Durante la Prima Guerra mondiale, dato che gli uomini validi furono quasi tutti chiamati alle armi, rimasero scoperti posti di lavoro negli uffici, nelle fabbriche, nelle industrie tessili, persino in quella bellica e nella produzione agricola.
Le donne, dopo un temporaneo addestramento, furono pronte a sostituire gli assenti, cosicchè la manodopera femminile crebbe considerevolmente, passando da 23 000 unità a 200 000. I salari però s’impoverirono perchè le lavoratrici venivano pagate di meno ed i sacrifici, specie per chi aveva famiglia, crebbero a dismisura fino a che si verificarono gli scioperi, specie nel Milanese e nel Novarese.
Scesero a protestare le donne delle fabbriche tessili, delle manifatture, delle risaie e dei tabacchi. Il carovita si fece sentire più che mai e la situazione economica peggiorò (cfr. Manoscritti inediti di Luigi Quadri, riportati nel Diario Massese della Grande Guerra di Montanari- Casadio).
L’anno cruciale fu il 1917. Il primo maggio comparvero prima le scritte: “Abbasso la guerra! Abbasso i preti! Abbasso la borghesia!” e poi tre giorni dopo, un corteo di 500 donne marciò verso il municipio, scontrandosi con i carabinieri che cominciarono ad arrestarle. Avevano avuto audacia e le più scalmanate pagarono con il carcere, ma almeno le razioni di farina, che cominciava a scarseggiare, non diminuirono.
Ben più grossi sacrifici però furono loro inflitti, come il dono delle fedi d’oro per aiutare la patria in un momento così difficile di crisi. In cambio ricevettero fedi di ferro che portarono in sostituzione di quelle autentiche con molto orgoglio. Io stessa sono testimone di questa loro volontà di regalare quanto di più prezioso esse avessero: la nonna materna, Maria Stella, a me che, molti anni dopo, le chiedevo il perchè della sua fede scura ed annerita che continuava a portare al dito, rispetto a quella splendente della mamma, mi spiegava che era perché aveva risposto generosamente alla patria che le aveva chiesto questo sacrificio e le si riempivano gli occhi di lacrime quando poi aggiungeva che per essa il suo Stefano era morto, mentre combatteva ai piedi del S. Michele, nel 1916. Di lui non rimase più nessuna traccia dopo essere stato colpito da una granata.
La patria allora era un nome sacro e rispettabile. Dolori, tragedie e ristrettezze furono le conseguenze di questo conflitto bellico che all’inizio aveva entusiasmato quasi tutti al pensiero di chissà quali nobili gesta di valore avrebbero compiuto gli Italiani. Le donne furono però coraggiose, all’altezza della drammatica situazione che andava esplodendo. Il volontariato funzionò a meraviglia e confermò mirabili esempi di assistenza e di partecipazione umanitaria, specie nell’ambito dell’infermieristica.
Nel corso della guerra, che fu ambigua e difficile, il corpo delle Crocerossine professioniste, già costituito nel 1908, crebbe da 4 000 a 8 500 unità. Grazie al loro intervento sui fronti stessi di guerra, nelle zone più crudamente martoriate, esse prestarono la loro opera di cura e di assistenza, spesso affrontando l’estremo sacrificio.
Accanto a quelle ben addestrate c’erano le infermiere volontarie, prima della Scuola Samaritana di Roma, sorta nel 1913, e poi diffusa in tante altre città d’Italia. La loro regolamentazione si ebbe solo nel 1925 con un decreto-legge che conferiva il diploma di Stato alle infermiere volontarie che avevano prestato servizio durante tutto il conflitto, prima fra tutte la duchessa d’Aosta.
Tra il 1915 e il ’18, ben 174 furono le donne decorate al valor militare per azioni eroiche compiute (una con medaglia d’oro, quattro con medaglie di argento e di bronzo, ventotto con medaglie d’argento, centoquaranta con medaglie di bronzo).
Più che altro furono sorelle spirituali dei soldati. Si legge nell’epigrafe di Margherita Kaiser Parodi (n.d.r. infermiera volontaria della Croce rossa italiana) al cimitero militare di Redipuglia”:
“A noi tra bende fosti di carità l’ancella, morte tra noi ti colse, resta con noi, sorella.”
Vi traspare tutta la tenerezza dei soldati lontani dai loro affetti familiari e vicini a questi angeli di sollecitudine da cui ricevevano spesso, oltre che assistenza, affetto.
