Per la prima volta dalla sua istituzione nel 1634, l’Académie française accoglie nel suo seno un italiano. Tale onore è spettato a Maurizio Serra, scrittore, diplomatico ed intellettuale, autore di opere non solo di interesse francese. Una nomina di grande prestigio per l’Ambasciatore ed anche un segno dei tempi, di una Francia che sempre più vuole aprirsi ad un mondo globale. Occuperà il “fauteuil” lasciato vuoto da Simone Veil.
Se Maurizio Serra s’è risparmiato l’uniforme d’Ambasciatore presso l’UNESCO a Parigi e le Nazioni Unite a Ginevra, non essendo lì indossata nelle occasioni più protocollari come nelle Corti o negli Stati più tradizionali, non potrà risparmiarsi quella di membro dell’Académie Française, che si distingue per il predominio del verde. Si risparmierà tuttavia la feluca, che non fa parte dell’uniforme, mentre un “Comitato della spada” composto da amici e ammiratori gli offrirà questa, che simboleggerà la sua appartenenza alla “Maison du Roi”, sostituito dal Presidente della Repubblica il quale rimane il protettore dell’istituzione e che approverà definitivamente la sua nomina ricevendolo.
L’Académie difende le sue tradizioni formali da quando è stata fondata nel 1634 da Richelieu, mentre invece quelle sostanziali sono evolute nel tempo fino all’elezione di membri stranieri come Serra.
Fondata originariamente per le regole della difesa e dello sviluppo della lingua e della cultura francese affidate ai suoi 40 membri eletti a vita, e “immortali”, in quanto “immortale” è la parola fatta sigillare da Richelieu in questa missione, l’Académie francese si riunisce di regola a porte chiuse salvo una volta all’anno in dicembre per la nomina dei vincitori dei suoi premi letterari, e salvo quando vi sono ammessi i Capi di Stato esteri che chiedono d’assistere a una sua seduta. Quest’apertura risale al 1655 quando vi è stata accolta la Regina Cristina di Svezia e successivamente vi sono stati accolti lo Zar Pietro I di Russia (1717), i Re Cristiano VII di Danimarca (1768) e Gustavo III di Svezia (1771), l’Imperatore Giuseppe II d’Austria (1777), il Principe Enrico di Prussia (1789), l’Imperatore Pietro II del Brasile (1892), a conferma dello scambio d’interessi fin da allora con i Paesi esteri.
Scambio che nei tempi successivi si è confermato non solo accogliendovi alla stessa maniera altri Capi di Stato (tra cui Antonio Segni nel 1964), ma soprattutto aprendo ancora di più la valutazione dei membri da nominare in base anche alla loro cultura e ai loro scritti su argomenti non in preminenza francesi. Esempi:
Nel 1977 è stato eletto membro Alain Peyrefitte dopo il suo libro “Quand la Chine s’éveillera … le monde tremblera”: questo (titolo allora premonitore), pubblicato da Fayard nel 1973, gli è valso un successo non inferiore a quello del suo “curriculum” prima di diplomatico (come Serra) e, successivamente dal 1962 al 1968, di Ministro dell’Informazione, della Ricerca e dell’Educazione. Alla cerimonia della sua investitura ha partecipato l’allora Presidente della Repubblica Giscard d’Estaing, il quale ne è divenuto membro nel 2003 e al quale non si può non riconoscere un’apertura verso l’estero non inferiore a quella dei suoi predecessori; che egli ha confermato anche nel suo discorso d’investitura, in cui è di regola elogiare il predecessore: nel caso suo Léopold Senghor di cui ha ricordato, oltre alla figura di poeta, scrittore e Presidente del Senegal, la nazionalità francese ottenuta nel 1933 per poter insegnare e la francofonia intesa come veicolo di culture.
Nel 1980 è stata eletta membro (prima donna) Marguerite Yourcenar (francese di sangue, nata a Bruxelles e dal 1947 di cittadinanza anche statunitense dopo essersi stabilita nel Maine), la quale dopo le “Memorie d’Adriano” scritto nel 1951, che le aveva dato la notorietà, aveva continuato prevalentemente a scrivere opere storiche e mitologiche al di fuori della cultura francese.
