Cosa si intende per «diaspora italiana»? Qual è stata l’evoluzione dell’emigrazione italiana in Francia dal XVIII al XX secolo? In cosa differisce l’odierna «fuga dei cervelli» dalle vecchie ondate migratorie? L’articolo mira a fornire un quadro quanto più completo ed esaustivo dell’emigrazione italiana facendo luce sulle dinamiche storiche, economiche, sociali e politologiche del fenomeno.
I dati statistici relativi alle migrazioni italiane nel mondo nell’era moderna e contemporanea sono tratti delle ricerche della Prof.ssa Marta Margotti dell’Università di Torino, per il fenomeno italiani in Francia si fa riferimento agli studi della Prof.ssa Paola Corti di Altreitalie (Università di Torino), in ultimo, per il fenomeno della «fuga dei cervelli» le fonti saranno direttamente citate nel testo.
L’inizio dell’ «Odissea»
Nel XIX sec. i migranti italiani, oltre ad aumentare le distanze percorse muovendosi anche lungo rotte transoceaniche, divennero sempre più stanziali preferendo altre occupazioni ai tradizionali impieghi stagionali. A cavallo fra il XIX e il XX sec. il fenomeno prese le dimensioni di una emigrazione di massa interessando, dal 1876 al 1900, 27 milioni di italiani e dando luogo ad una vera e propria «Italia fuori d’Italia». Il cambiamento fu la conseguenza di trasformazioni politiche ed economico-sociali comuni al Paese ma anche al resto d’Europa, come lo sviluppo industriale e la velocizzazione dei trasporti.
La crisi economica del nuovo Stato unitario
All’origine della grande emigrazione vi fu principalmente la crisi economica che si abbatté sull’Italia nei decenni che ne seguirono l’unificazione (1861). La classe dirigente italiana aveva immaginato che il mero abbattimento delle barriere doganali avrebbe stimolato il naturale decollo dell’economia del paese, allora privo di infrastrutture e sostanzialmente diviso al suo interno per ragioni geologiche, culturali, linguistiche ed economiche. La riscossione di un’imposta fondiaria, che mirava a impinguare le casse dello stato con il denaro della borghesia terriera che negli anni 60 del ‘800 deteneva il 57% dell’economia nazionale, mise in ginocchio molte delle regioni del centro e sud Italia che esercitavano una produzione agricola appena sufficiente al sostentamento della famiglia.
Risultato? Il tasso di povertà aumentò e l’emigrazione si presentò come l’unica soluzione possibile alla sopravvivenza.
La «diaspora italiana»
La «diaspora italiana» caratterizza l’emigrazione che dal 1876 agli inizi del XX sec. riguardò gli uomini che godevano di buona salute, non professionalizzati e disposti a ricoprire qualsiasi tipo di funzione lavorativa; essi furono raggiunti solo in un secondo momento dalle famiglie dando così origine alla ben più nota «emigrazione di massa». La partenza era finalizzata all’ottenimento di un’occupazione ben retribuita o almeno sufficiente a soddisfare il fabbisogno personale e quello della famiglia, grazie all’invio di quantitativi di denaro in Italia chiamati «rimesse». Si sfaldarono così i tradizionali legami fra provenienza regionale, lavoro svolto e destinazione migratoria che fino a quel momento ne avevano scandito i flussi. Le rotte furono essenzialmente condizionate dalla creazione di una nuova rete di contatti che assecondò lo sviluppo di comunità e villaggi nei paesi di accoglienza, somiglianti nelle abitudini e nelle tradizioni a quelli della madre patria.
Quali furono le mete?
Le mete inizialmente preferite furono la Francia, l’Austria, la Germania e la Svizzera, mentre negli anni Novanta dell’Ottocento gli italiani seguirono le rotte transoceaniche della «old migration» degli emigranti irlandesi e inglesi.
Da non dimenticare è, inoltre, l’importanza che ricoprirono negli ultimi decenni dell’Ottocento l’aumento esponenziale del consumo di periodici (conseguente allo sviluppo dell’editoria) e l’invenzione della radio, contribuendo a creare in coloro che erano rimasti una percezione, seppur minima e parziale, del mondo al di fuori dei confini nazionali.
