Voi dite : gli italiani. D’accordo. Come no. Altroché. E dei francesi, vogliamo parlarne? (Io ormai lo sono per metà. Quindi posso permettermelo). Sabato 14 marzo 2020, a Montmartre, capitale della “Bobolandia”. Verso le otto di sera il primo ministro Edouard Philippe annuncia: ragazzi qui le cose con la storia del Corona Virus non vanno bene, chiudiamo bar ristoranti e locali. Da mezzanotte, stop! La reazione, dite? Madamina, il catalogo è questo. “Allez Marie Pierre? On va tous sortir pour aller au bar boire un dernier coup jusqu’à minuit». Tutti fuori per un ultimo bicchiere! Locali strapieni.
Un tipo serio (cinquantenne, ex militare decorato, poi imprenditore, oggi agiato nullafacente sempre in bermuda e bicchiere in mano, pieno di redditi, seconde terze e quarte case, come molti nei quartieri bene parigini), mi dice: “ha fatto bene”. Eh, la situazione richiedeva misure, abbozzo. “Mais non, c’est pas ça”. Non è questo, mi spiega. Se chiudiamo tutto adesso, con due settimane si vede chi è malato e chi no, e per le vacanze di Pasqua possiamo partire! Ah ecco, dico io, che stupido a non averci pensato! In Francia le vacanze scolastiche (due settimane ogni sei) ritmano l’esistenza del ceto medio-borghese, secondo questo schema: (1) due settimane di vacanza, (2) due in cui si parla di cosa si è fatto nelle vacanze trascorse (ouais on est parti au Cambodge, on adore le Cambodge!), (3) due in cui si parla di cosa si farà nelle vacanze successive (“ouais cette fois on va juste dans la maison de campagne, on n’a pas fini les travaux, il faut tout suivre sinon rien ne se fait! Il n’y a plus de gens qui sachent travailler”). L’esistenza scorre in questo mare: da vacanza a vacanza.
E insomma, dopo la teoria sulla strategia governativa che mira a salvaguardare il bene più grande, valore ultimo e non negoziabile (la vacanzina di Pasqua), tutti ammassati a bere fino a mezzanotte. E ben oltre in molti casi. Persino il giornale Libération (bibbia del boboismo) sul suo sito pubblica una cosa del tipo: allez, dernière bière! “Ma veramente (abbozzo io, povero scemo), hanno appena detto di…”. “Mais Morisiò, jusqu’à minuit c’est bon! On va pas non plus tomber dans la paranoïa!”. Tutti divorati dalla pulsione del «profiter». Architrave, colonna portante della cultura francese odierna. In cui il sacrosanto desiderio di godersi la vita (“non vi date pensiero, non esiste ritorno, altro mattino non verrà”, dice Brecht) è diventato un’altra cosa. Divertimento obbligatorio. L’esistenza ridotta a parco giochi, Disneyland. L’essere umano (che, diceva quel noiosetto di Neruda, “tenero e sanguinario fu”) ridotto a pupazzo che trova senso e scopo in un solo modello sociale: quello del borghese gaudente che beve, mangia, assiste a spettacoli di moda, compra, viaggia in mete esotiche e prestigiose. Al grido di “liberté, égalité, bien profiter”. Una frenesia senza fine che riduce l’essere umano, da quel poco che era, a niente. Passerà il virus (come passa il dolore), per fortuna; resterà, invece, temo, questo instupidimento collettivo.
Maurizio Puppo
Mah ! Mi sembra un po’ irresponsabile voler, ancora una volta e nel presente contesto poi, opporre Italia e Francia. Perché, ben si sa, la stupidità non conosce frontiere.
da Luisa Magnagati
Cortese Luisa, grazie per il suo commento. Ma se lei fa attenzione, vedrà che all’inizio dell’articolo c’è questa frase: « Voi dite : gli italiani. D’accordo. Come no. Altroché ». Il che lascia intendere che si potrebbero muovere osservazioni analoghe anche sull’Italia. Come vede, non c’è nessuna contrapposizione. Vivo in Francia da quasi vent’anni. Amo questo paese che è ormai un po’ anche il mio. A volte capita di criticarlo. Proprio come capita di criticare l’Italia pur se si continua ad amarla e a considerarla il proprio paese, anzi, la propria patria (terra dei padri, e delle madri). Un cordiale saluto, Maurizio Puppo