Nel contesto complesso dell’Umana fragilità si inserisce l’opera dall’omonimo titolo di Raffaella Bettiol di cui parliamo in questo articolo di Missione Poesia. Uscito nel 2022, con alle spalle il lungo periodo di emergenza sanitaria, il libro è una rielaborazione continua sulla poesia, sui ricordi, su ciò che è stato e ciò che resta, su ciò che conta e, nello specifico, sul rapporto con la natura.
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Raffaella Bettiol è nata a Venezia nel 1952 e vive a Padova. È presente in diverse antologie. Collabora con la rivista on-line Pelagos letteratura diretta da Umberto Piersanti. Ha pubblicato le raccolte di poesia: L’Anima Segreta (Panda, 1997), Ipotesi d’amore (Marsilio, 2006), Una sprovveduta quotidianità (Pequod, 2008). Nel 2002 per Archinto ha curato l’antologia Il mio bicchiere da viaggio-Otto poeti italiani d’oggi. Ha scritto numerosi saggi su poeti italiani contemporanei. Ha curato, assieme a Bruno Pellegrino, la biografia: Giuseppe Bettiol-Una vita tra diritto e politica (Cleup, 2009). Umana fragilità è il suo ultimo libro di poesie edito da Biblioteca dei Leoni nel 2022, nella collana di poesia diretta da Paolo Ruffilli. Ulteriori informazioni su di lei e sulla sua poetica, nel precedente articolo di Missione poesia al link:
https://altritaliani.net/una-sprovveduta-quotidianita-di-raffaella-bettiol-in-missione-poesia/
Conosco Raffaella Bettiol da diversi anni ormai, come accennato nel precedente articolo di questa rubrica. Con lei abbiamo continuato a condividere nel corso degli anni incontri di poesia, eventi letterari, partecipazione a comuni antologie. Confermo senz’altro l’appellativo che le detti, ovvero che è la “signora” della poesia italiana. Sempre garbata, elegante, raffinata, mai fuori le righe, nonché il fatto che possa vantare un lavoro constante nella poesia non solo per la propria produzione, ma anche per la cura di antologie contenenti i nomi di grandi autori, e per la cura delle presentazioni di libri di poesia. Per tutto questo sono molto legata a lei da un grande affetto e da una consonanza di intenti poetici e divulgativi della poesia stessa. Sono quindi felice di poterla ospitare nuovamente, nel mese di marzo, alla rassegna bolognese “Un thè con la poesia” con questo suo nuovo lavoro.
Umana Fragilità
Il termine fragilità deriva dal latino frangere nel senso di rompere: un equilibrio, una condizione, un’armonia sia fisica che psichica. Seneca ne La condizione umana ci mostra l’uomo come una creatura fragile, vittima di illusioni dovute a impulsi irrazionali: Noi viviamo come se dovessimo vivere sempre, non riflettiamo mai che siamo esseri fragili… eppure la fragilità, una delle cui componenti principali è senz’altro il dolore, a volte può diventare una ricchezza, un punto da cui partire per comprendere gli altri e di conseguenza noi stessi, per accogliere la diversità che ci rende unici, per rafforzare l’intensità delle nostre esperienze che ci mostrano quello che veramente siamo.
La letteratura del resto racconta le fragilità in vario modo, sviscerandone i profondi solchi che si annidano nell’umano. Così la Merini ci grida in faccia le sue – che diventano le nostre -; così Pavese chiede di raggiungere almeno una pace interiore, se non quella del mondo; così Ungaretti ci dice di come ha trascorso una notte in trincea vegliando il cadavere di un amico, alla vigilia di Natale… In un contesto così complesso, al quale si potrebbero aggiungere tanti altri esempi si inserisce l’opera di Raffaella Bettiol: Umana fragilità, uscita nel 2022 con alle spalle il lungo periodo di emergenza sanitaria e gli altrettanto lunghi ripensamenti sulla sua poesia, sui ricordi, su ciò che è stato e ciò che resta, su ciò che conta e, nello specifico, sul rapporto con la natura.
