Italia e Francia si sono infilate nella più sciocca, inutile e controproducente crisi politico-diplomatica del dopoguerra. In un momento in cui i due Paesi hanno assolutamente bisogno l’uno dell’altro, i loro governi si mettono a prendersi a pesci in faccia. In particolare il comportamento del vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio è stato, in questo primo spicchio di 2019, una sistematica provocazione nei confronti di Parigi.
Certo tira un’aria di campagna elettorale in vista delle europee del 26 maggio, che avranno sia in Italia sia in Francia un’enorme valenza di politica interna. Ma affermazioni come quella di Di Maio – « Ci sono decine di stati africani in cui la Francia stampa una propria moneta, il franco delle colonie, e con quella moneta si finanzia il debito pubblico francese » – sembrano venire più da un desiderio di propaganda fine a se stesso che dalla voglia di discutere seriamente a proposito della futura Europa. E poi la minaccia : « L’Italia si deve far sentire: nelle prossime settimane ci sarà una iniziativa parlamentare del M5S che impegnerà sia il Governo italiano sia le istituzioni europee, sia tutte le istituzioni diplomatiche sovranazionali, a iniziare a sanzionare quei paesi che non decolonizzano l’Africa ».
Per intanto è stata l’Italia a farsi sanzionare da una Francia decisa più a mostrare la propria suscettibilità che a meditare sul contesto generale di questa polemica e anche su alcune frasi perlomeno inopportune pronunciate da suoi rappresentanti.
Il 5 febbraio, il vicepresidente del Consiglio Di Maio, è andato in pellegrinaggio a Montargis (nel dipartimento francese del Loiret) a incontrare una delegazione di « Gilet gialli », impegnati in una rivolta dagli aspetti e dagli appelli violenti. Nel « vertice » si è parlato di elezioni europee, ma – a causa del ruolo istituzionale di Di Maio – l’incontro non poteva non alimentare una polemica già incandescente. Il 7 c’è stato il richiamo provvisorio dell’ambasciatore francese da Roma a Parigi « per consultazioni ». Non era mai accaduto, da quell’infausto 10 giugno del 1940 in cui Mussolini si coprì di vergogna annunciando alla folla la « consegna della dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia ». Ricevuto il documento, gli ambasciatori prepararono i bagagli. Triste ricordo.
Chi viaggia tra Francia e Italia si rende conto della tensione alla frontiera, frutto (purtroppo) dell’incapacità europea di gestire con serietà, realismo e lungimiranza il problema migratorio. C’è stato un tempo in cui a Ventimiglia, a Modane e al Bianco le frontiere erano divenute semplici espressioni geografiche. Adesso i controlli da parte della polizia e delle dogane francesi cominciano a far pensare più ai confini degli anni Sessanta che all’Europa di Schengen.
Una delle cose tristi della situazione attuale è che l’effetto emulazione si esprime al ribasso. Proprio come accade nelle risse tra automobilisti, sono i più calmi a imitare i più accalorati, e non viceversa.
Per fortuna – ed è davvero una fortuna – gli elementi fondamentali dell’attuale situazione europea e internazionale spingono (e praticamente costringono) italiani e francesi a collaborare tra loro malgrado i momenti di tensione e i desideri dei singoli personaggi. Italiani e francesi sono davvero sulla stessa barca. I francesi si sono comprati una bella fetta d’Italia e gli italiani – oltre a essersi comprati pure loro una fetta (più piccola ma pur sempre rilevante) del patrimonio immobiliare e dell’economia del vicino – registrano un attivo nel commercio bilaterale.
Qualunque cosa uno pensi dell’integrazione europea, è evidente che Francia e Italia devono battersi insieme per disegnare l’Ue di domani, che sarà altrimenti dominata dalla Germania. L’esperienza del governo Conte – che prima ha polemizzato sulla Finanziaria e poi si è accorto dei pericoli insiti nel protrarsi di quello scontro con Bruxelles – dovrebbe spingere tutti quanti a privilegiare l’essenziale sull’effimero, le visioni a lungo termine sulle campagne elettorali, gli interessi veri su sceneggiate che lasciano il tempo che trovano. Sperando non lascino di peggio.
Alberto Toscano