L’ultimo decreto legge della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 marzo 2021 ha imposto restrizioni da “zona rossa” per molte regioni, alcune delle quali, come il Lazio, saltate direttamente da “giallo” a “rosso” o la Sardegna dal “bianco” direttamente in “arancione”, con ripercussioni molto gravi sulla vita dei cittadini e sulle già precarie condizioni di molte aziende, soprattutto nella ristorazione, come ha mostrato il caso emblematico di una giovane imprenditrice di Ostia (vedi il video di Repubblica QUI):
La popolazione è stremata, disorientata e scoraggiata. Nel 2020 si sono persi oltre 450.000 posti di lavoro e gli aiuti garantiti dallo Stato sono insufficienti:
– Repubblica del 7/07/2020: Lavoro, l’Italia tra le più colpite dal Covid. Ocse: « Soffrono giovani, donne, lavoratori con bassi salari »;
– Il Sole 24 Ore del 13/01/2021: Coronavirus, l’impatto della crisi sul lavoro: dal Censis al Cnel è allarme giovani e donne.
Leggendo la serie di regole e restrizioni, eccezioni e deroghe, che nei mesi hanno popolato i vari decreti, alcune acquisendovi diritto stabile di cittadinanza, altre soggiornandovi in modo più precario e temporaneo, vediamo oggi un panorama distopico. Tutto e il contrario di tutto, arzigogoli, divieti, concessioni, limitazioni grottesche, come se davvero queste misure fossero capaci di contenere i contagi, che invece proseguono.
In ogni caso, inamovibile, resta il diritto di andare a messa. A scuola no, ma a messa sì, purché con mascherina e senza assembramenti. Ma è possibile? Diceva un personaggio del film Il Marchese del Grillo: “ce vonno l’occhi bboni assai, pe’ vedé quello che nun c’è.” Ecco, anche qui, ci vogliono proprio occhi acuti per vedere equità, buon senso, utilità e necessità in queste misure legislative.
I cittadini devono comunque spostarsi per lavorare e vivere, è inevitabile che si incontrino, sui treni locali, sui tram, nei luoghi di lavoro. Si può anche ridurre al minimo ogni attività ludica e privata, il virus circolerà lo stesso. Le restrizioni non sono una risposta efficace al problema dell’epidemia. I vaccini sarebbero la risposta adeguata, se la campagna di vaccinazione non fosse una corsa a ostacoli aggravata dalla guerra tra aziende farmaceutiche.
Detto ciò, non sarà sfuggito il fatto che persiste il divieto di transito tra regioni, su tutto il territorio nazionale, uno dei principi più stabili e incomprensibili dell’intero impianto dei decreti. Da questo ritorno dell’Italia a condizioni pre-unitarie il paese uscirà gravemente indebolito, perché lo spostamento interno della popolazione è un aspetto fondamentale della vita sociale ed economica nazionale. Se nelle singole zone “gialle”, “arancioni” e “rosse” è possibile continuare a vivere rispettando distanza sociale, limitazione delle presenze in luoghi chiusi e simili pratiche, resta incomprensibile perché lo spostamento fra regioni debba essere vietato. Non è impossibile garantire le misure di sicurezza nei viaggi interregionali. A chi giova tenere la nazione bloccata e divisa?
Quello che è ancora più difficile da digerire è il fatto che, come recita l’ultimo decreto, sia invece possibile recarsi in altra regione se si raggiunge una seconda casa di proprietà, purché la si possieda o la si affitti già dal 14 gennaio del 2021, e la si raggiunga con il solo nucleo famigliare e non con altre persone. Il trucco retorico consiste nello spacciare questa eccezione alla regola come rientro al proprio luogo di residenza, domicilio o abitazione, anche se fuori regione.
La Campania si è opposta subito, emanando una specifica ordinanza regionale che vietava tali spostamenti nelle seconde case ubicate nella regione (vedi QUI). Adesso si aggiungono la Sardegna, la Valle d’Aosta, la Provincia Autonoma di Bolzano, per il giusto timore di vedersi invase dai transfughi delle “zone rosse”. I giornali hanno riportato la notizia con compassata neutralità e forse il solo intervento dai toni critici è apparso sul sito di Veronasera.
Da qualche parte si solleva anche il dubbio che vietare l’accesso ai proprietari non residenti sia incostituzionale (vedi Repubblica QUI). Forse è vero, ma non è a sua volta ingiusto il divieto di viaggiare tra regioni, se applicato in modo draconiano a tutti indiscriminatamente? O solo il “diritto di proprietà” è inviolabile? E invece proprio qui vengono applicati due pesi e due misure. Il permesso arbitrario e discriminatorio di raggiungere le seconde case permette, sulla base di una mera distinzione di classe, a cittadini più ricchi di altri di aggirare una regola iniqua. Viaggiare verso la seconda casa in un’altra regione è secondario rispetto al diritto di viaggiare in generale verso un’altra regione. O tutti possono viaggiare, o nessuno dovrebbe. E sarebbe giusto che tutti potessero, perché questo è un diritto di tutti che, se esercitato in condizioni di sicurezza, non aumenta il rischio di contagio.
In senso etimologico siamo nella sfera del privilegio, ovvero una legge fatta a vantaggio di interessi privati. La Costituzione, invece, pone a fondamento della Repubblica l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. La regola delle seconde case è anticostituzionale, molto prima di quella imposta da alcuni governatori di vietare l’accesso ai non residenti. È triste assistere a questa lotta tra organi istituzionali, condotta ai margini, se non al di fuori, della Costituzione, sotto lo sguardo impietrito della popolazione che ha tanti problemi.
La domanda urgente e senza risposta è, piuttosto: dove sono i vaccini? Quasi alla fine di marzo, sono state vaccinate in Italia appena sette milioni di persone, molte delle quali con una sola dose. In Inghilterra e in altri paesi è stata coperta una percentuale di popolazione molto più alta. Il vaccino non basta per tutti perché la politica italiana non è stata all’altezza del compito, e così non restano che le restrizioni a danno dei cittadini.
In compenso si inaugurano monumenti alle vittime del covid, con tutta la retorica del caso, perché, come disse Nuto Revelli, “i monumenti e le lapidi sono l’ultimo colpo di spugna sulla lavagna delle colpe impunite” (La strada del Davai, Torino, Einaudi, 1966).
Gianluca Cinelli