Intervista a Zerocalcare: Da Rebibbia a Kobane.

Intervista in occasione di una doppia mostra a Lione.

Zerocalcare (Michele Rech, nato nel 1983) è un autore italiano di fumetti, diventato molto popolare, anche grazie a una recente serie televisiva su Netflix (Strappare lungo i bordi). Zerocalcare ha raccontato un mondo che va da Rebibbia (il suo quartiere, a Roma) a Kobanê (la città siriana della resistenza curda contro lo Stato Islamico). Nel mondo di Rebibbia ci sono centri sociali, periferie urbane, precarietà, conflitti familiari, difficili condizioni carcerarie. C’è un’Italia “impicciata”, come dice lui: impigliata nel disagio, a volte persa in un vuoto, in situazioni sociali che sono al tempo stesso vitali e disastrate. Da lì è partito per Kobanê per raccontare un altrove, quello dei curdi in cerca della loro libertà, opposti al fondamentalismo dello Stato Islamico.

E De Rebibbia à Kobanê è proprio il titolo della doppia mostra che si apre in questi giorni a Lione, curata da Ralph Doumit, che ce l’ha descritta così: “la prima mostra, all’Istituto Italiano di Cultura di Lione, è sui libri che raccontano la realtà più intima, di ambientazione romana, e che sono meno facilmente reperibili fuori dall’Italia. La seconda parte, alla libreria Fnac Bellecour, si concentra sul libro Kobanê calling, di argomento “engagé” e legato a una realtà geopolitica precisa. I temi sono diversi ma attraverso le due mostre si scopre che il tono, la mescolanza di registri sono gli stessi. Ci interessava presentare non solo delle immagini, uno stile grafico, ma anche intere sequenze, che permettono ai visitatori di scoprire la formidabile capacità di Zerocalcare di costruire dei dialoghi, e il tono particolare del suo linguaggio”.

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Abbiamo intervistato Zerocalcare per Altritaliani, in compagnia proprio di  Ralph Doumit  e Nicolas Piccato, Direttore del Festival Lyon BD.

  • Ti trovi a Lione, all’Istituto Italiano di Cultura, quindi tra Francia e Italia. So che tu sei mezzo francese.

Mia madre lo è del tutto. Io, tecnicamente, sono francese di nazionalità, e non solo: in quella lingua mi cantavano la ninna-nanna e ho fatto una parte di vita scolastica. Ma in realtà ho sempre vissuto a Roma, nel quartiere di Rebibbia. È quello il mio quotidiano. Non mi sono mai trovato con due identità strappate.

  • Rebibbia, dove sei nato e cresciuto, è il mondo delle tue storie: i quartieri periferici di Roma.

Io in realtà non ce l’ho neanche, la percezione di raccontare le periferie. A me sembra di ambientare le storie mie nella Roma più normale. Quando rifletto sul lavoro mio, non mi pongo mai il problema di raccontare la periferia. Mi sembrerebbe molto più innaturale raccontare il centro, perché non conosco nessuno che ci abita. Il fatto è che questi quartieri sono sempre visti attraverso una dicotomia. Luoghi del degrado assoluto, della violenza, della barbarie (quello che si vede in storie come Suburra, Romanzo criminale). Oppure attraverso il mito del buon selvaggio: posti dove erano tutti poveri e tutti buoni, ed è arrivato il denaro a corrompere la purezza. In realtà le periferie sono dei luoghi normali. Fisiologicamente complessi come tutte le realtà. Nel quartiere mio, a Rebibbia, basta passare da una via all’altra e si trovano registri completamente diversi, anche i prezzi delle case possono essere molto diversi. All’interno degli stessi palazzi, della stessa famiglia da un lato ci sono quelli che non sono mai usciti dal perimetro della casa popolare, che spacciano da quando hanno 12 anni, e magari al campanello di fronte c’è quella che ha la borsa di studio e fa il dottorato in astrofisica. Parliamo di agglomerati di tante persone e vite molto diverse. Ci sono dei drammi comuni, quello sì: a Roma c’è evidentemente una mancanza di servizi. Che determina un problema di accesso a tutta una serie di possibilità. Ma non è possibile descrivere gli abitanti delle periferie come un blocco monolitico.

  • Racconti una condizione sociale, e anche esistenziale: il disagio, il sentirsi inadeguati, quello che tu chiami “lo stare impicciati”.

