Si pensa spesso alla poesia come una forma di arte astratta, semplicemente sensitiva, slegata dalla “misera” normalità della quotidiana ed ordinaria vita degli uomini, che la sua forza sia semmai tutta evocativa, capace di alimentare solo qualche angolo remoto dell’inconscio di uomini e donne particolarmente sensibili e atti alla commozione, spesso facile espressione di consolidate fragilità. Per questo spesso, con non poca superficialità, la poesia è considerata materia poco attrattiva, commercialmente di scarso o nullo profitto. Per molti editori promuovere poesia, come promuovere racconti o novelle, non è un “buon affare”. Perché la poesia è breve e la sua presunta astrattezza non consentirebbe quel processo di immedesimazione con il lettore che sarebbe la chiave del successo di un libro. C’è del vero, non a caso lo psicologo Massimo Recalcati, in uno dei suoi ultimi volumi: “A libro aperto” sosteneva che non siamo noi che leggiamo i libri, ma sono i libri che leggono noi. Per dire che attraverso i libri noi andiamo alla scoperta di noi stessi e che nel libro in qualche modo vogliamo ritrovare conforto alla nostra esistenza quotidiana.
È vero. Tuttavia, verso la poesia, esiste un pregiudizio, quello di non entrare nella carne viva della nostra vita, nei suoi problemi connessi al lavoro, alla precarietà dei nostri tempi, nella decadenza che giorno dopo giorno consuma le nostre città e le nostre case. Un pregiudizio che il poeta Lorenzo Foltran mette in discussione, dimostrando come anche con la poesia ci si possa ritrovarsi, immedesimarsi, riconoscersi.
Nei versi della sua ultima opera: Il tempo perso in aeroporto, Ed. Graphe.it, si evoca la nostra battaglia quotidiana, si sente la colite che ci viene a causa delle ansie da lavoro, si sente da lavoratori all’estero, la frustrazione e il rimpianto per la patria perduta ed anche la rabbia verso di questa, si avverte il provincialismo dell’italiano emigrante, la decadenza del nostro mondo che ci cade intorno, le costrizioni di una vita che si fa ogni giorno sempre più routine. Nei suoi versi ci siamo noi, con i nostri disagi, i nostri rimpianti, le paure e le illusioni. Ci sono la speranza e la disperazione, il silenzio e la nostra solitudine.
Lorenzo Foltran è un italianista laureato a Roma Tre che oggi si occupa di management dei beni culturali. Lingua e cultura sono dunque gli essenziali luoghi formativi e di cottura della sua poesia.
In una sua recente intervista, rilasciata al blog: La nave carica di libri, a proposito della poesia ha dichiarato: “La poesia non è tanto una passione, è piuttosto una vocazione. Come diceva Dario Bellezza: «Andare a fare la spesa, mangiare, scrivere una poesia sono la stessa cosa, se uno è un vero poeta, poi se uno deve fare uno sforzo per esserlo è inutile che lo fa».
E quanto ciò sia vero lo si evince proprio dalla sua recente raccolta poetica: Il tempo perso in aeroporto edito dalla Graphe.it. Una coraggiosa casa editrice che, in un settore sempre più chiuso nei soliti nomi e incapace di promuovere autentiche novità letterarie, continua il suo percorso originale ricco di stimoli letterari e poetici, come in questo caso, con operazioni culturali sempre di sicuro interesse.
Venendo all’ultima opera di Foltran, si tratta di una raccolta poetica divisa in tre parti che hanno come filo comune il tempo distillato in ciascuna parte in un modo diverso. Prima inteso come lontananza; quello dell’emigrante, lo stesso Foltran lo è vivendo e lavorando in Francia, il tempo della nostalgia della patria persa, degli affetti che mutano e si trasformano lontano da noi. Nella seconda parte il tempo, quello perso, quello che non si può più ritrovare come se potessimo riavvolgere il nastro della nostra vita ed infine, il tempo come prigione del nostro presente, che scandisce implacabile il nostro lavoro la routine della nostra quotidianità che combattiamo con i nostri sogni e le nostre illusioni.
La poesia di Foltran ha il sorriso dell’intenzione ed è sospesa nei gusti agrodolci del ricordo anche come semplice percezione sensitiva del passato che si stratifica nella nostra anima alla ricerca del senso di un futuro che resta in attesa di noi della nostra avventura da Ulisse del terzo millennio. Noi prigionieri della nostra Itaca terribilmente rassicurante e che a quel tempo passato chiediamo conforto e compassione di noi, che di tanto in tanto siamo colti dal brivido di un futuro che oggi come oggi ha sempre meno promesse da offrirci.
Come ha ben ricordato nella sua prefazione al libro, Jean Portante: “Le poesie di questo libro indagano lo spazio che va dal tempo perso al conto alla rovescia, raccontando le lacune dei calendari che lo misurano. Si percepisce una inafferrabilità che, al termine del viaggio, si rivela soprattutto come assenza, briciole e polvere di ciò che non è più. Ogni migrante, e Lorenzo Foltran è un migrante, scivola nello spazio sublime che va dal “non più” al “non ancora”, vasto territorio propizio alla reinvenzione dell’oblio dove si consumano il passato e il presente e dove al futuro non restano che sogni o giochi”.
Ed indubbiamente nelle liriche di Foltran, senza indulgere alla commiserazione, ma piuttosto alla consapevolezza, il senso di sospensione è ben rappresentato dall’aeroporto, di cui al titolo, territorio del viaggio che non è ancora cielo ma che presto non sarà più terra, tutto questo dà proprio il senso di questo “non più » e del “non ancora”, dentro cui si gioca nel bene e nel male, l’esistenza effettiva di ciascuno di noi.
