Lettera da Torino n°3 /2 – La Palazzina di Mirafiori (Ricordi di un fornitore e di un ex dipendente)

Eccoci alla seconda puntata del nostro viaggio all’interno di Mirafiori, la fabbrica che rappresentava la FIAT nel secolo Novecento, il gigante temuto e venerato della produzione italiana di automobili, chiusa o quasi, ormai.

Come dalla diversità di vitigni diversi, vinificati insieme, nasce un vino equilibrato ed originale, così questa nostra Mirafiori è un’esperienza corale che può essere descritta solo da chi l’ha provata, e vissuta sulla pelle.

Apprezzeremo oggi la bellezza del Palazzo, spesso sottovalutata o mai considerata, visto con gli occhi di un Fornitore dell’azienda, e le dinamiche delle carriere, il clima che si respirava tutti i giorni lì dentro, viste da un ex dipendente

2 – La palazzina di Mirafiori – Testimonianza e impressioni di un Fornitore

La palazzina degli uffici, che si affaccia su corso Giovanni Agnelli, è un edificio di 5 piani lungo 220 metri, ricoperto di pietra bianca di Finale Ligure.
La scalinata di accesso è la distanza e la deferenza che ti impone.
Ti senti piccolo, mentre sali le scale, di fronte a quel gigante che ti riceve.
C’è tutto il rigore e la monumentalità che l’anno  di costruzione (1939) e il regime dell’epoca dettavano.

La palazzina di Mirafiori (foto La voce e il tempo)

La chiamano sabaudamente “Palazzina”, al pari della palazzina reale di Stupinigi.
Una parola per ingentilire ed aggraziare cinque piani per 220 metri di roccia granitica con finestroni e veneziane esterne, fatto di liste orizzontali di acciaio.

L’accoglienza non era proprio il suo forte.

Dietro quella scenografia, si apre una città nella città.
Capannoni, impianti produttivi, strade, ferrovie e gallerie.
Numeri impressionanti.
Occupa una superficie di 2 milioni di m2.
Al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade otterranee.

Personalmente mi sono fermato agli uffici della Palazzina.

I corridoi erano tutti uguali, e perdersi era facile.

Marmo verde scuro sul pavimento.

Infissi in legno massiccio e molto presenti sull’intonaco crema.
Una interminabile fila di sfere di opaline bianca appese al soffitto facevano luce, in quel dedalo di corridoi punteggiati da divanetti in tessuto verde.

Negli anni anche la Sala Atrio passò ad avere un ruolo determinante.
Un centro di smistamento per accedere agli uffici grazie ad un foglietto di carta che ti accreditava e che dovevi restituire in uscita, siglato dal tuo interlocutore Fiat.

Gli appuntamenti di prima mattina erano i più tragici per il traffico.
Dovevi prevedere un margine di anticipo per la coda di esterni che avresti trovato al banco accettazione.
C’era il mondo e tu non eri uno dei tanti.
Tutti denominati con una parola terribile:Fornitore”.
Che si trattasse di bielle, pallet, bulloni, dati, numeri, accessori, funzionari dall’estero o pubblicità, restavi un fornitore e perfino in guardiola ti scrutavano dall’alto in basso.

Un giorno tutto questo è svanito.
La pandemia creò una sospensione da quel rito e tutto cambiò.

Quando lasci la scuola, un posto di lavoro o cambi casa, hai il tempo per prendere commiato da quella struttura che ti ha ospitato per tanti anni. Ricordi il giorno, perché hai avuto la consapevolezza del distacco.
Per la “Palazzina” non è stato così.
Un giorno, come tante altre volte, ci sono andato. Ma non immaginavo che sarebbe stata l’ultima volta.

3 – Fantozzi non abita più qui. Ricordi di un ex Dipendente.

Dal magazzino della  memoria saltano fuori, a volte inaspettati, i ricordi: ecco alcuni momenti della mia vita professionale che mi piace ricordare, lo faccio ripercorrendo alcuni oggetti e momenti quotidiani che alla fine restituiscono un sapore, una sensazione, del clima che si respirava dentro la Palazzina.

