Marina Corona per il suo libro di poesia “Alfabeto morse di novembre”

Per Missione Poesia, parliamo oggi di Marina Corona e del suo libro Alfabeto morse di novembre edito da Pordenonelegge – Samuele Editore, un’opera che interpreta il sentimento della mancanza, la voce dell’assenza con testi che evidenziano la dimensione della nostalgia preventiva, ovvero quella sensazione che si prova quando ci manca qualcosa prima ancora di esserne privati, e che ci induce a un sentimento di rimpianto e di malinconia, vissuto prima della mancanza stessa.

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Marina Corona è nata a Milano, dove vive attualmente. Nel periodo dal 1970 al 1994 ha vissuto a Roma. Nel 1990 ha vinto il Premio Internazionale Eugenio Montale per la sezione inediti e di conseguenza la sua silloge è stata pubblicata nell’antologia di Vanni Scheiwiller All’insegna del pesce d’oro. Nel 1993 ha pubblicato il libro di poesie Le case della parola per la casa editrice I quaderni del Battello ebbro e nel 1998 la silloge poetica L’ora chiara per la Jaca Book (Premio Internazionale Eugenio Montale per la sezione editi, premio Guido Gozzano, Premio Alghero-donna, Premio Circeo Sabaudia, Premio Letterario Internazionale Maestrale – San Marco). Sempre per la Jaca Book nel 2006 ha pubblicato il libro di poesie I raccoglitori di luce (finalista la Premio Lorenzo Montano). Suoi testi poetici sono stati tradotti in spagnolo e in inglese e sono stati letti da lei stessa all’università di Siviglia e all’università di Madison in America. Ha curato cicli di presentazioni di poeti e letterati contemporanei e letture di poesia presso il Circolo della stampa, Archivi del ‘900 e La casa della cultura di Milano, dove tiene tutt’ora un ciclo dedicato alla grande poesia. Nel 2013 ha pubblicato il romanzo La storia di Mario per la Casa editrice Robin (finalista al Premio Guido Morselli). Nel 2018 ha pubblicato il romanzo La complice per la casa editrice Puntoacapo (Premio “Piccola Editoria di qualità”). Nel 2018 ha pubblicato il libro di poesie Un destino innocente per la Casa editrice Stampa 2009 (finalista al premio Raffaele Crovi e al Premio Internazionale Gradiva). L’ultima sua raccolta di poesie è quella che presentiamo in questo articolo, Alfabeto morse di novembre, edita da Pordenonelegge – Samuele Editore, collana Gialla Oro, nel 2022.

Conosco Marina Corona da molti anni anche se, di persona, ci siamo incontrate poche volte. La sua attività di poeta, di scrittrice e di organizzatrice di incontri con poeti la rende una delle figure centrali della scena poetica nazionale e una delle voci più significative della stessa nostra poesia. Sono lieta di averla invitata alla nostra rassegna Un thè con la poesia, per parlare di questa sua nuova opera, all’incontro che si terrà a Bologna nel mese di maggio 2024.

 Alfabeto morse di novembre

Marina CoronaLa poetica dell’assenza rappresenta una dimensione molto forte e frequentata nel corso del ‘900. A titolo puramente esemplificativo vengono in mente i versi: di Mario Luzi nella poesia Non andartene, tratta dalla raccolta Dottrina dell’estremo principiante (Garzanti, 2004), pubblicata quando l’autore aveva già novant’anni, e nella quale si parla di un “congedo” (riferito alla scomparsa della persona amata): qui la riflessione sul tempo è determinante per ribadire l’esistenza e l’apertura alla possibilità della trascendenza – nessuna ora è vanificata – in un messaggio che si fa salvifico; i versi di Attilio Bertolucci che nella poesia Assenza, parte di Sirio, una raccolta poetica pubblicata quando l’autore era solo diciottenne, racconta il dolore usando il suo opposto: la nostalgia rafforza la presenza della persona che ci manca e la cui assenza occupa uno spazio fisico nel nostro cuore, uno spazio che pesa e duole, uno spazio che l’autore riempie con le immagini prese in prestito dal quotidiano, entrando nella nostra sfera più intima, tirando fuori ciò che poteva rimanere taciuto; i versi di Diego Valeri, poeta sospeso tra la nostalgia e il dubbio, che sa ascoltare la Natura per trarne una chiave utile a decifrare il senso ultimo della realtà, l’assoluta forza della vita, e che versifica il suo pensiero sull’assenza con queste parole: C’è, scavata nell’aria, la tua dolce/forma di donna: un vuoto/che palpita di te, come l’immoto/silenzio dopo una perduta voce.

