Un’altra tappa si aggiunge alla mappa poetica di Matteo Bianchi che continua il suo pellegrinaggio intorno all’amore senza affrancarsi dagli insegnamenti dei suoi maestri: in primis da quelli di Camillo Sbarbaro da cui mutua il titolo stesso del libro. Fortissimo (uscito nella collana Cleide della Minerva Edizioni a febbraio 2019 e già vincitore a giugno del premio Maconi-Giovani), come dice lo stesso autore, parte da presupposti opposti ma non contrari a quelli di Pianissimo del citato Sbarbaro ed è, a tutti gli effetti, un omaggio alla sua opera.
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In questa rubrica ci siamo già occupati di Matteo Bianchi, nato a Ferrara nel 1987. Per visualizzare l’articolo precedente dedicato alla sua raccolta L’altra metà del letto, consultare la biografia dell’autore o altri riferimenti, accedere al link: https://altritaliani.net/matteo-bianchi-tra-ferrara-e-venezia-poesia-e-un-soffio-sui-narcisi/
Fortissimo
Si potrebbe riconoscere in Matteo Bianchi, nonostante la giovane età, il nuovo poeta dell’amore, colui che di questi tempi non si preoccupa di sbilanciare la propria poetica dalla parte del più abusato dei sentimenti, anche addentrandosi in coinvolgenti quanto dettagliati resoconti di sviluppi – poco importa se più o meno personali – che il vissuto quotidiano, con tutta la sua carica ossimorica di monotonia mista a passione, contiene e mette in scena.
Già ne L’altra metà del letto avevamo evidenziato questa predisposizione dell’autore alla narrazione amorosa che lo portava a scandagliare la questione sotto vari aspetti. E se, in quella raccolta, non era solo la donna amata la centro del dire poetico qui, in Fortissimo, si amplia la dimensione del canzoniere amoroso, trasformandosi anche il dettato stilistico, diventano d’improvviso una prosa poetica che si assesta in tutta la prima parte del libro, come strumento non solo formale ma sostanziale: la sequenza diaristica di resoconto di un innamoramento e del suo percorso, che va di pari passo con la crescita interiore dei protagonisti, sembra la più adatta a fornirci la giusta angolatura con cui inquadrare la finestra sentimentale da cui si affacciano le intenzioni di Bianchi. Mai solamente personali, mai solamente ingenue, mai solamente descrittive le prose di cui parliamo ci sembrano dar corpo a una sequenzialità di predisposizioni che tende alla vertigine passionale e che, se pure si riveleranno in massima parte deludenti, sono in grado di segnare il passo oltre che al senso di precarietà anche alla necessità vitale di distaccarsi dal vortice inglobante del sentimento.
In questa direzione va certamente letta la scelta di un andamento che, pur essendo sostanzialmente lirico, renda conto di una possibilità di riflessione più ampia e piana, più pacata e trasparente dove il flusso dei pensieri non trovi inciampi in formule retoriche opacizzanti. Anche il riferimento alle figure archetipe di Orfeo e Euridice, di Psiche e Amore, di Prometeo, Ulisse, Orlando sono linee guida necessarie per addentrarsi in alcuni passaggi dell’opera che, in un continuo lavoro di sintesi tra mimesis e invenzione, provano a presentare il consuntivo non solo poetico ma esistenziale di una continua ricerca di conoscenza volta a costruire memoria, a farsi pietra di comprensione, a generare un’etica di genere che mostri la cifra morale dell’autore.
