Tra la punta del Mesco e quella di Montenero, in provincia di La Spezia (vedi cartina nel portfolio), si stende una delle zone più affascinanti per cui va giustamente famosa la Liguria, le Cinque Terre.
Al passeggero che giunge in macchina da Genova si apre davanti uno scenario incantato: rocce a strapiombo emergono da un mare verdissimo e ovunque sono agavi, mirti, corbezzoli, case in mezzo a minuscoli orti fra profumati alberi di limone e saporiti fichi d’India. In fondo si accovacciano i cinque Paesi che caratterizzano in modo unico il paesaggio e ne danno il nome, nelle strette valli formate dai torrenti che rotolano dalle montagne : Riomaggiore con il suo porticciolo, la ciazza aperta al mare dove si stendono le reti e il pesce viene messo a seccare mentre i gatti dormono sulle barche cullati dallo sciabordio delle onde che si infrangono sui muri delle case. Da qui i più romantici, ma dotati di buone gambe, possono raggiungere Manarola attraverso uno dei più celebri sentieri d’Italia, la Via dell’Amore. Manarola con il suo scenario di luci e ombre, sollecita da sempre la fantasia e la mano degli artisti.
Una lunga scalinata, la Lardarina, fatta di 33 rampe e 382 gradini, bisogna salire invece per raggiungere Corniglia, ma lo spettacolo che si gode quando si è arrivati in cima ripaga di ogni fatica. Ci si sente sospesi in una dimensione irreale : azzurro di cristallo il cielo e verde-azzurro il mare, le poche case semi-abbandonate sono dominio delle lucertole che si riscaldano al sole. Vernazza e la sua chiesetta nella baia si distendono pigre fra rocce stratificate fin dove l’uomo ha iniziato a terrazzare e piantare la vite. Chiude il magnifico arco Monterosso con i suoi stretti “caruggi” e la bella spiaggia, meta affollata di turisti in ogni stagione dell’anno.
Alle spalle e attorno a questi paesi nati da un sogno di bellezza (e di grande fatica), è il regno delle euforbie, di agavi e vigne piantate sulla montagna, (tutta la zona è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità). Uno spettacolo da mozzare il fiato quando, arrivati dal promontorio di Fegina, dopo Monterosso, ci si volta a contemplare le Cinque Terre degradanti in una costa a rias. Ovunque si nota la trasformazione operata con titanica costanza da un popolo di pescatori che si è fortemente voluto a vocazione contadina. Corre il pensiero al lavoro di generazioni e generazioni di liguri, che da quasi un millennio hanno spezzato la roccia per costruire i muretti a secco a reggere il grandioso terrazzamento e rendere produttiva una zona praticamente incoltivabile attraverso una fatica disumana paragonabile alla costruzione delle piramidi d’Egitto.
I terrazzi delle Cinque Terre sono fasce non più larghe di 5 o 6 metri, ma nelle zone più strette non arrivano a due, l’humus si è compattato con i detriti della roccia, sterpaglie e aghi di pino. La formazione di questo sottilissimo strato di terra ha permesso la coltivazione del vitigno roccese moltiplicatosi poi con il metodo della propaggine. Ogni volta che le acque portano giù i muretti e l’humus viene dilavato, c’è da recuperare la terra, ricostruire i muri franati, sempre col pericolo di mettere un piede in fallo e precipitare nel vuoto. In tempo di vendemmia l’uva viene portata nelle ceste inerpicandosi sugli erti, strettissimi sentieri costruiti per portare il prodotto fin nelle cantine dei paesi. Ma che vini poi da queste rocce! Erano già famosi e venivano commerciati fin dal 1200, quando navi genovesi li trasportavano in Inghilterra e in Olanda. Dei vini delle Cinque Terre ne parlarono Dante, Petrarca, Boccaccio, preziosi testimoni dei loro raffinati bouquets. Vino da amatori, non è mai divenuto prodotto di mercato, si differenzia di anno in anno e da produttore a produttore. Del resto chi dimentica, dopo averlo assaggiato, il delicato ed intenso profumo dello Sciacchetrà servito con la crostata di mele che ne esalta il sapore di viola, “quel fiero Sciacchetrà che si pigia nelle cinque pampinose terre” ? (G. D’annunzio – Le Faville del maglio).
Oggi la situazione economica delle Cinque Terre è ben diversa dal passato: i contadini sono stati assorbiti soprattutto dal terziario e il lavoro agricolo, poco produttivo, è divenuto molto più precario. Nelle zone più impervie l’inesorabile avanzare del bosco ha distrutto il lavoro di secoli. Colpi mortali alle coltivazioni sono stati inferti, negli ultimi tempi, da frequenti e funeste alluvioni che hanno praticamente sconvolto l’equilibrio geo-morfologico di scorrimento dell’acqua piovana a Monterosso, Corniglia, Riomaggiore, con frane di vaste aree di terreno e di roccia. L’abbandono della coltivazione nelle Cinque Terre è un dato di fatto forse irrimediabile, ma la loro salvaguardia dalle orde di turisti che ciclicamente invadono un territorio fragilissimo è oggi ugualmente importante. I collegamenti via mare ed il potenziamento della ferrovia rispondono al desiderio di lasciare a questi luoghi meravigliosi le loro caratteristiche di piccolo paradiso dove la natura riesce ancora ad avere la meglio.
Francesca Graziano
I sentieri delle Cinque Terre: https://www.cinqueterre.eu.com/it/cinqueterre-sentieri
(fonte delle foto: Pagina Facebook Cinque Terre Italia)