“Prima che pioggia”, l’Autunno nei versi di Gabriele De Masi.

Riceviamo e pubblichiamo con piacere l’ultimo componimento poetico di Gabriele De Masi, “Prima che pioggia”, per dire arrivederci all’estate e dare il benvenuto alla stagione più colorata dell’anno, l’autunno. In diverse regioni d’Italia le temperature sono già scese, in alcune sono precipitate, accompagnate dalla tragica alluvione avvenuta nelle Marche.

L’autunno inizia però ufficialmente questa settimana, con precisione la notte del 23 settembre 2022. La teoria vuole che il giorno, nell’equinozio, sia lungo come la notte.  Nell’immaginario collettivo l’autunno è visto ancora come la stagione della decadenza, del tramonto, ma non è affatto così, è la più ricca di tutte. Difatti, Autumnus (da cui Autunno) in latino esprime l’idea del ‘crescere’, dell’ ‘accrescere’, in quanto collegato con il verbo augeo, ‘aumentare’, ‘accrescere’, ‘far crescere’, ‘sviluppare’ ‘rafforzare’, ‘aiutare’ (da cui auctor, autore; Augustus, Augusto) a sua volta derivato dal greco auxano.

L’Autunno nei versi di Gabriele De Masi è il tempo dell’ “accrescimento”, della “maturazione” dei frutti. Il titolo della poesia, un vezzo letterario, è emblematico, richiama l’attesa di questi ultimi giorni di sole, la quiete prima della prima pioggia che cada sui terreni dei contadini, affaccendati nei lavori di campo, a ultimare il raccolto.

Prima che pioggia

Forse, perché non vissuta,
guardo l’estate come cessa
con rantoli di nuvole, lontano,
alle falesie d’Amalfi, profili
di costiera intravisti ai bagliori
non di festa di santo, per spari
di fuochi di lancio, ma tempesta
di mare che avanza spedita
con ampie falcate di lampi.

Presto, sarà anche qua,
tra i noccioli, i castagni
e le pigne mature di fiano,
piedirosso, greco, aglianico,
non ancora vendemmiate,
e, per tanto, sospirano affanno
i vignai, lettori del cielo,
fiutando ai filari il girotondo
del vento tra i tralci, poche
ore, ancora, di sole
sottratto all’autunno.
Così, aspettano a turno,
le forbici in mano, l’ultimo
raggio e gridare: “Si tranci!”
Il gioco, l’indugio. Inganno
che rasenta l’azzardo.

Gabriele De Masi
(dall’Irpinia)

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1 COMMENTAIRE

  1. Gabriele De Masi dipinge sul foglio di carta con parole pastello, come solo un esperto conoscitore dei fenomeni naturali sa fare. Ci sembra di udire il respiro affannoso delle nuvole in lontananza e di vedere i bagliori nel mare del cielo. A mio modesto avviso, De Masi si inserisce a pieno titolo nel filone ottocentesco francese, salvo poi virare improvvisamente verso le terre sue d’origine, fra la fatica del lavoro nei frutteti e nelle vigne. Come i contadini e i vignai il poeta scruta il cielo, leggendone i segni. Il finale tradisce l’anima da giocatore d’azzardo del poeta. Come diceva il grande Fernando Pessoa, « Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente. » Grazie, Gabriele De Masi. Con grande affetto, Nino Amoroso

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