Dunque, Marina Corona si inserisce a pieno titolo in questa scia – lungo la quale potremmo annoverare anche tanti altri nomi di autori del ‘900 – interpretando a suo modo il sentimento della mancanza, la voce dell’assenza in questo suo ultimo libro di poesia. Nei tre capitoli che compongono la raccolta – Il burattinaio e l’ombra, Alfabeto morse di Novembre, Il gong lunare – si susseguono testi che intrecciano personaggi e vicende, tempi e luoghi, natura e sentimenti che tendono a evidenziare, secondo le intenzioni dell’autrice, la dimensione della nostalgia preventiva, ovvero quella sensazione che si prova quando ci manca qualcosa prima ancora di esserne privati, e che ci induce a un sentimento di rimpianto e di malinconia, vissuto prima della mancanza stessa. La poesia che va in questa direzione tenta dunque di rendere eterno un momento, un luogo, il ricordo di una persona per farlo continuare a vivere nel tempo. Un tempo che si sposta di continuo, nella raccolta, tra passato, presente e persino futuro, approcciando un vero e proprio dialogo con gli assenti, e di questo l’autrice ne dà conto con un’indagine interiore fatta di domande e questioni quanto mai aperte che attendono risposte, nell’inquietudine dell’incertezza; domande presenti soprattutto nella prima sezione del libro laddove, attraverso una lingua poetica che spazia dai toni intimi a quelli forgiati sotto l’egida tagliente della razionalità, che spesso si trasforma in accettazione del mistero, si profilano le principali urgenze dell’animo della poetessa, quelle che necessitano di confronti, di rapporti, di empatia con chi ci sta di fronte e, in prima battuta, con sé stessi. In un percorso fatto di testi che sembrano concatenati gli uni con gli altri per il ritorno di parole chiave, di elementi vitali, di suggestioni l’autrice ci propone una formula del quotidiano che si incontra con l’altrove, un itinerario fatto di presenze dialoganti che poco rassicurano, e che invece, al contrario, rasentano – in certi passaggi – un incedere definitivo, che riconduce quasi all’indicibile: […] Eravate un candelabro a due braccia/due fiamme di luminescente tepore,/adesso mi è rimasta una catena che trascino /e faccio risuonare a terra/negli anelli pesanti col clangore/che sottolinea ogni moto ogni passo […]

Nella sezione centrale, quella che conia il titolo del libro, Alfabeto morse di novembre, salta subito all’occhio del lettore attento un cambio di registro linguistico, e sostanziale: le sfumature dei paesaggi, la compagnia di una natura amica che forgia le trasformazioni delle stagioni, sembrano sottolineare gli stessi mutamenti interiori della protagonista che cede, pur mantenendo una certa modalità di concentrazione su sé stessa, all’apertura al mondo esterno, cede al confronto con l’ordine primordiale delle cose, prova il confronto e l’ascolto, unisce al trascorrere del tempo le mutazioni della propria condizione, asseconda la propria debolezza ritrovandola all’infinito nella dimensione dell’essere umano, senza più sottrarsi all’accettazione: Nasce una piccolissima stella/nel palmo della mia mano verde/nella linea della vita della foglia/nella fessura fra le mie fresche labbra/fischietto d’ angeli: le ali colme di tempo.

Di testo in testo, arriviamo così all’ultima sezione del libro: Il gong lunare. Se prima si aveva quasi paura di un confronto con l’altro e poi questo viene accettato, similitudine di senso del confronto con sé stessi e con il corso naturale della vita, qui si evidenzia quanto tutto ciò con cui ci relazioniamo sia effimero, sia transitorio, e conduca quasi sempre a qualcosa di doloroso. Nel ricordo si possono far rivivere le persone care che ci hanno lasciato, si può depositare nei pensieri che le riguardano l’amore che abbiamo dentro, si può gestire la commozione che proviamo usando le parole della poesia. Non sapremo mai se questo può bastare per colmare le lacune del vuoto, la voragine che si apre nell’assenza, la consapevolezza del nostro destino che porta a una fine ma, sembra dirci Marina Corona alla fine del suo libro, sfidiamo il silenzio, affidiamo alla voce della poesia la nostra voce, il nostro grido di speranza per costruire memoria: Alta è la stanza del silenzi/dove giocano le nostre ombre bambine/tu porti me a te, io ti tengo.

