Per Missione Poesia presentiamo Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos, 2020), l’ultimo libro di Franca Mancinelli, che apprezziamo per la sua poesia-cerniera, capace di unire l’interiorità a ciò che sta fuori di noi, e all’umanità tutta: un’opera dove il poeta diventa testimone del suo tempo, getta lo sguardo e il cuore oltre l’ostacolo, senza tralasciare ciò che fa parte del suo quotidiano, provando a sanare le proprie ferite grazie alla parola che diventa cura rarefatta del respiro.
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Franca Mancinelli è nata nel 1981 a Fano, dove vive e lavora. È autrice dei libri di poesia Mala kruna (Manni, 2007, premio opera prima L’Aquila e Giuseppe Giusti), Pasta madre (con una nota di Milo De Angelis, Nino Aragno, 2013, premio Alpi Apuane, Carducci, Ceppo-giovani), Libretto di transito (Amos Edizioni, 2018), uscito nello stesso anno con traduzione inglese di John Taylor, con il titolo The Little Book of Passage (The Bitter Oleander Press, Fayetteville, New York). Una silloge di suoi testi è compresa in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012) e, con introduzione di Antonella Anedda, in Poesia contemporanea. Tredicesimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, 2017). Traduzioni di suoi testi sono apparse su riviste e antologie straniere. Ha partecipato ad alcuni progetti internazionali, tra cui di recente Chair Poet in Residence (Calcutta, 2019). Dal progetto Refest – Images and Words on Refugee Routes (2018) è nato Taccuino croato, ora in Come tradurre la neve (AnimaMundi Edizioni, 2019). Nel 2019 è uscito, con traduzione inglese di John Taylor, un volume che raccoglie i suoi primi due libri e alcuni inediti, At an Hour’s Sleep from Here. Poems 2007-2019, (The Bitter Oleander Press). Tutti gli occhi che ho aperto è il suo ultimo libro di poesia (Marcos y Marcos, 2020).
Conosco Franca Mancinelli da molti anni e ho letto tutte le sue opere. Ci siamo incontrate in diverse occasioni di letture e presentazioni di libri e di autori. Mi piace la sua poesia così diversa dal mio modo di scrivere (e per questo ancora più gradita) così rarefatta nell’uso delle parole, eppure così densa di significati profondi. Aspettavo da tempo il momento di incontrarla e di poterla ascoltare e, finalmente, siamo riusciti a combinare la sua partecipazione a “Un thè con la poesia”, la rassegna che curo al Grand Hotel Majestic di Bologna, nel mese di aprile. Oggi vi parlerò del suo ultimo bellissimo libro Tutti gli occhi che ho aperto.
Tutti gli occhi che ho aperto
Se c’è una cosa che si può imparare leggendo i testi di Franca Mancinelli, e questo vale sin dai tempi delle sue prime raccolte Mala kruna e Pasta madre, è che non esiste – come forse non è mai esistita – una modalità unica di scrivere in poesia: ogni poeta, infatti, trova dentro di sé quella che più gli è congeniale, e questo non avviene solo sulla base di una precisa scelta stilistica o di metodo, ma passa attraverso la fusione con il sentire, e con l’esperienza della vita che si fa esperienza di poesia stessa. Può sembrare un’affermazione scontata ma non lo è. Si tratta di una riflessione che parte da lontano, che getta le sue radici nella dimensione originaria e antropologica della poesia, in un frangente che trasforma la semplice lettura dei versi, o delle prose poetiche della Mancinelli, in qualcosa di più: in una scoperta di quel magma interiore che permette di entrare nel vissuto dell’autrice che, come afferma lei stessa, va di pari passo con la composizione dei suoi scritti, e che rende conto di particolari momenti della vita, di incontri e scontri con realtà e umanità, intersecandosi con visioni e apparizioni, tra ritualità e spiritualità, misticismo e quotidiano, pluralità e impegno. Ecco perché l’operazione chirurgica, citata da Fabio Pusterla (curatore della collana di poesia della Marcos y Marcos) nella quarta di copertina appare necessaria e riconoscibile: “Per raggiungere questa giustezza espressiva, l’autrice ha dovuto operare neurochirurgicamente sulla propria scrittura, condensando il senso e eliminando tutto il superfluo: non a caso il titolo felice dell’opera, Tutti gli occhi che ho aperto, denuncia il prezzo pagato nel verso che gli fa seguito, sono i rami che ho perso”.
Esiste quindi una scrittura secca ma non arida, breve ma densa, tranciante ma luminosa che permette in estrema sintesi di raggiungere e porgere alti contenuti di significato: ed è questa la modalità che consente all’autrice di esprimersi al meglio, forgiando quella parola che è sì quella semplice del quotidiano, quella povera e comprensibile a tutti, ma che si apre a un ventaglio di variabili tali da permetterci di incontrare anche più sussulti interpretativi nei suoi testi. Lo so che alcuni dicono che la poesia non va interpretata ma solo sentita, ma io credo che sia possibile unire le due emozioni: quella del sentire e quella del dare un proprio senso alla poesia, che può prescindere da quello dato o pensato dal poeta. Così, le poesie della Mancinelli ci attraversano, e ci rendono immagini di attraversamento, alcune evocative, altre reali, altre ancora immaginifiche. Ed ecco l’immagine resa nell’attraversamento di un bosco conosciuto, ricco di alberi secolari, che continuano a vivere nonostante i rami persi: da qui partivano vie respirando crescevo/nel crollo, qualcosa di dolce un incavo del tempo/tutti gli occhi che ho aperto sono i rami che ho perso; o di un sentiero che conduce all’esperienza del cammino dei migranti lungo il tratto croato della rotta balcanica, dal confine sloveno a quello serbo: qui non possiamo restare altro tempo. È freddo. Non abbiamo più soldi. Ma possiamo avere fortuna. Prego ogni notte. Stamattina, tra le forcelle dei rami, mi è apparsa un’anima. Corrosa dalla pioggia, si stava lacerando; o di un crocevia dove tra l’oscurità e la luce, a volte è necessario scegliere la prima per vedere meglio, per capire meglio l’esperienza che stiamo vivendo, anche attraverso la condivisione di quella di un altro da noi e, al tempo stesso, per poterne scrivere: non si chiudono gli occhi. Vedo da dentro –il buio/dal germe a questo incavo: scrittura, mia camera oscura.
