Peppe Voltarelli sarà molto presto in tournée nei paesi francofoni europei, insieme ad una colonna portante della canzone d’autore italiana come Giorgio Conte. I concerti in Francia, a Parigi il 23 maggio al Café de la Danse e il 24 a Le Rex di Toulouse, saranno perciò anche una bella occasione per scoprire questo poliedrico artista calabrese, trapiantato a Bologna e poi a Firenze, ma costantemente in giro per il mondo. Un musicista con già 16 album all’attivo, ma anche un attore di teatro e cinema. Possiamo avvicinarci in anteprima alla sua affascinante vicenda artistica, attraverso quest’intervista.
Concert Giorgio Conte et Peppe Voltarelli
Mercredi 23 mai à 20 heures
Café De la Danse
5, passage Louis Philippe, 75011 Paris
Informations complémentaires: www.musicaitaliana.fr
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INTERVISTA
D.: Ciao Peppe, la tua vicenda artistica si sviluppa ormai da quasi tre decenni. Tu sei nato in Calabria, terra a cui sei fortemente legato, ma l’attività musicale è cominciata a Bologna all’inizio degli anni ’90. Come sei arrivato a questo ?
Peppe Voltarelli : Sono nato in Calabria e li ho vissuto fino alla fine delle scuole secondarie poi nel 1988 mi sono trasferito a Bologna per studiare al DAMS visto che Bologna era l’unica città italiana dove era presente questo corso di laurea in cinema e teatro. Nel 1990 in quella città abbiamo fondato un gruppo ed ho cominciato la carriera artistica.
D.: Nel capoluogo emiliano, luogo di intensa vita culturale e grandi fermenti creativi è cominciata la vicenda de « Il Parto delle Nuvole Pesanti », la band con cui hai condiviso quindici anni della tua vita e lasciato un segno forte nel panorama della musica indipendente italiana. Cosa caratterizzava in modo particolare quella band ?
P.V. : Era una band nata sulla scia di gruppi come i Mano Negra e Les Négresses vertes. In Italia in quel periodo contemporaneamente nasceva la scena hip-hop e le prime folk band come i Mau Mau e i Modena City Ramblers. Noi eravamo in undici e io scrivevo i testi in calabrese, il che diventò poi la nostra caratteristica. Eravamo una band militante della sfera politica appartenente alla sinistra extraparlamentare, facevamo degli spettacoli molto colorati e toccavamo i temi dei fuorisede, la lotta per la casa, l’antimilitarismo e la libertà per i popoli oppressi. Pian piano siamo andati verso la canzone d’autore con collaborazioni in teatro e al cinema dove usciva sempre la nostra poliedricità.
D.: Con il tuo gruppo avete fatto esperienze impegnative, in Italia e all’estero, e pubblicato insieme 8 album. Siete andati addirittura a suonare a Baghdad alla fine del 2002, a pochi giorni dall’inizio della seconda Guerra del Golfo… per cercare di sensibilizzare contro una nuova tragedia per il popolo iracheno.
P.V. : Fu un viaggio molto importante per noi che avevamo sempre fatto militanza contro la guerra. Abbiamo scoperto un popolo che nonostante vivesse sotto embargo da oltre dieci anni, segnato dalla dittatura e da grandi problemi economici, manteneva una grandissima dignità e capacità di accoglienza. Ricordo le nostre jam per le strade di Baghdad che scatenavano una grande gioia nella gente e poi il concerto all’Hotel Palestine, con un grande pubblico. Uno dei momenti più belli fu quando suonammo a scuola in una classe e lo sguardo dei bambini, i loro sorrisi… In quell’occasione ho pensato che stavamo facendo davvero una cosa importante.
D.: In quello stesso periodo avete cominciato anche a dedicarvi al teatro musicale e civile, con un’opera come « Roccu u stortu ». Com’è successo dato che questa esperienza ti ha proiettato verso il teatro che è diventato anch’esso parte fondamentale del tuo vivacissimo percorso artistico?
P.V. : L’incontro con Fulvio Cauteruccio (attore e regista dello spettacolo) per « Roccu u stortu » è stato determinante da un lato per le nostre traiettorie artistiche sempre più dirette verso la canzone e la poesia, allontanandoci parzialmente dalla scena rock, e personalmente in quel periodo ho capito che mi piaceva raccontare delle storie, almeno quanto cantare, cosa che poi ho continuato a fare fino ad oggi.
D.: Negli ultimi anni dell’esperienza con « Il Parto », nel 2002/2003, hai avuto l’occasione di collaborare con un celebre cantautore italiano, Claudio Lolli, nel remake dopo 26 anni del suo celebre album « Ho visto anche degli zingari felici ». Come è stata l’esperienza con il « poeta maledetto », il Léo Ferré italiano? Ne hai tratto qualcosa di importante anche per la tua successiva attività solista?