Questo libro nasce, per esigenza e confessione dell’autrice stessa, con l’intento di raccogliere quanto più possibile dai suoi pensieri, dai suoi manoscritti, dalla sua esperienza e fissarlo sulla carta immaginando che, forse, potrebbe essere il suo ultimo lavoro, il suo lascito al mondo poetico. In questo modo – anche se ovviamente noi ci auguriamo che non sia così – la dimensione della narrazione poetica, perché qui c’è un percorso narrativo forte e ben delineato che siamo invitati a seguire, assume una sacralità definitiva: quella di un messaggio che abbraccia lo scibile del vissuto e del vivibile, delineando la strada seguita e, certo, le paure di poterla perdere o addirittura lasciare. Del resto, si tratta di un libro, come dice giustamente Paolo Ruffilli nell’accurata prefazione, nel quale il tema centrale è senz’altro la morte: Tutto s’affretta alla sua fine/solo la sua immagine così intensa/resta a segnare la vita/a smascherare ogni destino… che tuttavia si accompagna indissolubilmente con l’apertura alla continuazione della vita, ai riflessi della sua condizione e del suo stesso senso.
Qualcuno parla di questo lavoro della Bettiol come di un diario o di un album personale, se pure amplificato dalle domande esistenziali: io ritengo che si tratti più di una presentazione di quel campionario umano, inteso ad ampio spettro su tutto ciò che può considerarsi “vivo” in qualche modo, e di quei sentimenti che vi si legano, tanto da farcelo apparire come universale: tutti noi siamo fragili, ogni creatura è fragile, l’universo stesso, probabilmente, ha una sua insita fragilità: Nei silenzi si dilata il tempo/ogni vita appare sospesa/s’annullano gli anni/il giorno s’illumina ai ricordi/in preda ad una luce che intensa/vibra d’assenze.//L’esistenza palpita segreta/nella sua umana fragilità…
Eppure siamo qui a parlare di ciò che può aiutarci a sostenere la nostra condizione e questo riguarda la pietà, riguarda ciò che, se pure nel dolore che ci circonda, ci permette di alimentare la speranza. E la speranza la sentiamo nei testi dedicati al Natale, ad esempio, quelli che annunciano la vita nuova: Forse nascerai nuovamente/in questa lucida notte/figlio d’un misero villaggio […] sarai/il figlio atteso/ la buona novella d’un’umanità/incapace di riconoscersi/forse per debolezza/forse per viltà; o in quelli che parlano del passato dove una vecchia gonna di seta diventa lo spunto per un’attenzione rinnovata alla vita che passa: Eppure, l’ho indossata ancora/una sera di nebbia come allora/e follemente ha ruotato/dimentica di un’età diversa/che ogni ora sommessamente/goccia…; o in quelli che riscoprono in un’erba di strada la certezza di essere comunque vivi e presenti: Ma la vita in accordo segreto,/sorriso smarrito di ragazza,/ovunque germina cespi d’erba morella, /spezzano la dura crosta dell’asfalto/con la certezza della loro esistenza.
Certo, se penso alla sezione più riuscita di tutta la raccolta, concordo con Umberto Piersanti che, nella sua recensione al libro, parla della terza, ovvero quella dal titolo Uno sguardo sul giardino. Qui, quello sguardo evocato, si apre sulla dimensione del mondo vegetale: alberi, fiori, cespugli tutti quelli nominati sono offerti all’attenzione del lettore, non solo con dovizia di particolari, ma con una correlazione oggettiva di affezione, di sentimenti palpabili e soprattutto di relazione con le esperienze umane vissute. Cito, nello specifico, i due testi speculari che parlano del Tarassaco, scritti a circa tre anni di distanza l’uno dall’altro, perché rendono bene l’idea che l’autrice ci vuol dare: quella della forza della natura racchiusa in questa piccola pianta che addirittura spacca il cemento e resiste ad ogni cambio di stagione: Esule su grumi polverosi d’erbe/ ai cigli delle strade/ nell’effimero d’ogni esistenza/ di luce vive e si consuma/ fiero sullo stelo spoglio/ incurante d’ogni presagio, così viene descritto nel primo testo; Tu germogli ovunque/basta che un tuo seme cada/e la terra più ostile ti accoglie,/non hai memoria del passato/di quel lampo di luce/che ti ha visto fiorire/e ti ha eliso il futuro/cancellando ad uno ad uno i segni/della tua presenza, così se ne parla nel secondo testo: il Tarassaco diventa l’emblema della tenacia e dell’attaccamento alla vita che si contrappone alla sua finitezza, quasi un punto di riferimento per il genere umano che spesso s’arrende alle prime difficoltà.