Provvedimenti nazionali per la sicurezza del migrante
Il 1901 è una data cruciale per il decollo dell’emigrazione italiana grazie all’emanazione della legge n. 23 del 31 gennaio che, riconoscendo la necessità di tutelare il viaggio migratorio, dette luogo al «Commissariato generale a tutela dell’emigrazione» che, come prima iniziativa, pretese la «patente di vettore» per gli agenti delle compagnie di navigazione. L’intervento dello Stato conferì un nuovo slancio alle partenze che fra il 1900 e il 1914 aumentarono con una media annua di oltre 600.000 unità raggiungendo nel 1913 le 873.000 uscite.
I numeri e le dinamiche dell’emigrazione italiana in Francia nei secoli
Riconoscendo le antiche origini dei flussi migratori in entrata e in uscita fra i due paesi, ci limiteremo a riassumere il quadro storico nel periodo che va dal XVIII al XXI sec. Se nella prima metà del Settecento erano principalmente i mercanti italiani di spezie, tessuti e seta a recarsi periodicamente in Francia in occasione delle fiere commerciali della Champagne, a partire dalla seconda metà del secolo prevalsero i professionisti legati alle attività finanziarie e al prestito di denaro, come gli usurai e i banchieri dapprima lombardi, poi toscani, liguri e veneti. Ebbero luogo così, per la prima volta, episodi di xenofobia nei confronti degl’italiani e l’acredine crebbe in seguito all’esodo italiano ottocentesco.
Accanto a tali attività, decisamente più visibili poiché sostenute dalle stesse autorità pubbliche francesi, si affacciarono nell’Ottocento altri tipi di mestieri come i musicisti, gli ambulanti, i vetrai, i suonatori di organetto, le modelle, i lustrascarpe e gli spazzacamini.
Se quindi fino alla metà dell’Ottocento la presenza italiana in Francia era stata «scarsamente percepita» (cit. Corti) da quel momento in poi si parlò di vera e propria invasione, come descrive lo scrittore Bertrand Louis nell’omonima opera «L’invasion». Nel prospetto di Altreitalie del gennaio-giugno 2003, si afferma infatti che la presenza degli italiani in Francia, a cavallo fra il XIX e il XX sec., aumentò esponenzialmente passando dalle 163.000 presenze del 1876 fino a costituire, nel 1911, l’1% dell’intera popolazione francese e il 36% del totale degli immigrati, confermandosi come il primo popolo straniero residente sul territorio.
Una questione economica ma non solo…
Fra i due conflitti mondiali furono sempre di più gli italiani che fuggirono in Francia più o meno legalmente, in fuga dalle persecuzioni fasciste ma anche in risposta all’aumento di politiche migratorie transoceaniche restrittive volte a dissuadere, se non a impedire, il loro arrivo; primo fra tutti l’«immigration act» statunitense del 1917 che imponendo un «literacy requirement» puniva principalmente gli italiani in maggioranza analfabeti.
Tipologie migratorie e inclusione sociale nel XX sec.
Se negli ultimi decenni dell’Ottocento ad emigrare furono essenzialmente gli abitanti del nord e centro/nord Italia, fra le due guerre giunsero in massa anche dalle regioni centrali e dal sud della penisola.
Gli italiani, nel cruciale periodo di transizione fra le due guerre, costituirono per la Francia una preziosa manodopera a basso costo, contribuendo anche all’aumento del tasso demografico del Paese, che soffriva di un calo della natalità dovuto alle ingenti perdite della guerra e alla «grande depressione» che afflisse l’occidente del mondo negli anni venti del Novecento. Durante il fascismo e nel corso del Seconda guerra mondiale, il numero di esiliati politici italiani in Francia aumentò e molti di loro combatterono nelle frange partigiane assecondando la naturale inclusione sociale.
L’inflessione dei flussi in uscita
Nei decenni che interessarono gli anni 50 e 60 del Novecento, lo sviluppo economico italiano migliorò la qualità della vita provocando una diminuzione degli espatrii e trasformando il paese, da terra di emigranti, in destinazione migratoria. L’unica eccezione fu la «doctrine Mitterrand» della metà degli anni Ottanta a seguito della quale furono molti gli attivisti politici e terroristi italiani di estrema sinistra che raggiunsero la Francia.