Detto questo, mi viene in mente di quante volte si parla del ruolo della poesia nelle nostre vite e nel mondo, anche qui con pareri contrastanti su chi le attribuisce un compito di rilievo e su chi invece la ritiene – forse provocatoriamente – inutile, senza scopo se non quello di esistere. Trovo che i lavori di Franca Mancinelli possano dare una risposta nel pensarli come una cerniera che unisce l’interiorità a ciò che sta fuori di noi, e all’umanità tutta. Il poeta come testimone del suo tempo getta lo sguardo e il cuore oltre l’ostacolo, senza tralasciare ciò che fa parte del suo quotidiano, leggendo il presente e contestualizzandolo nel periodo storico, fa suoi i cambiamenti e i grandi temi di riflessione, varia le sue modalità di scrittura adeguandole alle tematiche (nel libro sono presenti passaggi in versi e in prosa poetica) e segna un cambio di passo tra questa e il modo in cui il poeta stesso attraversa il dolore (l’attraversamento ritorna, ed è una parola chiave per la comprensione di questo libro) trasformando le fratture in poetica. In tal senso l’autrice sembra lanciare questi messaggi al lettore: se da un albero è possibile ricavare una lezione di ascolto e di resistenza, se da una perdita riusciamo a imparare che era necessario subirla, se nel buio riusciamo comunque a vedere, pur riparandoci dall’orrore che accade, forse possiamo anche recuperare quel grado di verità e di purezza che ci può sostenere e farlo uscire, attraverso la scrittura che di questo ha bisogno. Come l’autrice stessa che ha bisogno dei suoi alberi maestri per essere sostenuta nell’affrontare i cicloni che travolgono la vita, che ritornano all’inizio e alla fine di ogni cosa, che debbono essere esorcizzati attraverso il resoconto di fatti e situazioni che hanno a che fare con lo stesso tipo di dolore.
Il risultato è grandioso perché è capace di illuminare ciò che era immerso nel buio, di ridare senso a ciò che lo aveva perso, di far rinascere una presenza in luogo di un’assenza. Franca Mancinelli ci regala, dunque, questo nuovo libro di poesie che sembrano uscire da una sua necessità di apertura biografica e etica al tempo stesso, da una narrazione geografica che circumnaviga esplorando i luoghi – reali o meno, esterni o interiori che siano – deboli e dolorosi della nostra vita, provando a far crescere un barlume di luce anche nelle più oscure cavità, e di questo non possiamo che esserle grati.
Alcuni testi da: Tutti gli occhi che ho aperto
fanno un rumore secco
le cose che sono state vive.
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quando tornerai a vedere, troverai ogni cosa sorretta dai rami. Non è accaduto niente. Siamo qui, su questa intelaiatura di foglie. A tratti un grido spalanca la gola. Perdiamo tepore. Allora si scuote, ci culla nel vento leggero.
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ho visto gli occhi degli alberi
nel folto una scossa
di chiarore rimasto – a vegliarci
come fitta pioggia che aspetta.
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ramifico secondo la luce
alberi maestri
a spalancarmi il petto
con la forza che viene da un seme.
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era inerte l’aria, percorsa da tremori e scosse. Bisognava ritrarsi, mettere in serbo la vita, sospingerla verso zone dove si aprivano sacche di quiete. Così sono cresciuto in questa forma amputata. La strada accanto puoi vedere in me come brucia.
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da qui partivano vie
respirando crescevo
nel crollo, qualcosa di dolce
un incavo del tempo
tutti gli occhi che ho aperto
sono i rami che ho perso.
Cinzia Demi
Bologna, aprile 2022
Blog di Franca Mancinelli: https://www.francamancinelli.com/
Altri contributi di « MISSIONE POESIA », rubrica Altritaliani di poesia contemporanea curata da Cinzia Demi: biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. Contatto: cinziademi@gmail.com
Cinzia, impara a esprimerti in italiano. La Mancinelli è nata nel 1981 a Fano, dove vive e lavora, e non ‘è nata a Fano dove vive e lavora nel 1981’. E poi non ‘di lei ho letto tutto le sue opere’ ma ‘di lei ho letto tutte le opere’ oppure ‘ho letto tutte le sue opere’. Oggi ero a San Vito dove la Mancinelli ha vinto l’omonimo premio di poesia.
Buon giorno, un modo perlomeno duro di segnalare a un’autrice che si fa in quattro per divulgare la poesia degli altri due piccole imperfezioni che ci sono sfuggite!! Correggiamo ovviamente. Evolena, per la redazione di Altritaliani 🙂