La scomparsa di Lea Pericoli, icona del tennis italiano

L’unica stravaganza nei suoi 89 anni di vita era stata quella d’essere nel 1955 a Wimbledon l’unica giocatrice in minigonna con le mutande rosa con i pizzi (modello dello stilista Ted Tinling, oggi al “Victoria & Albert Museum”): scandalose sia per suo padre che le aveva detto di tornare a lavorare come dattilografa, sia per la violazione del bianco, tuttora obbligatorio nel tempio del tennis londinese, nonostante che oggi la fantasia nei colori della lingerie sia tollerata.

Era nata a Milano nel 1935, poco prima della guerra d’Etiopia dove, dopo la fine di questa, il padre aveva portato la famiglia creando ad Addis Abeba una ditta d’importazioni e dove, tornatavi nel 1944 da Asmara, era entrata nel primo campo da tennis. Dopo le scuole a Nairobi dalle monache irlandesi e in Svizzera, nel 1952 in vacanza in Versilia aveva conquistato le prime vittorie con la racchetta (di legno fino a quasi due decenni dopo: almeno 400 grammi di peso) e, dopo essersi affermata nei “juniores” anche nel 1953, dal 1954 aveva iniziato quei successi nei singoli, doppi (in particolare con Silvana Lazzarino: 3 vittorie finali a Montecarlo), e doppi-misto nei campionati italiani e internazionali che nel 1975, quando si era ritirata, erano arrivati: nei singoli a: 13 vittorie finali e 14 semifinali; nei doppi: a 13 vittorie finali (ultima sua partita nel 1975 a Montecarlo) e 12 semifinali; e nei doppi-misto: a 4 vittorie finali (di cui l’ultima nel 1959 a Istanbul con Pietrangeli) e 5 semifinali.

Ritiratasi dal gioco a 40 anni, è stata la campionessa del modello di signorilità indipendentemente dai soldi avuti o non avuti com’era stato per i giocatori della sua generazione (Gianni Clerici negli anni 50 andava a giocare a Wimbledon in una “500” o auto simili non di prima mano!); e quelli non avuti neanche, a quei tempi, dalle pubblicità e sponsorizzazioni; ma, a prescindere da questi, si era costituita quelle risorse interne per cui Montanelli l’aveva assunta nel 1975 a Il Giornale (per scrivere non solo di tennis ma anche di moda, dopo che gli aveva detto: “mettimi alla prova”, e per essergli d’aiuto nei momenti di depressione), e per cui era stata assunta anche per le trasmissioni a Telemontecarlo e alla RAI.

I titoli dei suoi libri: “C’era una volta il tennis”, “Questa bellissima vita” e “Mal d’Africa riflettono perfettamente la sua storia poiché il primo riflette lo spirito di questo sport per la sua generazione; il secondo riflette quello suo di fronte alle partite della vita, comprese quelle vinte contro il cancro per cui Veronesi l’aveva assunta per una campagna di prevenzione; il terzo nasconde una nostalgia rimasta anche dopo che i successi non solo nel tennis avevano continuato a tenerla lontana da lì, ma tuttavia, ne aveva conservato il sole negli occhi, che opponeva ai grigiori alterni sia di Milano dove si era trasferita, sia di Wimbledon dove le formalità e i riti costringono ancora di più a ritenere che le partite con quelle palle e nella vita si vincono a tappe (quelle degli almeno 6 games e 2 sets del match).

Ancora oggi la WTA la considera un’“icona”, e lo era non solo per quelli della sua generazione (come Gianni Clerici che le aveva riservato il titolo di “divina” ), o quelli della generazione immediatamente successiva, come Panatta, ma pure per quella ritiratasi più di recente: Pennetta, Vinci o Schiavone, o Sara Errani ancora con tanti successi in campo.

“Un’icona”, dunque, per tre generazioni, da Clerici che scriveva su “Il Giorno” e “La Repubblica” allora concorrenti a Montanelli. Del resto il tennis della vita si gioca sia a destra che a sinistra, e sia a rete che a fondo campo dove si corre con la stessa stima degli avversari e dei giocatori o giocatrici che ancora negli ultimi tempi Lea Pericoli avvicinava al Foro Italico senza allontanarsi a lungo dal posto privilegiato (occupato sempre con discrezione ed eleganza) di consegnatrice dei trofei, e senza sostituirsi ai rispettivi allenatori ma dando quel di più di classe nella tecnica e nello stile, che è ancora tramandato da chi l’ha da lei conosciuto.

Lodovico Luciolli

Article précédentRétrospective Pietro Germi à la Cinémathèque française. Le programme.
Article suivantExposition: Naissance et renaissance du dessin italien, à la Fondation Custodia
Lodovico Luciolli
Altri articoli ALTRITALIANI dello stesso autore

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.