Una nuova ondata migratoria: «la fuga dei cervelli»
Da una decina di anni, però, l’Italia è oggetto di una nuova emigrazione, diversa da quelle precedenti e comunemente identificata con l’appellativo «fuga dei cervelli». I numeri della nuova ondata migratoria italiana comparati a quella della fine dell’Ottocento non sono enormi (nel 2012 l’ISTAT stimò 78.941 uscite) ma sono comunque significativi dell’andamento economico del Paese. Infatti, in assenza di guerre, le ragioni che inducono l’atto migratorio sono generalmente di natura economica. Nel caso italiano possiamo notare: il mancato aumento del P.I.L (P.I.B francese), l’alto tasso di disoccupazione giovanile (che nel 2014 è arrivato al 42.3 %), il fenomeno del precariato e i tagli alla ricerca. Tutto ciò ha condotto all’emigrazione i così detti «cervelli», giovani laureati con l’ambizione di voler trovare un’occupazione lavorativa inerente al proprio ambito di studi o di contribuire professionalmente all’evoluzione della ricerca. Tali presupposti sono stati chiaramente recepiti dai paesi riceventi che non si sono fatti scappare l’opportunità di avvalersi di laureati altamente specializzati. Questi giovani sono generalmente figli di una classe sociale medio-alta in grado di offrire loro un aiuto economico iniziale per «trovare fortuna altrove». Nel caso dei «cervelli» l’obbiettivo non è la sopravvivenza, assicuratagli dalla famiglia, ma l’auspicata carriera lavorativa, ovvero il risultato di investimenti economici e ambizioni genitoriali. La sfavorevole congiuntura economica, l’instabilità politica che ha visto dal 2008 ad ora il cambiamento di quattro governi, le dinamiche clientelari, i favoritismi e la mancanza di trasparenza nei concorsi pubblici, hanno creato fra i giovani una generalizzata sfiducia nei confronti delle dinamiche sociali e delle istituzioni politiche del Paese.
…e non solo!
Dimostrazione ne è il fatto che negli ultimi anni è stato riscontrato un forte aumento dell’emigrazione di giovanissimi che, a conclusione degli studi secondari, hanno scelto il nord Europa, il Canada o l’Australia come luoghi in cui svolgere la prima esperienza lavorativa, senza nemmeno concedersi un giorno da disoccupati a casa propria. La partenza rappresenta perciò l’unica via percorribile verso una realizzazione professionale e per il raggiungimento di un’autonomia dal bilancio finanziario delle famiglie (messo continuamente a rischio da licenziamenti improvvisi e blocchi pensionistici).
Le ultime stime
Seppur secondo il Rapporto Migrantes 2015 la Francia si trovi in seconda posizione rispetto al Regno Unito come meta privilegiata dai laureati italiani, nelle statistiche AIRE relative alla domanda di residenza estera (in concomitanza della ricerca o dell’ottenimento di un lavoro) è, in realtà, solamente in quarta posizione dopo Regno Unito, Germania e Svizzera. È quindi da immaginare che la crisi economica abbia colpito anche la Francia che rimane, comunque, una delle mete storicamente e culturalmente privilegiate dal popolo italiano.
LINK:
Link all’insieme del Dossier bilingue «Odissea italiana». Storie e analisi dell’immigrazione italiana in Francia. 1860-1960. Tutti i contributi.
Presentazione generale del Dossier e traccia dei contenuti
Cento e più anni di storia italiana,sofferta e poco conosciuta, trattati meravigliosamente da « Altritaliani » in modo semplice e sincero da farci inorgoglire ci da coraggio e forza morale per riconquistare in Europa l’antico ruolo… . Bravi, grazie e buon lavoro! Cordialmente Francesco Fabiano. Ps: dove comprare il « Dossier » cartaceo? Inoltre sono interessato alla permanenza in Francia di Ugo Foscolo e Giuseppe Mazzini. A chi rivolgermi? Ossequi vostro lettore Francesco