Contrario alla nomina della Yourcenar e di Giscard d’Estaing (e favorevole tra l’altro a quella di Peyrefitte) era stato Maurice Druon, membro dal 1967, “Segretario perpetuo” (nome ufficiale della carica) dal 1985 al 1999, del quale il conservatorismo sia nella lingua francese che nella scelta delle personalità all’interno e intorno all’Académie è stato tanto “perpetuo” quanto quello da Ministro della Cultura dal 1973 al 1974, quando è riuscito tuttavia ad aumentare gli stanziamenti per i teatri nazionali e altri enti culturali, e per la letteratura francofona non francese. “Immortali” (come “I Re Maledetti” e le altre sue opere sulla storia di Francia) sono rimaste comunque la sua figura nella Resistenza e successivamente, per il suo calibro culturale, quella d’interlocutore delle personalità politiche e culturali straniere di maggior rilievo: il Re del Marocco, gli ambienti del Vaticano, del Cremlino, del Consiglio d’Europa, le accademie greca e rumena e di altri Stati di cui ha avuto le distinzioni, prima di quella solenne agli Invalides quando è mancato nel 2009.
L’attuale “Secrétaire perpétuel” Hélène Carrère d’Encausse, succeduta a Druon, è stata eletta membro nel 1990 dopo i successi dei suoi libri prevalentemente sull’Unione Sovietica. Nata a Parigi nel 1929 da una famiglia georgiana, dopo gli excursus accademici a Sciences Po e alla Sorbona, sia lì che in altre Università (tra cui Lovanio e Montreal), s’è dedicata allo studio della politica estera e de “L’Empire éclaté” dell’URSS, che aveva previsto nel volume con questo titolo pubblicato da Flammarion nel 1978. Successivamente è stata consigliere della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo dei Paesi dell’est (1992) e, come deputata europea (RPR), vice Presidente della Commissione parlamentare di politica estera (1994-99). Se si oppone ancora al “perpétuelle” anziché al “perpétuel” per quanto la riguarda (accettando per sé solo l’”historienne” al posto dell’”historien”), non si può comunque non tener conto che al di là del genere l’Académie, con lei, s’è ulteriormente aperta non solo verso l’estero, ma anche verso le nuove realtà scientifiche a tal punto da avere oggi tra i suoi membri Jules Hoffmann, premio Nobel di Fisiologia nel 2011, dopo aver avuto dal 1996 al 2013 François Jacob, premio Nobel pure di Fisiologia nel 1965 e ancora prima, dal 1944 al 1987, Louis de Broglie, premio Nobel di Fisica nel 1929. Questi, sommati ai premi Nobel di Letteratura (Armand Prudhomme nel 1901, Anatole France nel 1921, Henri Bergson nel 1927 e François Mauriac nel 1952), portano a 7 gli “immortali” con quest’ulteriore prestigio.
La nomina di Serra fa pure seguito al successo dei suoi libri in preminenza su argomenti non francesi editi da Grasset (“Malaparte, vies et légendes”, premi “Casanova” e “Goncourt” nel 2011; “Italo Svevo ou l’antivie” nel 2013; “D’Annunzio le magnifique” nel 2018), dopo essersi fatto conoscere in Francia con “Les frères séparés: Drieu la Rochelle, Aragon et Malraux face à l’Histoire” éd. La Table Ronde nel 2009. È particolarmente prestigiosa perché è stata decisa pressoché all’unanimità (un solo voto a favore d’un altro candidato) e al primo turno (Edmond Rostand era stato eletto al terzo turno nel 1901, Émile Zola aveva dovuto subire altri 25 rifiuti dopo quello nel 1889, Victor Hugo era stato eletto con 17 voti su 32 al quarto tentativo nel 1841). E lo è ancora di più tenendo conto che sostituirà al “fauteuil 13”, già di Jean Racine (dal 1672 al 1699), Simone Veil (che lo ha occupato dal 2010 al 2017 dopo essere stata eletta con 22 voti su 29). La commemorazione che Serra dovrà fare di Simone Veil, per il suo “peso” storico tanto nella politica interna quanto in quella europea (a “Place de l’Europe” e alle rispettive fermate di metropolitana e autobus è stato aggiunto il suo nome, dopo il trasferimento della sua salma al Panthéon), non potrà che avere luci senza ombre: non come quelle che egli aveva dovuto dosare nei rapporti tra Drieu la Rochelle, Aragon et Malraux sulla loro amicizia dopo i rispettivi cammini da fascista, comunista e avventuriero fin da prima della guerra civile nel 1936 in Spagna; o quelle su “Marinetti et la révolution futuriste” (éd. ”L’Herne”, 2009), sui suoi preconcetti estremi di destra e sinistra; o quelle che l’altro ambasciatore entrato nel 1953 all’Académie, François-Poncet (di cui Serra ha ricostruito i contesti nella prefazione della riedizione nel 2019 delle sue Memorie a Palazzo Farnese) aveva allora dovuto far riemergere sulle luci nella commemorazione del suo predecessore Pétain.