Tra i feriti nel 1915 c’era pure lo scrittore Corrado Alvaro, autore di Poesie grigioverdi. Aveva poco più di vent’anni ed era nella linea del fronte San Michele del Carso.
Colpito gravemente ad ambedue le braccia passò lunghi mesi di convalescenza nell’ospedale militare di Ferrara e poi, nel tentativo di recuperare il braccio destro, che non guarì mai perfettamente, nell’Istituto Ortopedico del Prof. Bastianelli. Conobbe in quell’occasione Laura Babini di Bologna che l’assistette affettuosamente e che divenne, nel 1918, sua moglie (cfr.C. Alvaro, Cara Laura. Lettere. Sellerio, Palermo,1995).
C’era un altro modo per le donne di fare volontariato per aiutare i soldati nelle trincee: diventare “madrine di guerra”, cioè tenere corrispondenza con i combattenti al fronte. S’erano fatti promotori dell’iniziativa presso le giovani italiane alcuni giornali dell’epoca come “La Donna” che fornivano la lista dei combattenti che avevano chiesto di ricevere corrispondenza, e talvolta grandi associazioni femminili emancipazioniste. Matilde Serao plaude a quest’esercizio di dovere patriottico, che molte volte travalicò il patriottismo per divenire legame serio di affettuosa amicizia personale fino ad approdare al matrimonio.
Le esperienze femminili durante il periodo della Grande Guerra furono molteplici: alla guida dei mezzi di trasporto, negli uffici, telegrafici e di informazioni segrete, persino nelle fabbriche di armi rivelarono grandi capacità di amministrazione e di applicazione al lavoro che fino ad allora erano ignote. Si resero consapevoli della loro resistenza e tenacia e quindi segnarono punti a loro vantaggio.
Tuttavia lo stesso, a guerra finita, furono licenziate in massa e dovettero lasciare i loro uffici ai reduci di guerra. Crebbe però la stima nei loro confronti e la demarcazione netta tra lavoro maschile e femminile si attenuò. Anche in Parlamento, a consultare gli archivi del tempo, ci fu una presa d’atto della grande prova che le donne avevano dato nel sostituirsi ai maschi nel grave pericolo della patria. Si legge negli Atti Parlamentari del 1919, Camera dei Deputati, Discussione della Legge 8 marzo 1919 (legge sull’autorizzazione dell’abrogazione dell’autorizzazione maritale e sull’accesso delle donne alle professioni).
Intervento Abozzi:
La guerra or non è molto finita con la vittoria delle nostre gloriose armi, ha dimostrato che la donna italiana ha saputo acquistare altissima coscienza di se stessa anche fuori dalla famiglia. Essa ha dato prova di fulgido eroismo nelle diverse opere di assistenza civile, ha inteso gli aspri doveri dell’ora tremenda e li ha saputi nobilmente compiere. La rappresentanza nazionale sarà quindi orgogliosa di dimostrare riconoscenza verso chi per la gloria d’Italia ha dato il suo cuore, il suo braccio, quanto di più caro poteva avere.
Ciò nonostante, si ritenne che le donne non potevano avere il voto politico, ma che dovevano “dignitosamente ritirarsi in disparte e riprendere la loro vita domestica e ridare agli affetti familiari la loro indiscussa preminenza”.
Gaetanina Sicari Ruffo
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Bibliografia essenziale
- M. Montanari e E. Casadio, Diario massese della Grande Guerra – manoscritti inediti di Luigi Quadri, edizione Giornale di Massa, 2002.
- Paola Baronchelli Grosson, La funzione sociale della donna in tempo di guerra, Bemporad Firenze, 1915.
- Antonietta Giacomelli, Vigilie (1914-1918), Bemporad, 1919.
- P. Foà, La donna della Nuova Italia. Documenti del contributo femminile alla guerra (maggio 1915 – maggio 1917) raccolti e ordinati, Quintieri, Milano, 1917, in “Donna Paola” (Paola Baronchelli Grosson).
- Corrado Alvaro, Poesie grigioverdi, Roma, 1917.
- “La Donna”, rivista quindicinale femminile, Torino, 1905.
- Matilde Serao, Parla una donna. Diario femminile di guerra. Treves, 1916.
(Pubblicato il 16 febbraio 2015)