Fantozzi (l’attore Paolo Villaggio)

– La scrivania
La scrivania appena assunti aveva due cassetti, che facendo carriera  diventavano tre, poi era la volta della cassettiera: cassetti delle scrivanie come passaggi di carriera, a seguire il tavolo con l’isola per piccole riunioni, fino alla pianta vera e alle poltrone in pelle.

-La Mensa
La mensa era al piano interrato, una sorta di bunker: per i direttori c’erano i camerieri, e per loro i piatti erano più leggeri.

Poi  negli anni c’è stata la democratizzazione delle regole, una sorta di apertura alle strette regole miliari ed è stato creato uno spazio per i direttori all’interno della mensa degli operai e degli impiegati, e i manager erano divisi solo da un “separè », il menù era lo stesso ma con il servizio ancora al tavolo

Il refettorio operai della Fiat-Mirafiori, Torino, 1940-1945. Torino Piemonte Antiche Immagini. La foto proviene dalla pagina Facebook https://www.facebook.com/centrostoricofiat

-I guardiani delle mitiche Porte di ingresso
I “guardioni” : i guardiani erano presenti ad ogni porta di accesso allo stabilimento.
Quasi tutti sempre arcigni e incazzati (o annoiati) tranne uno,
Giovanni, quello gentile, sempre con il sorriso.
Sempre presente all’ingresso degli impiegati e dei dirigenti, con un saluto, un accenno per tutti.

Ricordo la sua tristezza quando mi ha comunicato che lo aveva trasferito ad un ingresso più periferico
La “Feroce » sapeva colpire sempre sapientemente sotto la cintura.

-Il carrettino bar
Il carrettino bar : ovviamente era presente solo nella Palazzina impiegati e dirigenti.

C’era una cooperativa che era autorizzata a far passare in tutti e 6 i piani  (5 + 1 sotto terra) una serie di omini con un carrettino bar super attrezzato di caffe, tè, (con e senza zucchero, con e senza latte), cappuccino (rigorosamente senza schiumetta).
Tutte le bevande erano in contenitori di metallo preparati in precedenza.
Il caffè era quello della moka, non certo un espresso.
Ma l’arrivo del carrettino (2 volte la mattina, poi subito dopo pranzo e verso le 16.30) era un momento di gioia, relax, team che uscivano dall’ ufficio e si incontravano.

Ed era visto negativamente dai dirigenti che lo consideravano un momento di distrazione per gli altri, e una giusta pausa per loro.

Il caffè non era particolarmente di qualità ma il  prezzo era politico, e il valore psicologico enorme.
E d’estate ?
Si aggiungeva il karkadè ! Un infuso rosso buonissimo leggermente zuccherato. Ne avresti bevuto un bicchierone (“semplice o doppio?”)

Eraldo Mussa

(Continua)

Ps. Grazie a due amici che ci hanno accompagnati in questo viaggio odierno: Raffaele Balducci per il contributo n° 2 e Maurizio Spagnulo per il n° 3. 

Nella prossima lettera, terza ed ultima sull’argomento, visiteremo una ex officina (un ex atelier) che oggi rivive con l’ “Heritage Hub”, il museo storico delle auto Fiat, Lancia e Abarth e ci divertiremo ad immaginare un futuro per la nostra Mirafiori.

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LINK INTERNi:
-Lettera da Torino n°1 – P come Piazza Vittorio Veneto
https://altritaliani.net/lettera-da-torino-n1-p-come-piazza-vittorio-veneto/
-Lettera da Torino n°2 – F come Fiume Po
https://altritaliani.net/lettera-da-torino-n2-f-come-fiume-po/
-Lettera da Torino n°3/1 – M come Mirafiori (Valletta a passeggio per i corridoi) https://altritaliani.net/lettera-da-torino-n3-1-m-come-mirafiori-valletta-a-passeggio-per-i-corridoi/

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Eraldo Mussa
Torinese, cresciuto in Liguria al confine con la Francia, forse per questo mi sono sempre sentito un “altro italiano”. Laureato in Lettere, giornalista, rallysta e pubblicitario nella vita professionale. “Se unisco i punti della mia vita, le automobili sono state il mio fil rouge.” Contatto: eralmussa(at)gmail.com

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