“Le Bustine di Minerva” di Umberto Eco diventano un libro sull’attuale società dispersiva, caotica ed irregolare. Primo volume edito dalla neonata Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, una lunga e densa raccolta di Bustine che Eco ha pubblicato sul settimanale “Espresso” fin dal 1985. Un libro postumo che racchiude le puntate più significative, scelte personalmente dall’autore de “Il Nome della Rosa”, tra il 2000 e il 2015.
Mi è stato regalato per le vacanze un libro di Umberto Eco, il grande scrittore, recentemente scomparso, dal titolo: Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida, edito dalla nuova editrice La nave di Teseo, con il titolo tratto da un versetto dell’Inferno di Dante (VII, 1) e perciò credevo avesse un intreccio allettante.
Ho appreso invece dall’introduzione che lo scrittore già da qualche tempo aveva preso l’abitudine di scrivere una rubrica per l’Espresso: “La bustina di Minerva”. Titolo accattivante, che fa riferimento agli appunti presi rapidamente sugli spazi liberi dei fiammiferi Minerva, utilizzati poi per sviluppare riflessioni sull’attualità, in modo non impegnativo, ma un po’ come un caffè quotidiano o frammenti leggeri, per quanto le riflessioni su alcuni argomenti non siano affatto transitorie.
Le bustine di Minerva sono, in un discreto numero, state utilizzate come spunto, già ne Il secondo diario minimo e poi nel Passo di gambero ed ora in questo testo che definisce l’attuale nostra società come liquida, cioè impossibile da definire con un aggettivo comune, in modo concreto e sensato, ma come miscuglio eterogeneo confuso di eventi a dir poco straordinari ed inimmaginabili.
Il termine, creato da Zigmund Bauman nel testo Stato di crisi (Einaudi 2015), fa riferimento alla modernità e al crollo dei valori impersonati dallo stato e poi dalle ideologie e dai partiti ed in generale da ogni comunità che prima assicuravano ai propri adepti certezze di diritto tali da fronteggiare ogni controversia.
Naturalmente dietro questa definizione si scopre il sorriso ironico di Eco, maestro nell’arte di raffigurare come effimero ciò che invece contraddistingue il tratto peculiare del nostro tempo, sospeso in un inferno di dubbi e di inquietudini. Quanto durerà la liquidità ? Non si sa. Forse abbastanza a lungo da non ritenersi più un periodo di interregno, ma di durata notevole.
Il volume è insomma una sorta di zibaldone, avrebbe detto Leopardi, in cui i vizi più che le virtù di oggi sono il gustoso pastiche che viene imbandito ai lettori curiosi e trasecolati. V’è di tutto: odi e amori, razzismo, mass media, linguaggi, religione e filosofia, passata e corrente, inganni, complotti ed altre cose del genere.
Durante la lettura negli assolati pomeriggi estivi, quando è impossibile agitarsi ed affannarsi per vivere dignitosamente, mi colpisce soprattutto un’espressione che ritorna più volte e che m’induce a pensare, quando ancora l’esercizio del pensiero è possibile : “Siamo tutti matti?”.
Espressione che chiude il volume, quasi a volerlo compendiare, preceduta però, ad una discreta distanza, da un’altra simile che serve a ribadire il concetto, ma questa volta come titolo di un’intera sezione: “Dalla stupidità alla follia”.
Dunque lo scrittore aveva visto un’escalation nello sviluppo di questa nostra attuale realtà sociale. Si era prima appellato agli imbecilli, molto diffusi tra le umane categorie, per caratterizzarla, come peculiare dell’ultimo secolo, per poi arrivare a definire peggiori i matti che siamo tutti noi, tanto da dubitare che sia mai esistita la razionalità o sia stata un sogno perso, da Cartesio in poi.
Le azioni umane che sono il nostro presente sono quasi tutte dettate da follia pervasiva e diffusa, non solo gli attentati dell’ISIS, che pretende di sostituire alla politica la religione, dettata dall’istanza della discriminazione e prevaricazione, che è diventato il franchising di tutte le azioni criminali rivolte a masse indistinte di innocenti, a prescindere dal loro credo e dalle loro opinioni. Come a Nizza, dove un franco-tunisino, che non è ricordato per essere stato un convinto musulmano compie una strage, magari per sue frustrazioni personali o turbe psichiche, diventando, in ogni caso, un eroe del califfato. Ma pure quelle azioni di fantomatiche persone savie dell’Occidente che presiedono alla direzione ed alla conduzione dei nostri apparati pubblici o che sono responsabili di affari privati o semplicemente pedine dell’ingranaggio quotidiano ci tormentano.
Si sapeva già che esistevano sull’argomento, prima degli studi psicanalitici, quelli filosofici e letterari sulla follia, mai però che si era concluso che tutta l’umanità fosse ammattita, solo che esistesse nella mente umana una certa tendenza. La corda pazza la chiamava Pirandello, pronta ad esplodere quando la tensione nervosa si fosse fatta insopportabile. Ora non più.
Il male della collettività s’è aggravato, tanto da pensare che sia una vera e propria epidemia. Perché altrimenti tenere in casa armi con cui poi uccidere familiari innocenti, prima fra tutti la moglie o la fidanzata ?
A giudicare dagli efferati delitti degli ultimi tempi incomprensibili, anche quello di Emmanuel Chidi Namdi, il nigeriano di 36 anni, scampato con la compagna agli orrori di Boko Haram, per non parlare degli afroamericani massacrati dagli agenti per nulla, la follia è perniciosa ed omicida, come se la stirpe umana avesse deciso improvvisamente di autodistruggersi.
Allora forse è opportuno capovolgere il giudizio consueto che i pazzi siano un’eccezione a cui un tempo provvedeva il manicomio. Oggi la condizione normale è la pazzia e la cosiddetta normalità un periodo transitorio di allucinazione particolare.
Gaetanina Sicari Ruffo