P.V. : L’incontro con Claudio Lolli e la sua musica ha fatto crescere molto il nostro gruppo. Tutto il lavoro per il disco ma sopratutto il tour era l’occasione per approfondire le tematiche delle canzoni, l’impegno, la poesia e fondamentalmente la nostra amicizia e il grande amore per Claudio e per Paolo Capodacqua. Claudio è un grande poeta e un grandissimo uomo che ci ha sempre trattato alla pari con amore. Questo è raro nella musica e nelle gerarchie della vita e sarò sempre grato a lui per tutti i momenti vissuti insieme L’idea di lavorare insieme a quel disco è stato merito di Storiedinote che ha scommesso su due generazioni ma su un unico cuore e quella magia si respirava nei concerti e anche sentendo il disco.
D.: Dal 2006 hai scelto di portare avanti la tua attività musicale da solo, a tuo nome. Cosa ti ha spinto ad una decisione così importante?
B.V. : Dopo tanti anni non c’era più feeling con i miei compagni di viaggio, non mi piaceva più quello che facevano o proponevano, e stando con loro non avevo più stimoli creativi …. allora ho deciso di uscire dal gruppo e continuare da solo.
D.: Come è stato ritrovarsi da solo sul palco e anche nel rapporto col pubblico, con i media. Ne hai avuto nuovi stimoli, nuova forza creativa?
B.P. : All’inizio è stato difficile perché il pubblico delle band tendenzialmente segue la band e non chi se ne va. Quindi era molto strano salire sul palco in situazioni con pochissima gente. Io ho avuto fortuna perché immediatamente dopo l’abbandono della band è uscito il film « La vera leggenda di Tony Vilar » di Giuseppe Gagliardi dove ero protagonista e molti mi hanno scoperto come attore e cantante. In quella nuova fase è stato bellissimo ricominciare anche a livello discografico con grandi soddisfazioni in Italia e all’estero.
D.: Nel frattempo hai continuato a vivere nel centro-nord Italia (dopo Bologna, a Firenze). Qual è diventato, nel tempo, il tuo rapporto di emigrante culturale con la tua terra d’origine, la Calabria?
B.V. : Oggi sono più grande e alcuni spigoli si sono inevitabilmente smussati. La scorsa estate ho cantato alla festa patronale del mio paese, è stata una grande felicità riabbracciare la mia gente, ma l’« emigrante » è per sempre e non torna mai indietro… e la mia lingua resta un dialetto. Pensare di tornare a vivere a Sud è difficile. Per contro metto sempre un grandissimo impegno per far si che tutto ciò che faccio arrivi a casa : concerti libri dischi interventi nelle scuole e in carcere… Amo la mia terra.
D.: In che modo essa è ancora parte integrante del tuo messaggio nelle diverse arti in cui ti esprimi (teatro e cinema, oltre alla musica) ? (In un’intervista hai parlato di un grande albero con profonde radici ma con lunghi rami che continuano ad espandersi lontano verso il mondo intero).
P.V. : La terra e la lingua sono il codice primario attraverso il quale filtro le mie relazioni nei viaggi e negli studi. Ritrovo pezzi di Calabria in Canada, in Argentina, in Australia, in Germania, in Francia e ognuno di loro mi spiega qualcosa di diverso, mi trasmette coraggio, entusiasmo, gioia, depressione… e cerco di raccontare queste sensazioni al pubblico, alcune volte in maniera buffa nelle lingue diverse. Quando il pubblico si appassiona a questi racconti è avvenuta la magia e la Calabria si dissolve nell’umanità intera.
D.: Dopo aver iniziato la tua carriera solista, ormai più che decennale, la tua attività artistica nel mondo si è sviluppata ancor di più fuori dall’Italia. Hai avuto esperienze significative oltre oceano, in Argentina soprattutto, anche con un film e la pubblicazione di tuoi album. Ci puoi raccontare di questo, della tua prima importante incursione nel cinema e anche delle successive ?
P.V. : Il primo film è stato « Doichlanda » scritto insieme al regista Giuseppe Gagliardi, un viaggio ironico nella Germania delle pizzerie, poi « La vera leggenda di Tony Vilar » (sempre di Gagliardi) girato tra NYC e Buenos Aires, sulle tracce di un grande corner scomparso, cercando di raccontare il Bronx in maniera surreale e divertente. Con questo film abbiamo girato molto all’estero nei festival come il Tribeca Film Festival oppure Sydney, siamo stati a Calgary, a Praga, Budapest, San Diego, Dublino, Belgrado, siamo tornati a Buenos Aires. Insomma una grande epopea narrativa della diaspora italiana che mi ha permesso parallelamente di suonare in tutti questi paesi portando la mia musica e le mie canzoni nei club e nei teatri di tutto il mondo.
