovina l’esistenza di un professionista, di un uomo qualsiasi, mandandolo sul lastrico o peggio in galera per anni se non per sempre deve restare impunito? Abbiamo avuto esempi di politici e non solo che sono stati sommersi dal fango mediatico e da inutili e pretenziose inchieste giudiziarie che ne hanno colpito a volte finanche i familiari, inchieste risultate poi del tutto sbagliate e infondate, eppure questi magistrati sono usciti indenni e a volte premiati proprio dal CSM mentre il politico, l’imprenditore,  o lo scomodo personaggio di turno n’è uscito definitivamente distrutto, annullato anche se non aveva colpe se non quelle di non essere gradito al sistema di potere.

Altro referendum abrogativo interessante è quello che, ove vincesse il Sì, aprirebbe le porte alla carriera dei magistrati non più automatica ma per meriti e secondo criteri di produttività. Non sarebbero più gli stessi magistrati a valutare le capacità e il merito dei propri colleghi ma spetterebbe alle figure laiche e non togate, che compongono i Consigli Direttivi delle Corti di Cassazione e quindi si eviterebbero autoreferenziali carriere in magistratura sancite da compiacenti colleghi di toga, che spesso favoriscono la carriera a chi è più ubbidiente ai vertici politici della magistratura. Insomma, varrebbe finalmente anche in magistratura il principio della carriera per meriti professionali e non per ragioni sospette di altro e tipo.

Infine, il referendum che limita l’abuso di misure cautelari nel corso delle inchieste. Abuso che ha reso le carceri sovraffollate e che spesso non è giustificato se non dalla lentezza nelle procedure delle inchieste della magistratura, che non sempre sono all’impronta dell’imparzialità oltre che della solerzia più impegnata. Non sempre si è in presenza di circostanze di fatto che motivano la necessità della costrizione della libertà nei confronti dell’inquisito che fino a prova contraria gode pur sempre della presunzione di innocenza.

Di seguito tratto dal sito Il Post, vi sintetizziamo le domande referendarie su cui si è invitati a votare. Ricordiamo che come sempre nei referendum abrogativi, per abrogare una norma bisogna votare SÌ, viceversa per mantenerla occorre votare No. Il referendum per essere valido richiede il superamento del 50% degli aventi diritto al voto. Hanno diritto al voto tutti i maggiorenni che sono cittadini italiani.

Quesiti referendari.

Elezione dei membri “togati” del Csm

Il quesito riguarda le norme che regolano l’elezione dei cosiddetti membri togati del Consiglio superiore della magistratura, cioè quelli che sono a loro volta magistrati, modificando in particolare le modalità di presentazione delle candidature.

Il Csm è l’organo di autogoverno della magistratura. Ne fanno parte, per diritto, tre persone: il presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati (e sono i cosiddetti membri togati), per un terzo dal Parlamento in seduta comune (sono i componenti laici). Se oggi un magistrato si vuole proporre come membro del Csm deve raccogliere almeno 25 firme di altri magistrati a sostegno della sua candidatura.

Se vincesse il “sì” decadrebbe l’obbligo della raccolta firme e si tornerebbe alla legge originale che dal 1958 regola il funzionamento del Csm: il singolo magistrato potrebbe cioè presentare la propria candidatura in autonomia e liberamente senza il supporto di altri magistrati e senza, soprattutto, l’appoggio delle “correnti” politiche interne al Csm.

 

Valutazione della professionalità dei magistrati

Il quesito chiede che la componente laica del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari non sia esclusa dalle discussioni e dalle valutazioni che hanno a che fare con la professionalità dei magistrati.

I magistrati vengono valutati dal Csm ogni quattro anni sulla base di pareri motivati, ma non vincolanti, elaborati dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai Consigli giudiziari. Entrambi questi organi hanno composizione mista: oltre ai membri che ne fanno parte per diritto, sono formati da alcuni magistrati e poi da alcuni membri laici, cioè avvocati e in alcuni casi professori universitari in materie giuridiche. Avvocati e docenti partecipano come gli altri membri all’elaborazione di pareri su diverse questioni tecniche e organizzative, ma sono esclusi dai giudizi sull’operato dei magistrati, in base ai quali, poi, il Csm dovrà procedere per fare le valutazioni di professionalità. Solo i magistrati, dunque, hanno oggi il compito di giudicare gli altri magistrati.