E, a quanto pare, la voce di questa autrice, voce autorevole, da molti anni presente nel panorama poetico contemporaneo, che ci consegna questa nuova opera, con citazioni iniziali dei capitoli da Elliot e da Yeats, non teme facili assimilazioni a poetiche del dolore, della volontà di non far cadere nel nulla i propri ricordi, di un riconoscimento della finitudine con cui tutti i poeti, in maniera peculiare, si sono cimentati. E fa bene a non temere, perché la sua voce è senz’altro unica e riconoscibile, non conosce forzature, non necessità di stratagemmi: è una voce sincera, che parte dall’esperienza e la trasforma in poesia, adescando dal reale il vero che è tanto necessario per scrivere in poesia, e restituendolo al lettore in tutta la sua complessità.

Alcuni testi da: Alfabeto morse di novembre

Da dentro

Due lampioni: a destra, a sinistra
dall’incrociarsi dei raggi
sulla pelle una macula nera fra le sopracciglia.
Si sveglia il lupo nella tana che avevo serrata
al ripostiglio del cuore
mi fissa da dentro
col suo occhio di biglia lucido d’avidità
di furore sbarrato,
neppure un ululato lo soccorre
al suo posto si agita la luce
scodinzolando gialla dall’uno all’altro fanale
e l’insetto alla radice della fronte s’incide
rade i pensieri lima, affila, falcia.

***

La guardiana

Di tanto sole non è rimasta che una gruccia
dove appendere l’ombra a sciorinarsi,
vado così senz’ombra e senza
la piuma leggera dell’anima,
ho la carne più bianca della mandorla
più della camelia,
i miei occhi sono fari inondano la notte
la frantumano in scampoli di buio.

L’alba e la mezzanotte
battono cinque rintocchi
al campanaccio che porto alla cintura.

***

Il commiato

Mi dispiace per la brace scura dei tuoi occhi,
lo sguardo a spirale che si increspava di sole
come se una dolce mattina si posasse tra noi,
ma celi un uncino nella bionda luce dell’iride,
un rampino che pendi su di me,
io ho solo una maglina di paglia
un copricapo a cono, un gonnellino
che sparpaglia lume ma è di frasca,
tu una rete lavorata nelle ore del focolare
fatta di fumo a corda e incenso
di tronchi profumati di falso amore,
una trappola per la mia fragile gola
dove violetta pulsa una vena che ti piace,
mi dispiace per una cura pura fra noi
che fugge come una triste falena.

***

Gesù bambina

È Natale: al cerchio tanti globi colorati,
addobbi, aghi di pino,
frasche di agrifogli: cornici,
al centro la barca che affonda:
viso nero, respiro divenuto gelido,
le onde sono macigni
fracassano le ossa,
con labbra sigillate lei scende.

Oppure lo scoppio che squassa,
come una stella lei deflagra
proietta frammenti di membra:
una scarpa, un’unghia sugli agrifogli,
la bimba con l’alta cintura
cartucce di giallo metallo e… nove anni
le hanno detto: “vai!”
le hanno detto “hai sentito?”
no! Lo scoppio ci ha rotto gli orecchi.

Natale è questo fuoco d’artificio
questi globi gorgoglianti
questa bimba nella paglia che brilla.

***

Il ghiacciolo

Figlia la luna ti ha posto nel cuore
un ghiacciolo d’argento
e lento naviga il cielo sopra ai nostri volti
che si sorridono nello stento di un calore fallito,
com’è povera questa riva
dove ti vedo pallida
per un dispetto che ti tiene incatenate le labbra
e “mamma” è una parola straniera
pronunciata con difficoltà

intorno la città sfiorisce
e i lumi nelle case si abbassano
poi si spengono, resta un’orbita vuota
a fissarci tra le persiane “chi siete?”
una squadrata sghemba malcerta maternità.

Bologna, maggio 2024
Cinzia Demi

P.S.:
_cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi : https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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