Il Doponatale, una sorta di “Spoon River” della festa andata

Il Natale si aspetta per giorni; quasi per mesi, dato che, negli ultimi tempi, già a fine ottobre se ne inizia a sentire il profumo. Esso appare di soppiatto coi primi panettoni che emergono fra zucche e pupazzetti di streghe nei giorni di Halloween (che sarà anche americano – ancorché, in realtà, celtico-consumista ecc, ma mi diverte moltissimo) per poi diventare pian piano egemone in supermercati, autogrill e negozi, facendosi strada nei giorni di dicembre sino a diventare come Fausto Coppi fra Cuneo e Pinerolo (detta così, più che epica, l’immagine sembra fantozziana, ma la frase nacque proprio durante una tappa del giro fra le due cittadine piemontesi): un uomo solo al comando.

Quando, però, attiva, il Natale dura poco, pochissimo, tanto che già alle 17 del 25 dicembre sembra già il Doponatale.
Contrariamente al parente più famoso, il Doponatale, invece, arriva tardi ma dura molto, molto di più del Natale. Alle 17 del già citato 25 dicembre se ne iniziano a scorgere le tracce in punti ben precisi del quartiere, forse poco nobili ma letteralmente vitali per la sopravvivenza della città e persino della salute dei singoli cittadini: i cassonetti dei rifiuti.

Proprio come il Doponatale, i cassonetti dei rifiuti sono i parenti poveri del battello ebbro dell’usa e getta: l’opulenza sottintesa nel gesto, ormai quasi automatico, di scartare una merendina, di togliere il coperchio da un vasetto di yogurt, di aprire una confezione di pasta, tutti gesti che durano meno di trenta secondi cadauno nella vita di tutte e tutti noi, si eternizza o quasi ( dipende dai tempi e modi della biodegradabilità del rifiuto) nel negativo dell’azione stessa, nel rifiuto, nell’entropia, nello scarto che, talvolta, può rimanere in vista per mesi, come certi sacchetti di rifiuti abbandonati ai lati delle strade come una cosa dimenticata, e non ce ne voglia l’abusato Ungaretti. Il Doponatale, dicevamo. Esso, proprio per la sua natura di negativo, di fossile di lunga durata, di un’esperienza breve, ancorché intensa, pur essendo parente del Natale, è miglior amico del cassonetto dei rifiuti, che diviene il principale teatro della sua epifania (sempre per restare in tema feste).

In una sorta di “Spoon River” della festa andata, il Doponatale ci permette di scoprire ogni festa di ogni città, di ogni quartiere, di ogni via, di ogni famiglia, di ogni persona. Una scatola di panettone aperta e vuota, un pacco di bottiglie di vino affastellate, un caleidoscopico intrico di incarti, una sinfonia di scatole di giocattoli aperte in fretta, senza rispettare la rettilinea geometria degli impacchi, ci raccontano ciascuno una storia.

Ecco allora che dalla scatola di panettone salta fuori la signora anziana e sola del terzo piano, sempre sorridente e gentile, quella che, quando parla coi figli lontani chissà dove, la sente tutto il palazzo perché, essendo sorda, i suoi dialoghi sono amplificati come un concerto a San Siro.
Se mi avvicino alle bottiglie, un po’ come le conchiglie che fanno sentire il mare, percepisco ancora i rumori della festa fra single e studenti fuori sede, che hanno bevuto sino alle due del mattino, altro che messa di mezzanotte; al massimo qualche bestemmia alle quattro del mattino, in ossequio al Maestro de « L’avvelenata ».
Poi ci sono quegli incarti con tanto di logo dei negozi, e quella è sicuramente roba dei Brambilla del primo piano, fra cui troneggia il marito della Signora, Ragionier Brambilla Evaristo, rigorosamente con cognome anteposto al nome, uno di quelli di vecchio stampo: cinquantenne che ne dimostra cento, con figli sempre in perfetta divisa da figli e moglie in perfetta e patriarcale divisa da “moglie del ragioniere”, il quale obbedisce tacendo ad ogni festa comandata ed inonda di regali la sacra famiglia di cui sopra, il tutto rigorosamente acquistato fra Via Montenapoleone e dintorni, perché Corso Buenos Aires già non ha la stessa qualità.
Le scatole colorate e made in China, infine, con foto di robot anni Settanta, cucine colorate in rosa, bambole, supereroi, macchinine e, di anno in anno, in crescita, ammennicoli elettronici sempre più sofisticati, mi riportano a tutte le bambine e i bambini dei palazzi qui intorno, quelli che si vedono sempre meno per strada ma che da qualche parte devono pure averli messi. Solitamente, l’unico momento in cui si vedono è quando a Bande Nere riempiono la metropolitana nel primo pomeriggio. Sono tutte e tutti felici in quel momento, come se la loro gioia durasse il tempo che separa Bande Nere da Cadorna. Oggi la loro felicità si manifesta in queste scatole aperte in fretta e furia, con la gioiosa foga che preannuncia la sorpresa, quel pregustare il futuro che è la vera felicità del presente. Quel pregustare, che il Doponatale ci fa scoprire sotto forma di postgustato, di fugace abbandono, di addio consumato rapido, al passo della danza vorticosa dei sorrisi di un istante, dei desideri espressi così velocemente da non confessarli neppure a se stessi, dei momenti di pausa dai problemi della vita.

Sorrido, nel mio eterno Doponatale, nel mio eterno vedere i presenti momentanei dalle finestre del quartiere. Sferragliando come suo solito, passa il solito tram; sullo sfondo, la chiesetta di San Protaso, trasformata in aiuola spartitraffico, guarda da più di mille anni il mondo che le cambia intorno ed io – non vi ho ancora detto chi sono, ma forse non importa, mi giro dall’altra parte e mi metto a riposare. Chi sono io? Non importa: importa la storia che ho appena raccontato.

Un racconto di Ennio Cirnigliaro, da Genova

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Ennio Cirnigliaro
Ennio Cirnigliaro è nato a Genova nel 1974. Archeologo per professione e vocazione, militante politico di lunga data, indaga il presente con quella particolare chiave di lettura “stratigrafica” propria di chi ha l’abitudine di inserire i fenomeni singoli in un più ampio contesto. Ha pubblicato su riviste varie articoli specialistici nel suo ambito, oltre che testi politici e sociali aventi come denominatore comune l’antifascismo, l’antisessismo, l’anticapitalismo, l’antirazzismo e l’ecologia sociale. Ha pubblicato per Prospero editore “Medioevo digitale. La storia contemporanea attraverso i social network”, 2021.

1 COMMENTAIRE

  1. “(…) mi giro dall’altra parte e mi metto a riposare. Chi sono io? Non importa: importa la storia che ho appena raccontato”.
    Proprio così. Grazie Ennio!

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