Raffaella Bettiol, in questo suo libro, ha così racchiuso davvero un abbecedario di vicende e relazioni, ambientate nei luoghi a lei più cari, forse, o più conosciuti che, a questo punto, sono anche i nostri: c’è tutta una Padova di vie e piazze, di angoli e vetrine, di passanti e studenti che affiora nell’affresco sottolineato dalla sempre presente fragilità. E fragili sono anche le immancabili maschere dell’ultima sezione – soggetti già presenti nei precedenti suoi libri – che si nascondono al mondo in un voluto gioco di specchi ma, che purtroppo, come ammonisce l’autrice parlando a Pierrot, farebbero meglio a uscire allo scoperto, a non celarsi alla luna: al suo chiarore intriso di deserti [poiché]… Breve e il cammino/poi ogni sponda si congiunge.
Alcuni testi da: Umana Fragilità
Lo schermo bianco di word
Le parole iniziano a balbettare
a rincorrersi confuse
ad accavallarsi
inseguendo il cammino d’un linguaggio,
d’un’idea.
Sono essenze ed assenze
grida confuse e silenzi smarriti
d’ogni esistenza.
Quante parole alla luce del giorno
si dissolvono nell’aria
o rimangono incise nell’anima
voci perdute che risuonano
incessantemente
in un vociare confuso.
Quelle scritte quando la mente
si confonde
senza una via da percorrere
rimaste così sole
svaniscono dallo schermo bianco
in un silenzio indicibile e disperato.
***
Tra due sponde
Bava bianca di cane
spuma di mare in tempesta
si odono latrati tra gli spari.
Un uomo le mani insanguinate
stringe il ferro spinato
vorrebbe spezzarlo,
un bambino corre tra le pozzanghere
in un freddo controluce
in cerca forse d’un riparo.
Le nubi d’un nuovo giorno
sfidano la sorte dei profughi
tra le spoglie d’una vita perduta
mai così forte.
***
Fiori d’inverno
al calicanto
…
nella foschia più densa
quel palpito segreto
su rami secchi dell’inverno,
le ore scorrono foglia a foglia
insensibilmente
dietro il ferro d’un cancello,
debole il sorriso, lotta incerta
in quel brivido temuto
viatico tra stagioni mutevole
espiazione dovuta
a giorni scolpiti per non morire
su tracce invischiate dal fango,
nell’enigma il quadrante
di nuove fioriture.
***
Un problema di cuore
Nulla di te mi hai lasciato
neppure un piccolo messaggio!
ti odio!
O mio Dio
forse ti amo
perduta-mente
intensa-mente
profonda-mente
incosciente-mente
inconsapevol-mente.
Ma cosa c’entra la mente
l’amore non è forse un problema di cuore?
***
Veloci le biciclette
(a Cecilia)
Veloci le biciclette
nel caldo di settembre.
Smossi dal vento i capelli
le tue labbra dischiuse
forse in un sorriso
forse in una canzone
t’allontani,
non sai dove il cammino
possa condurti.
Ora un’altra vicenda
t’appartiene, diversa, forse,
ma, no, non lontana
e il tuo volto torna perfetto
come allora.
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Bologna, 14 marzo 2022
Cinzia Demi
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P.S.: “MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinziademi@gmail.com