Il flâneur di Clichy, un racconto breve di Ennio Cirnigliaro

“Viaggi nello straordinario dell’ordinario”.  Altritaliani vi propone un nuovo racconto “psicogeografico” di Ennio Cirnigliaro, archeologo e storico genovese. Storie vere, a volte di fantasia, ma sorgono tutte da un dove preciso, reale, dalla cartografia personale dell’autore. Nel precedente racconto eravamo a Genova, ora stiamo con lui a Parigi e banlieue.

***

“Lascia ch’io pianga”, suonava un pianoforte lontano mentre la luce dell’enorme grattacielo del nuovo palazzo di giustizia, che era già Parigi, faceva quasi toccare la città da quel remoto angolo di periferia chiamato Clichy: un quasi capolinea della metro 13, due strade parallele, di cui una intitolata al grande Jaurès ed al suo sogno di pace e socialismo assassinato prima della prima grande carneficina del Novecento, un chiesa medievale in cui, a suo tempo, aveva officiato nientemeno che San Vincenzo De’ Paoli e la Senna come una promessa, oltre i bastioni dei palazzoni di periferia, che nella République delle abbreviazioni e dell’inclusione mancata sono chiamati HLM, che sta per Habitations à Loyer Modéré, abitazioni ad affitto moderato, in realtà le discariche sociali in cui per decenni sono stati reclusi gli invisibili della Repubblica.

Anche lui, quella sera, si sentiva un po’ invisibile, circondato dagli aromi di pollo arrosto, kebab, merci varie che fanno di questo angolo di banlieue un luogo, comunque, con un certo fascino. Stava rientrando, dopo aver mangiato in solitaria nel localino italiano gestito da un suo concittadino ed ora percorreva  strade vuote di un vuoto siderale, anche se era a meno di tre chilometri da una delle capitali del mondo, capitale che iniziava proprio infondo al rettilineo in cui stava camminando, e che si presentava sotto forma di “periferiche”, come vengono chiamate in Francia le tangenziali con un grecismo che indica propriamente il  “girare intorno”. Si passava incredibilmente a piedi le périphérique, che a Clichy terminava con un semaforo, e si entrava nel comune di Parigi, per la precisione a Batignolles, in quel diciassettesimo arrondissement in cui la Place de Clichy, già così elegantemente borghese, rievocava, per contrappasso, le incursioni libertine di Henry Miller e dei suoi amici.

Ma lui non era Henry Miller. O meglio, forse lo era stato e certamente, in alcuni momenti, avrebbe voluto esserlo, cercando di trasformare ogni sentimento in sensazione ed ogni sensazione in un presente di sensi senza alcun senso che non fosse il piacere come manifestazione del piacere di esserci, bandendo ogni aspirazione al bello, al giusto e al buono e mettendo così in soffitta tutto il senso umano, filosofico, intellettuale e politico della sua contraddittoria esistenza. Avrebbe voluto, sì.

Per questo giorni prima si era buttato sul solito treno notturno d’altri tempi e d’altri modi che gli faceva salutare Milano la sera e Parigi al mattino, come se il suo mondo, entrando alla Stazione centrale, avesse via d’uscita solo alla Gare de Lyon, dove il croissant del bel locale in cui fanno anche dell’ottimo jazz, nel grande atrio senza tempo della porta sud-est di Parigi, gli fece capire come, pur cambiando cielo, non riusciva proprio a cambiare animo (il vecchio Orazio, che la sapeva lunga, gli apriva sempre gli occhi) e infatti proprio non riusciva a cambiarlo, l’animo un po’ spiegazzato per la notte in cuccetta. Eppure, se solo avesse voluto davvero – il che mostra che non lo voleva affatto –  avrebbe potuto liberarsi di alcuni pensieri, desideri e pulsioni, gettandosi negli incontri più inaspettati, fossero essi un libro nella libreria a pochi passi dal Pantheon od un incontro politico, o amoroso o entrambi fra la Sorbona e il museo di Cluny, o semplicemente la lettura tranquilla del giornale L’ Humanité guardando la varia umanità fluire lungo Place du Châtelet, così armonica nel suo essere fusa in un’unica mobile entità chiamata Parigi, quasi fossero le note di Debussy.

Avrebbe potuto e, in effetti lo fece, ma, nel farlo, si accorse che lei, il pensiero di lei, le parole di lei, il corpo di lei, il profumo di lei, gli stavano dentro e intorno; coloravano la città, scendevano lungo la Senna, saltellavano sulle bancarelle dei bouquinistes sulla Rive Gauche, risalivano Ménilmontant, danzavano sui tetti della città sapendo sino al cielo che, per lui, si colorava del suono del suo nome. Aveva fatto bene ad essere lì dov’era, scegliendo di rintanarsi nel luogo più inaspettato ma non troppo lontano da una delle città più attese al mondo, così da trovarsi al suo centro pur potendo rincasare ai suoi margini.

La sera, tornato a Clichy, fece due passi lungo quel pezzo periferico di Senna in cui le luci della Défense descrivevano scintillanti ghirigori di promesse. Anche lei era una promessa incastonata nel punto più nascosto dei suoi sogni, diastole e sistole dei respiri più veri e profondi. Lontano, dalla parte opposta rispetto alla città, le luci degli HLM si accendevano in un unico concerto e lui sorrideva. Non l’aveva mai persa neppure quando aveva voluto sfuggire all’idea che gli mancasse. Era lì, con lui, fra la Défense e gli HLM.

Ennio Cirnigliaro

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Ennio Cirnigliaro
Ennio Cirnigliaro è nato a Genova nel 1974. Archeologo per professione e vocazione, militante politico di lunga data, indaga il presente con quella particolare chiave di lettura “stratigrafica” propria di chi ha l’abitudine di inserire i fenomeni singoli in un più ampio contesto. Ha pubblicato su riviste varie articoli specialistici nel suo ambito, oltre che testi politici e sociali aventi come denominatore comune l’antifascismo, l’antisessismo, l’anticapitalismo, l’antirazzismo e l’ecologia sociale. Ha pubblicato per Prospero editore “Medioevo digitale. La storia contemporanea attraverso i social network”, 2021.

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