“Il Filosa mai visto” (Castellammare di Stabia(Na), Nicola Longobardi Editore, 2017, 128, Euro 30,00) è il titolo del catalogo che accompagna la mostra inaugurata dalla Fondazione Sorrento a Villa Fiorentino su uno dei più autorevoli artisti del Novecento, Francesco Paolo Filosa, pittore nato e vissuto a Castellammare di Stabia, pubblicazione che l’editore Nicola Longobardi ha di recente mandato in libreria.
L’opera, e la Mostra curata da Adelaide Maresca, ripercorrono l’esperienza esistenziale e pittorica del Filosa, rivalutato post mortem dalla critica che lo annovera tra gli ultimi macchiaioli napoletani. Il pittore, come del resto i protagonisti delle varie arti, è uno scrittore che narra con strumenti diversi, delinea percorsi, li attraversa, li penetra e li apre alla visione del mondo.
Un pittore narra, o meglio attraverso la sua opera si narra. È quanto fa Francesco Paolo Filosa che parte appunto dal contesto più intimo, quello familiare, attraverso i volti a lui più cari, quel tessuto familiare che delinea con pennellate magistrali, da ricercare nella più autentica introspezione intimista letteraria dei grandi autori del Novecento.
Ma il giovane getta gli ormeggi e inizia il viaggio nella realtà che lo circonda, è la rappresentazione dei scenari dove s’immerge, i paesaggi che partendo dalla sua Castellammare si diramano fino alla penisola sorrentina, tra verdeggianti campagne e boschi, marine cristalline, borghi, strade e stradine, angoli reconditi ed anfratti tra i più suggestivi alla vista umana.
Un percorso immortalato dai grandi viaggiatori del Grand Tour, con l’interminabile spalliera di verde alle spalle e il Vesuvio di fronte che riflette la sua immensa sagoma nelle morbide acque del Tirreno. Un susseguirsi di albe e tramonti che accolgono scenari mozzafiato, il racconto attraverso immagini che diventa sempre più difficile salvaguardare dalla mano distruttrice dell’uomo, storie che segnano un tempo, luoghi dall’incanto unico dove l’Europa è passata prima che altrove.
In questo contesto s’inserisce la sezione che riguarda il “sacro” con immagini della Vergine dal volto dalle varie espressioni, dalla Natività fino allo strazio ai piedi della Croce, di processioni dei vari Santi di una terra che ha marcato più di altre il rapporto antropologico con le proprie divinità in un affascio di mille colori che segnano una fede incrollabile nella taumaturgia nei momenti di tristezza.
Ma cosa leggere nella pittura di Francesco Paolo Filosa e quale messaggio cogliere nell’opera del Maestro stabiese? L’uomo e l’artista hanno attraversato, quasi per intero, il ventesimo secolo e lui, figlio del suo tempo, ha vissuto la sua contemporaneità che è ancora presente per gran parte, fissando sulla tela la quotidianità della sua terra, quelle terre che nell’arco d’un secolo hanno metabolizzato crescita e trasformazione, a volte razionali altre disordinate, racchiudendo immagini a narrare un futuro che molte volte non c’è. Attraverso la sua opera ha fatto la Storia, dimostrando, forse inconsapevolmente nel momento in cui operava, che anche attraverso la pittura si può fare Storia declinando immagini che oggi ci appaiono avvolte in una luce crepuscolare. Ha fatto la Storia Filosa, inducendoci a riflessioni e raffronti tra l’ieri e l’oggi, figlio del suo tempo e della sua terra durante l’intera esistenza, attraverso fantasmagorie di colori che nulla hanno da invidiare al migliore impressionismo francese.
Ultimo dei macchiaioli, impressionista, timbri pittorici caravaggeschi nella penombra degli indecifrabili volti? E’ a queste correnti da ascrivere il nome dell’artista stabiese? Non credo! Perché un artista è solo ed unicamente se stesso, al di là delle catalogazioni della critica. E Francesco Paolo Filosa è soprattutto se stesso, prerogativa che gli consente di essere annoverato tra i grandi pittori del Novecento.
RaffaeleBussi