Però io non ci faccio un’epica positiva di questa roba. Mi viene abbastanza semplice raccontare quelli che sono gli impicci miei, e sono stato abbastanza fortunato da costruirci un lavoro e un reddito, su questi impicci. Ma non auguro a nessuno di avere a che fare con me, ma manco da vecchio, nella vita quotidiana. Avere a che fare con persone “impicciate” è faticoso, rognoso. Sono persone che si adombrano, hanno un miliardo di paranoie. Non è che penso che sia giusto essere così, non dico “diventate tutti così”; ma è una condizione che riguarda tante persone ed è giusto che sia raccontata, che sia un oggetto narrativo. Che non sia nascosta come un tabù. Ma se dall’oggi all’indomani io potessi risolvere le mie fragilità, le mie vulnerabilità, sarei più contento, comunque.

  • Un tuo libro del 2018: “Non è una partita a bocce” racconta un’Italia lacerata da uno scontro politico, sociale.

Da quel momento sono cambiate tante cose. Raccontavo di come a un certo momento sono state pompate da un punto di vista mediatico le formazioni neofasciste e neonaziste in Italia. Formazioni di quel tipo in Italia ce ne sono sempre state, almeno a partire dagli anni Settanta. A metà degli anni 2000, Roma in particolare ha vissuto momenti molto violenti. C’erano molte aggressioni neofasciste contro militanti politici o contro persone considerate diverse: stranieri, omosessuali. Ci sono stati anche dei morti. Renato Biagetti ammazzato a coltellate a Focene da neofascisti. Davide Cesare a Milano, un altro episodio di persone aggredite a Verona. C’è stata una stagione di destra radicale molto aggressiva dal punto di vista fisico, pericolosa, ma irrisoria dal punto di vista del consenso elettorale. C’erano gruppi che alle elezioni prendevano percentuali minime eppure, a un certo momento, venivano invitati continuamente nei talk shows. Magari in televisione c’era un esponente di un movimento neonazista che prendeva lo 0,2%, insieme a gente di partiti che prendevano il 30%, e la domanda che gli veniva fatta era: ma tu cosa faresti se diventassi premier? Una roba surreale. Nei nostri quartieri c’erano delle tensioni molto forti. Quando veniva data una casa popolare a qualcuno di pelle non completamente bianche o di cognome non completamente italiano, queste organizzazioni giravano di quartiere in quartiere soffiando sul fuoco dello scontento sociale, per cercare di suscitare dei pogrom. È chiaro che se tu vai in quel quartiere a intervistare solo questi personaggi (quando invece nello stesso posto ci sono tante situazioni diverse, anche solidali), se ti concentri solo su quello, allora  stai creando a queste formazioni uno spazio mediatico di propaganda che è gigantesco. Ora sono cambiate abbastanza, le cose. Queste organizzazioni sembrano scomparse. Nella situazione politica attuale, non c’è più bisogno di questi gruppi estremisti, che anzi possono creare un po’ di imbarazzo. E allora si sono spenti i riflettori, ma le loro istanze diventeranno probabilmente quelle di un governo prossimo. Il problema si è spostato.

  • Da Rebibbia sei partito per Kobané. Nel Kurdistan siriano in guerra con lo Stato Islamico. Per poi scrivere “Kobane Calling”.

C’è un motivo per cui mi ha appassionato la causa curda. Da quanto era stato raccontato sui media, la loro sembrava solo una resistenza all’ISIS, allo Stato Islamico. Quella resistenza c’era, ed era legittima. Ma parlando con loro, ho scoperto che stava all’interno di un quadro di trasformazione generale dell’esistenza. Di una rivoluzione che metteva al centro concetti importanti per quel tipo di comunità, più o meno larga, a cui appartengo : la liberazione della donna, la redistribuzione del reddito, la convivenza tra diversi popoli e religioni. Io non ho più, anzi forse non ho mai avuto grossi riferimenti pensando all’estero, ho un quadro di valori trasmesso dalla mia famiglia ma non avevo trovato esperienze all’estero che mi appassionassero particolarmente. Ma la resistenza curda (anche se con tutte le contraddizioni portate dalla guerra, dall’embargo, dalle esigenze militari) mi sembrava  una scommessa che andava in una direzione che mi piaceva.

