Napoleone dal maggio 1814 al febbraio 1815 non poteva accontentarsi, all’Elba divenuta con il Trattato di Fontainebleau suo Principato per l’esilio, d’essere stato inizialmente accolto bene dalla popolazione che ne faceva un prestigio, e d’occuparsi dello sviluppo dell’isola (delle miniere di ferro e marmo, di quello agricolo con le forestazioni, e delle infrastrutture: dalle vie di comunicazione alla rete idrica, incluso l’arrivo d’acqua potabile a Portoferraio). Non poteva, insomma, accontentarsi di “miniaturizzare” sull’isola l’Impero, di cui conservava secondo il trattato il titolo insieme alla moglie Maria Luisa d’Austria, alla quale aveva riservato il 1° piano della Palazzina dei Mulini sulle pendici di Portoferraio dove s’era installato.
Tuttavia la preferenza d Maria Luisa per Vienna insieme al figlio di tre anni Napoleone II, imposta dal padre Francesco I, e le altre voci che giungono a Napoleone da Vienna (tra cui quella di Talleyrand lì al Congresso: “lui vivant, nous ne serons jamais tranquilles”), nonché il timore di d’essere giudicato come “il Vesuvio troppo vicino a Napoli”, cui consegue quello d’un suo trasferimento in un’isola molto più lontana, accelerano i suoi pensieri di fuga. Anche nel fresco che cerca d’estate nella Villa San Martino, e anche durante le visite della sorella Paolina Borghese e della madre Letizia: “ce qui doit être sera”. Anche, infine, dopo le distrazioni mondane fornitegli lì da Paolina, e quelle altrimenti mondane con le donne dell’isola della cui salute s’interessa ugualmente. La visita che gli fa all’Elba l’ex amante polacca Maria Walewska appare allora come una luce prima di altre scintille.
E mentre sull’isola aumentano le rivolte contro le tasse da lui imposte per lo sviluppo (in particolare ai pescherecci, e in assenza delle sovvenzioni promessegli a Fontainebleau), aumentano anche con poco successo i controlli sull’Imperatore, che si fida più degli inglesi sul posto (ritenendoli più leali di altri avversari) che degli intermediari con Murat (dopo il suo tradimento come cognato e Re di Napoli con gli austriaci) o di altri che gli riferiscono le situazioni nei rispettivi posti (tra cui lo zio Cardinale Flesh, che egli aveva assegnato a Lione dopo averlo giudicato troppo autonomo come Capo della Chiesa francese).
La lealtà degli inglesi con Napoleone è tale per cui Lord Castlereagh, Ministro degli Esteri, dice all’ufficiale britannico Neil Campbell, nominato capo della sua scorta all’Elba, di lasciargli la massima libertà di movimento. Inoltre gli ufficiali inglesi si uniscono tra gli ospiti di Napoleone a quelli francesi, allo stesso modo in cui la marina inglese di Campbell affianca quella francese (“L’inconstant” su cui l’Imperatore ripartirà) al largo del porto.
E per Campbell il controllo costante su Napoleone è meno necessario che per il Generale Mariotti, inviato a questo fine come Console a Livorno da Talleyrand e a capo d’una rete d’informatori (commercianti d’olio e altri), che non sono infine neanche sorpresi dagli addii dell’Imperatore il giorno della vigilia della sua partenza. Campbell allora anche quel giorno può dedicarsi, più che ad evitare la fuga dell’Imperatore, alle feste e mondanità a Lucca a Firenze, dove l’incontro con la Contessa Miniaci lo rende sempre più assente dall’Elba.
“La maîtresse italienne” del giovane colonnello inglese, titolo del romanzo di Jean-Marie Rouart (éd. Gallimard, 2024) fa allora dire a Paolina Borghese che se la Contessa avesse avuto il naso più lungo la sorte del mondo sarebbe stata diversa, e consente all’autore (anche di Napoléon ou la Destinée, éd. Gallimard, 2012) di descrivere gradevolmente sia l’Elba che la società di Firenze: attraente non solo per gli inglesi che (come Campbell e Lord Bentinck da cui abita) escono dai salotti per giocare a whist o per smaltire per le strade da Santa Croce a Palazzo Pitti l’alcool quando le nobildonne preferiscono gli Orsini e altri nobili cognomi a quelli loro, ma attraente pure per i francesi come Paolina e la sorella Carolina Murat che vi moriranno.
Un romanzo che è un altro bell’omaggio alla storia d’Italia e alla Toscana di quest’Accademico di Francia.
Lodovico Luciolli
LE LIVRE :
La maîtresse italienne
de Jean-Marie Rouart
Editions Gallimard 2024 – p. 176 – 19 € (existe aussi en format numérique)
Résumé :
Belle, jeune, légère, la comtesse Miniaci est au cœur d’une énigme historique de première grandeur. Quel fut son rôle dans l’évasion épique de Napoléon de l’île d’Elbe ? Sans elle, l’Empereur n’aurait pu tromper la surveillance de tous ceux qui guettaient le moindre de ses mouvements. Particulièrement le jeune colonel Neil Campbell, chargé par les Anglais d’empêcher sa fuite. Dans quelle mesure la passion de l’officier britannique pour la belle Florentine a-t-elle permis de déjouer les plans des puissances alliées engagées au congrès de Vienne dans des négociations aussi âpres le jour qu’agrémentées, la nuit, de fêtes, de complots et d’intenses échanges amoureux ? Cette passion torride entre le colonel et la séduisante comtesse ne fut-elle pas un piège ? Et tendu par qui ? Seule certitude, sans la comtesse Miniaci la formidable épopée des Cent-Jours, l’invasion d’un pays par un seul homme, n’eût pas été possible.
L’AUTEUR :
Romancier et biographe, Jean-Marie Rouart a été distingué par de nombreux grands prix littéraires comme l’Interallié pour Les feux du pouvoir, le Renaudot pour Avant-guerre et le prix Prince Pierre de Monaco pour l’ensemble de son œuvre. Il a été élu à l’Académie française en 1997. Il a notamment publié récemment aux Éditions Gallimard Une jeunesse perdue, La vérité sur la comtesse Berdaiev, Mes révoltes et Augustin Rouart. Entre père et fils.
ENTRETIEN AVEC L’AUTEUR SUR SON LIVRE