D.: Puoi anche dirci qualcosa sulla tua importante esperienza nel teatro e su come questa abbia influenzato in modo probabilmente positivo il tuo modo di essere sul palco durante i tuoi concerti?
P.V. : Dopo « Roccu u stortu » ho fatto molti altri lavori in teatro sia come musicista che come attore e questo mi ha aiutato a capire molto meglio il senso del ritmo, la quantità dello sforzo e l’importanza del gesto e dei silenzi. Amo la disciplina del palcoscenico, le sue regole non scritte, la crudeltà e il giudizio severo del pubblico. In questo i gruppi sono sempre molto protettivi e si finisce poi per essere troppo indulgenti.
D.: Hai anche deciso di rendere omaggio a grandi artisti della canzone d’autore e popolare italiana, uno celeberrimo, ormai nella storia, come Domenico Modugno, uno ancora vivente, come Otello Profazio, cantastorie, vera voce narrante della tua terra. Ce ne puoi parlare?
P.V. : Attraverso la frequentazione del Club Tenco ho iniziato a conoscere e studiare molti cantautori da Endrigo a Modugno a Leo Ferré, affrontare il repertorio di grandi autori è molto utile alla crescita, in un certo senso ti aiuta a scavare anche nella tua scrittura e ti aiuta a migliorare. Quando ho fatto il recital su Modugno, ad esempio, è stato per me un momento importantissimo anche in virtù del fatto che Modugno scriveva anche in dialetto ed era un attore…. Ecco rappresentava il mio ideale d’artista trasversale, che si spingeva sempre molto avanti nella ricerca formale rispetto al suo tempo.
Profazio è stato un lavoro necessario per conoscere la musica del sud, la musica siciliana e calabrese, i canti dei contadini, il grande tesoro della lingua del sud, la poesia di Ignazio Buttitta e poi la voce di Profazio… questo suo essere il nostro Woody Guthrie da solo con la chitarra.
D.: Hai avuto anche diverse tournée importanti in USA, Quebec e naturalmente anche in Europa, soprattutto in Repubblica Ceca e Francia. In Francia la tua presenza comincia ad essere costante, ed ha permesso anche la pubblicazione nel 2010 del tuo album « Ultima notte a Malà Strana » con la prestigiosa etichetta « Les chants du monde ». Ce ne puoi parlare, dicendoci anche quali sono i tuoi progetti, le tue aspirazioni rispetto a questo paese, alla sua cultura, al suo pubblico?
P.V. : In Francia ho suonato molto, sopratutto dopo la pubblicazione di « Ultima notte a Mala Strana ». Quel disco che contiene anche un omaggio a Leo Ferrè, con « Les anarchistes », tradotta in italiano, mi ha permesso di essere apprezzato dal pubblico francese, che mi ha accolto sempre con affetto. Penso che il pubblico francese sia molto attento alla canzone d’autore e potenzialmente curioso di scoprire le novità che arrivano da altri paesi. E anche molto attratto dalle canzoni in italiano. L’importante è riuscire a raggiungerlo… I media e gli organizzatori di spettacoli potrebbero essere un po’ più attenti in questo senso.
Artisti come Paolo Conte e GianMaria Testa rappresentano dei punti di riferimento importanti per noi italiani che suoniamo all’estero, in quanto loro hanno saputo raccontare l’Italia in maniera profonda e poetica andando ben oltre lo stereotipo che spesso ci rappresenta oltre i nostri confini. La mia intenzione è quella di raccontare il mio paese con ironia giocando con lo stereotipo senza mai farmi possedere da esso.
Mi piacerebbe approfondire la mia conoscenza della chanson francese, ad esempio sto girando in Italia con uno spettacolo sulle canzoni dedicate alle città dei porti che contiene canzoni di Jacques Brel, di Leo Ferrè, di Sabina, di Endrigo …. mi sarebbe bello portarlo anche in Francia.
D.: Come vivi questa nuova esperienza di condividere una tournée piuttosto significativa nei paesi francofoni con un grande cantautore come Giorgio Conte, colonna portante della storia della canzone italiana dell’ultimo mezzo secolo?
P.V. : È una grande gioia cantare con Giorgio… quando tu e Storiedinote mi avete chiesto di partecipare, ho raccolto subito l’invito, perché penso che sia per me l’opportunità di affrontare il pubblico francese con uno spettacolo ironico commuovente e profondo al fianco di un grandissimo artista.
Link : intervista a Giorgio Conte (Altritaliani 9 Maggio 2018)