Da ex ambasciatore, Serra potrà ricordare (come aveva fatto Veil) che il suo “fauteuil” era stato quello di Paul Claudel dal 1946 al 1955, di Wladimir d’Ormesson dal 1956 al 1973 e di Maurice Schumann dal 1974 al 1998, ossia rispettivamente di due ex colleghi che come lui avevano già utilizzato con successo l’inchiostro in giro per il mondo, e da un ex Ministro (tra l’altro) degli Esteri che era arrivato come loro sotto la “coupole” dell’”Académie” da “conservatore”, ma anche da uomo aperto all’estero avendo tra l’altro favorito nel 1973 l’ingresso del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca nella CEE.
Tuttavia, se anche Schumann e Pierre Messmer (allo stesso “fauteuil” dal 1999 al 2007) sono poi stati contrari o poco favorevoli alle ulteriori limitazioni di sovranità della Francia di fronte all’Europa e alla mondializzazione, Veil nel discorso d’investitura, dopo la commemorazione del predecessore, aveva dichiarato di voler ad ogni costo continuare la propria sfida a favore dell’UE, dimenticando i pessimismi di costoro, e aveva citato la frase di Victor Hugo: “La France et l’Allemagne sont essentiellement l’Europe … les deux peuples sortent des mêmes sources; ils ont lutté ensemble contre les Romains”. Frase con cui, a 65 anni dalla sua prigionia in guerra, 31 anni dal suo quinquennio come Ministra della Salute che ha depenalizzato l’aborto (lo era stata di nuovo dal 1993 al 1995), 28 anni dalla sua Presidenza del Parlamento Europeo e 3 anni dal suo settennato di membro del Consiglio Costituzionale, Veil riconosceva ancora la riconciliazione franco tedesca come prioritaria per la pace in Europa.
E frase che, riguardo ai romani, impone di dimenticare … se non Hugo, Astérix e Vercingétorix perché, avendo suo padre vinto nel 1919 il secondo “prix de Rome” in architettura, Veil non poteva minimamente avere ereditato dei sentimenti di riserva per gli italiani; né poteva averne in quanto, come aveva ricordato Jean d’Ormesson nel discorso d’accoglienza all’Académie, dal 1942 all’armistizio del 1943 Nizza (dov’era nata e cresciuta) “et le Sud-Est de la France furent occupés par les Italiens qui adoptaient une attitude de tolérance à l’égard des Juifs français, au point que le Midi constitua pour un bref laps de temps un refuge pour les Juifs” (in proposito leggasi “Ti amo Francia”, di Alberto Toscano, recensito l’8 ottobre scorso da Nicola Guarino su questo sito), e dunque la deportazione sua e della sua famiglia era avvenuta in conseguenza dell’occupazione tedesca.
Allora, tanto ha fatto Veil per il consolidamento della riconciliazione franco tedesca (e anche durante le sue altre cariche per: la parità delle donne, l’incremento delle strutture sanitarie, la dignità degli algerini in conseguenza della guerra da loro, quella dei carcerati, il predominio del diritto comunitario su quello nazionale, ecc.) quanto, sempre allo stesso fine di conciliazione, apprezzerebbe oggi l’ulteriore apertura dell’”Académie” con la nomina al suo posto di Serra: che allarga la vista dalla “Coupole” oltre le capitali più vicine alla Senna, e che suscita l’ammirazione o l’invidia di molti, e susciterebbe quella di D’Annunzio e di Malaparte se lo sapessero!
Lodovico Luciolli