Zerocalcare, Nicolas Piccato (Direttore del festival Lyon BD) e Ralph Doumit, curatore della mostra, all’Istituto Italiano di Cultura di Lione.
  • L’attenzione mediatica oscilla. Altre cause sembrano oggi più vicine, mentre invece quella curda non è più sotto i riflettori.

L’oscillazione mi sembra una cosa naturale. Quando lo Stato Islamico era una minaccia concreta per l’Occidente, con attentati anche nelle nostre strade, questo tema era all’ordine del giorno, quindi anche i curdi erano un po’ gli eroi di quella fase lì. Nel momento in cui questa cosa non ci riguarda più così tanto, perché quella minaccia sembra scomparsa, allora di colpo si spengono i riflettori. Ma al di là dell’aspetto mediatico, il fatto è che i curdi adesso sembrano diventati una merce di scambio. Per accettare l’entrata della Finlandia o della Svezia nella NATO, certi governi chiedono restrizioni dei diritti di asilo dei curdi o il riconoscimento del PKK come organizzazione terroristica. Mi sembra un passaggio ulteriore rispetto alla chiusura dei riflettori: significa sacrificarli proprio. Una cosa inaccettabile.

  • Tu segui uno stile di vita che può sembrare paradossale: il punk “straight edge”: astinenza da tabacco, alcool, etc. Punk bacchettone, lo hai definito. Che elimina ogni forma di dipendenza.

Io ho un sacco di dipendenze. Se mi levi Internet o le serie TV, probabilmente la mia vita finisce nel giro di venticinque minuti. Comunque, lo stile di vita punk “straight edge” non è così contraddittorio. Lo sarebbe, se fosse una cosa di buon senso. Ma siccome c’è un aspetto radicale in questo stile di vita, siccome è a suo modo un eccesso, rientra perfettamente nello spirito del punk.

  • Hai scritto una cosa del tipo: “non mi va di far niente, ma se non faccio niente mi prende l’angoscia”.

Io vivo esattamente così. Considera che sono dopato da dieci anni di lavoro continuo. Io di fatto non ho più una vita, fuori dal lavoro. Un giorno ero contentissimo, avevo finito tutte le consegne e avevo ventiquattro ore libere: mi sono trovato con l’angoscia che mi divorava. Non so come se ne esce adesso. Forse con un percorso al SERT (Servizio per le tossicodipendenze, ndr)

  • Quel che fai, il tuo percorso, la tua formazione, vengono  dal mondo della “controcultura”. Il sistema culturale, secondo Pasolini, ha una formidabile capacità di integrarla, la controcultura, facendola diventare moda.

È vero, è chiaro. Non ho mai avuto l’illusione che fosse diverso. L’unica cosa che io cerco di fare, con il mio lavoro, è rendere lo spazio del dibattito pubblico un po’ più ben disposto e amichevole verso quello che si muove fuori dal cosiddetto “mainstream”. Spero che, leggendo le cose mie, ci sarà almeno una persona che, quando vedrà al telegiornale gli amici miei, non penserà più: in galera e buttare via la chiave. Questo è il massimo dell’ambizione che ho. Le istanze del mondo che racconto non vivono all’interno dei miei libri. Vivono per strada. I miei libri tutt’al più possono fare da megafono, ma non sarebbero niente se non ci fosse qualcuno per strada che le agita, davvero, quelle istanze. E lo fa in maniera “incooptabile”.

  • Un libro, una canzone, un fumetto che hanno segnato la tua vita.

Un fumetto: “La mia vita disegnata male”, di Gipi. Il fumetto che mi ha aperto mille orizzonti. Una canzone:  Tubthumping dei Chumbawamba, che, anche se loro in realtà in quel momento erano già un po’ cambiati, mi ha fatto conoscere quella realtà, quel mondo di lotte e di centri sociali. Un libro? Ce ne sono tanti. Aspetta… Ah sì. “Cecità”, di José Samarago.  Per tanti motivi.

E su questo, ci salutiamo. A presto.

Intervista a cura di Maurizio Puppo per Altritaliani

P.S. Con i ringraziamenti della nostra redazione all’Istituto Italiano di Cultura di Lione per aver organizzato l’intervista con Zerocalcare in occasione della sua partecipazione al Festival Lyon BD 2022.

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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