Anche nella seconda parte del libro Mezzo piano, è possibile riconoscere, questa volta con un ritorno alla poesia vera e propria, la visione di Bianchi se pure più nel desiderio di apertura verso l’altro da sé. E come dice giustamente Roberto Pazzi, in una sua nota di lettura alla raccolta, che ci piace citare: “Bianchi si lascia andare e insegue le sue visioni, il suo vissuto associativo, con la stessa libertà del fumo delle tante sigarette. Non chiude i suoi ricordi dietro una griglia rigorosa, ma si espandono oltre il suo io lirico: Voi lo sapete, amici, ed io lo so./Anche i versi somigliano alle bolle/di sapone; una sale e un’altra no. Le pigre e incerte volute del fumo salgono come le bolle della famosa lirica di Saba e fanno del libro un diario di ciò che non si potrà mai catturare: le emozioni di chi scopre la potenza dell’amore e si dibatte tra il dolore della dipendenza e la gioia dell’appartenenza. Mai quanto in queste pagine, frante e al contempo musicali, sembra avverarsi quella definizione della poesia che dà Paul Valery: La poesia è un’esitazione prolungata tra il senso e il suono.
Alcuni testi da: Fortissimo
15 FEBBRAIO (Venezia e una ragazza)
Ora come potrei rivolgerti la parola, che mi tiro a lustro per sopperire al vuoto nello specchio e rivedo sul nastro l’istante in cui, durante il nostro primo bacio, mi hai buttato le braccia al collo, un sabato sera ubriaco. Chissà come campa chi è sopravvissuto al patibolo e ha salvato il tutto a scapito di una parte, o cara storpiatura. Non volevo restare indietro: tu ambiziosa e sgombra, io bisognoso delle tue cure. Rischiavo di versare troppo sangue e la mia voce non doveva finire al vento, non poteva: ci riconoscevamo a stento in mezzo al mercato del pesce a Rialto nella bora, nella solita bufera neanche sapevo perché fossi lì.
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1 APRILE
Finalmente vi ho fregati. Ho compreso che dopo il segmento – la retta, se vi fa stare meglio – ha senso solo la circonferenza; ho sentito sotto i piedi che la terra è tonda e gira su se stessa come me, a differenza vostra che dentro credete sia piatta. Dopo la prima non ci potrà essere la seconda, la terza e via dicendo, ma soltanto l’unica che chiude il cerchio.
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29 APRILE
Comunque sia, Euridice, ogni cosa succede per sempre dentro di noi, ma c’è chi non se ne cura, chi non riesce a notarlo. C’è chi toglie il respiro all’eternità di un momento, non riconoscendolo, e lo priva così della dignità. Comunque sia, Euridice, non svanirò in un gesto, tanto meno in un canto. Mai. Io resto e resterò persino muto, se sarà necessario. Metto sul piatto della bilancia ciò che mi è più caro, sapendo che non mi abbandonerà, ma se anche fosse, che è servito alla mia Euridice. Se Orfeo fosse uscito dal buio a mano con lei, non avrebbe avuto più motivo di cantare, ma l’avrebbe salvata dagli Inferi. A me non interessa compensare. Orfeo si è girato poiché non ci credeva abbastanza – codardo – io sì.
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Da Mezzo piano. Poesie 2008-2018
Si allontanavano alla svelta ammutoliti dal boato.
La menzogna rompeva gli argini
dietro di loro
e l’incertezza copriva il viale,
le chiome inermi degli alberi, il cielo.
Loro correvano a chiudere le porte
di casa, giravano altrove
lo sguardo, alzavano le spalle.
E si perdevano incantati
davanti alle rispettive tv,
ma nei salotti sbagliati.
La menzogna dilagava e s’increspava
la pelle di ogni misero orizzonte,
in caso un dubbio fosse strisciato sotto l’uscio:
un sibilo, uno soltanto
li avrebbe traditi.
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«Nelle serate sotto quel balcone
temevo i tuoi occhi oltre la luna
aprire la strada ai bravi;
l’incontravo e più non sapevo
dove si sarebbero calati».
(Dentro le parole della Storia).
«Oggi, a distanza di un sorso mortale
sapessi di averti qui accanto,
accetterei di sognare il nero,
pur di guardarti dormire ogni tanto».
Romeo durava nel sonno,
ma la morte non fu vana.
Bologna, 2 febbraio 2020
Cinzia Demi
P.S.: “MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi(at)gmail.com