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Da Giorni senza calendari – parte prima di Il tempo perso in aeroporto
La città che promette e non mantiene
come deserti di fontane spente,
miraggi tra l’asfalto, marmi al sole.
Una voce che dice «non andare»,
una felicità tutta teatrale
e che di vero ha solo un palco vuoto.
Di rovina in rovina si è in attesa
della ragazza bella, fresca, frivola
che non ricorda le lusinghe fatte
la sera prima e porta il suo profumo
altrove, nei palazzi di quartiere
o nei vicoli dell’acre suburra.
Misuro il tempo perso in aeroporto
all’andata e al ritorno.
Deposito, ritiro del bagaglio,
insieme pieno e vuoto,
schiacciato nella stiva con il peso
dei ripetuti addii
di un apolide oppresso dal congedo,
ritornando all’esilio.
Il volo della fine delle feste,
il conto alla rovescia
verso il prossimo imbarco, nuovo viaggio,
con doppio passaporto.
Come turista della propria terra,
il prodigo riflusso.
Ed indubbiamente questi versi, nel tempo della globalizzazione dei luoghi non luoghi, perché non più parte del nostro spirito e della nostra storia, sono di grande attualità. Il sentirsi turisti in patria è un sentimento vissuto da molti che come noi vivono sognando il ritorno ad Itaca e allo stesso tempo una volta tornati avvertono l’inevitabilità di nuovi viaggi e di nuovi naufragi.
Da “Mare nostrum”
“C’è chi torna all’approdo ricco e pingue,
qualcuno affonda, qualcuno si perde.
Un altro sceglie, resta, prende moglie
a caso, forse ubriaco, forse stanco
di partire, arrivare e ripartire.
Filo di lana
che dal gomitolo si leva, teso
dal pontile fino alle dita
sul corrimano della nave
in partenza per altri continenti.
L’intreccio come estremo abbraccio,
contatto con la terra in lontananza.
Sfatto il groviglio, nella gola un nodo
Resta…”
Il viaggio e il naufragio sono parte della poesia di Foltran, come il deserto, la fontana della piazza che non funziona, il senso della rovina del passato sempre più sfregiato dal tempo. Una camera con vista sulla precarietà dell’esistente e dell’esistenza.
Oltre la cornice
Giorni che più non sono,
luoghi semidissolti,
sentirli scomparire.
Esistenti a distanza,
città oltre la cornice,
in altri meridiani,
in scale differenti,
continuano a morire.
Terra, terra di coste e di ricordi
sui cementi, rovine di limoni.
Colonne, capitelli, archi, parenti,
costretti, rassegnati a vivere oggi
dove domani moriranno soli.
Stretta tra mari, fiumi e terremoti,
tangenti e scarti umani,
isola bella solo da lontano,
al riparo di esili volontari.
Senza futuro tremi
e con storie di imperi ti consoli.
Poeti in cerca di rima e di naufragi,
sono ricchi i tuoi porti
di santi declamati senza incensi.
Esili volontari verso luoghi che lontani ci appaiono belli ma che poi sono solo i luoghi che riaccendono nella lontananza i fuochi della nostra nostalgia e l’impero dei nostri tempi perduti. Una nostalgia quella di Foltran amara e dolce a cui bisogna concedersi senza resistenza come il naufrago che approda sulla costa sospinto dal mare.
E poi, invece, il tempo perso, quello che non si può ritrovare, la costruzione sempre più evoluta, del nostro mondo artificiale fatto di videogiochi, che rappresentano mondi impossibili in un mondo che già “impossibile” lo è di suo. Come in questi versi.
Super Mario Bros
Start, pulsanti, mattoni, una domanda,
un fungo che avanza tra verdi tubi.
Cresco, salto, lo schiaccio: punti e tempo.
Sullo sfondo colline e un cielo blu.
Mi abbasso verso un mondo sotterraneo
dove monete in equilibrio luccicano.
Risalito, testuggini mi braccano
e mi salva dai loro carapaci,
sale e scende, una stella intermittente.
Intravedo il profilo del castello,
dal suo vessillo mi divide un palo.
Mi arrampico e raggiungo la bandiera:
primo livello, fuochi d’artificio.
Ricordo primo vero videogioco
Come ricordato l’opera si divide in tre parti: Giorni senza calendario; Sogni interattivi e si conclude con: Adesso, titolo che incarna quel presente assoluto che asfissia ogni visione futura, dove il tempo diventa condanna, prigione dove anche l’ora d’aria è determinata dai tempi del lavoro e dai tempi della vita che con amarezza possiamo dire sembrano scanditi proprio dall’obbligo, dalla necessità quasi metafisica del lavoro.
Adesso
Soppeso la coperta,
il tepore nascosto
tra le piume e il lenzuolo.
Sogno appena rimosso
dal sonno che è rimasto.
Ricordo, no, anzi, sento
ancora al ventre il peso:
il giorno di lavoro
passato e già futuro.
Una volta, un noto editore convitato ad una cena, mi disse, che la poesia non si poteva pubblicare, che Sanguineti in Italia, con il suo ultimo libro, aveva venduto in tutto tremila copie. Mi permetto di dissentire e non tanto e non solo perché la poesia ha dato e dà contributi notevoli alla evoluzione della nostra lingua, ma perché la poesia, che andrebbe promossa, come fa Graphe.it, è spesso molto più vicina al sentimento del tempo e alla pelle delle persone di tante prose che si leggono in giro.
Nicola Guarino per Altritaliani
SCHEDA DEL LIBRO SUL SITO DELL’EDITORE
Il tempo perso in aeroporto di Lorenzo Foltran, Ed. Graphe.it (collana Calligraphia), Aprile 2021, pagg. 102. Prezzo dell’edizione in EPUB €. 4,49 e in cartaceo: €. 9,50.
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