Se vincesse il “sì”, i membri laici avrebbero diritto di voto in tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari con l’obiettivo, secondo i proponenti, di rendere più oggettivi e meno autoreferenziali i giudizi sull’operato dei magistrati.

Separazione delle funzioni giudicanti e requirenti dei magistrati

Il quesito è molto lungo e riguarda l’abrogazione delle numerose disposizioni che fondano o danno la possibilità ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa.

La funzione requirente è quella del pubblico ministero, che in un processo è il magistrato che rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice, che è invece chiamato a giudicare ed è dunque super partes. Oggi i magistrati, nel corso della loro vita professionale, possono passare da una funzione all’altra con delle limitazioni e non più di quattro volte.

Se vincesse il “sì” si separerebbero nettamente le due funzioni: a inizio carriera il magistrato dovrebbe dunque scegliere o per la funzione giudicante o per quella requirente, senza più la possibilità di passare dall’una all’altra. Le ragioni a sostegno del referendum sono una maggiore equità e indipendenza che sarebbe garantita solo, dicono i promotori, da una netta separazione tra i magistrati che accusano e quelli che giudicano.

Limitazione delle misure cautelari
Il quesito referendario interviene per limitare i casi in cui è possibile disporre l’applicazione delle misure cautelari.

La custodia cautelare è la custodia preventiva (cioè una limitazione della libertà) a cui un imputato può essere sottoposto prima della sentenza. L’articolo 274 del codice di procedura penale elenca i casi che giustificano l’applicazione delle misure cautelari: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, o quando sussiste il concreto e attuale pericolo che la persona «commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede». Quando, cioè, c’è il pericolo di reiterazione dello stesso delitto.

Se vincesse il “sì”, verrebbe eliminata l’ultima parte dell’articolo 274 del codice di procedura penale, e cioè la possibilità, per i reati meno gravi, di motivare una misura cautelare con il pericolo di reiterazione che, dicono i promotori, è la motivazione che viene oggi usata con maggiore frequenza per imporre prima di una sentenza definitiva una limitazione della libertà personale. I promotori sostengono che la custodia cautelare, da strumento di emergenza, si sia trasformato in una pratica abusata e che l’attuale norma, nella pratica, giustifichi quasi in automatico forme di restrizione della libertà anche in casi in cui l’imputato non è effettivamente pericoloso.

Abolizione del decreto Severino

Il quesito referendario chiede di abrogare il decreto legislativo numero 235 del 31 dicembre 2012 che prevede una serie di misure per limitare la presenza di persone che hanno commesso determinati reati nelle cariche pubbliche elettive.

Il decreto legislativo che il referendum vuole abrogare è meglio conosciuto come “decreto Severino”, dal nome della ministra della Giustizia del governo Monti. Stabilisce il divieto di ricoprire incarichi di governo, l’incandidabilità o l’ineleggibilità alle elezioni politiche o amministrative, e la conseguente decadenza da tali cariche, per coloro che vengono condannati in via definitiva per determinati reati, anche se commessi prima dell’entrata in vigore del decreto stesso. Per quanto riguarda, ad esempio, le cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento Europeo la condanna che fa scattare l’applicazione della legge è a più di due anni di carcere per reati di allarme sociale (come mafia o terrorismo), per reati contro la pubblica amministrazione (come peculato, corruzione o concussione) e per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a 4 anni. Il decreto Severino stabilisce poi dei criteri anche per quanto riguarda l’incandidabilità alle cariche elettive regionali o negli enti locali. Prevede, infine, in caso di condanna non definitiva, la sospensione dalla carica in via automatica per un periodo massimo di 18 mesi, cosa che è stata di recente giudicata legittima dalla Corte costituzionale.

Se vincerà il “sì” anche ai condannati in via definitiva verrà concesso di candidarsi o di continuare il proprio mandato e verrà cancellato l’automatismo della sospensione in caso di condanna non definitiva

(Le sommarie spiegazioni dei quesiti referendari sono tratti dal sito Il  Post).

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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